mercoledì 27 gennaio 2010

Il radiotelescopio Very Large Array ha individuato per la prima volta una supernova attraverso le emissioni radio.

----------------------------
Per la prima volta l'esplosione di una supernova è stata individuata attraverso le emissioni radio e non con l'osservazione dei lampi di raggi gamma rilasciati con lo scoppio. A riuscirci è stato il radio telescopio Very Large Array (Vla)National Science Foundation degli Stati Uniti. Lo raccontano, sulle pagine di Nature, gli astronomi che hanno osservato le registrazioni delle emissioni radio.

Quando alcuni particolari tipi di supernova esplodono, oltre all'energia liberano anche materia pesante a velocità prossime a quella della luce. La fuoriuscita di materia ad alta velocità genera i lampi di raggi gamma o Gamma ray burst (Grb). Fino ad oggi queste supernove erano state identificate soltanto attraverso la registrazione dei Grb. Il telescopio statunitense invece, grazie alle sue osservazioni radio, ha mostrato l'espulsione di materia pesante ad alta velocità durante l'esplosione della supernova SN2009bb – individuata per la prima volta lo scorso marzo - mentre non è stato possibile rilevare i raggi gamma. "È incredibile che le onde radio possano segnalare eventi di così grande energia”, ha commentato Roger Chevalier della University of Virginia.

Lo studio, svincolando l'individuazione delle supernove dall'uso dei satelliti per l'individuazione dei raggi gamma, apre nuove prospettive alla ricerca astronomica. “Le osservazioni radio diventeranno presto uno strumento più potente dei satelliti nella ricerca di questo tipo di supernova”, ha concluso Alice Sodererberg dell'Harvard Smithsonian Center for Astrophysics, “soprattutto grazie alle nuove prospettive offerte dal nuovo radiotelescopio Expanded Very Large Array in arrivo”. Per esempio potrebbero essere individuate stelle in cui i raggi gamma vengono smorzati nel momento dell'esplosione o vengono lanciati lontano dalla Terra. (c.v.)

Riferimenti: Nature doi:10.1038/nature08714

Come trasformare una cellula della pelle in un neurone.


Fonte: Le Scienze
-----------------------------
Finora si riteneva indispensabile riportare prima le cellule già differenziate a uno stato di pluripotenza indotta.
Trasformare cellule della pelle di topo in neuroni funzionanti: c'è riuscito un gruppo di ricercatori dello Stanford University Medical Center con l'l'inoculazione di tre geni. Questo cambiamento è avvenuto senza dover prima riportare le cellule allo stadio di pluripotenza, un passo a lungo ritenuto indispensabile per poter riconvertire delle cellule già differenziate.

La scoperta, descritta in un articolo pubblicato su "Nature" potrebbe rivoluzionare le future terapie basate sulle cellule staminali, e richiedere una riorganizzazione delle conoscenze sulle modalità con cui le cellule si differenziano e conservano lo stato raggiunto.

"Abbiamo direttamente e attivamente indotto un tipo di cellule a diventare una cellula di tipo completamente diverso", ha detto Marius Wernig, che ha diretto la ricerca. "Si tratta di neuroni perfettamente funzionanti, in grado di fare tutte le principali funzioni svolte da quelli cerebrali".

Wernig nel 2007 aveva partecipato agli studi grazie a cui il gruppo di ricerca di Rudolf Jaenisch del Whitehead Institute, in Massachusetts, era riuscito a indurre uno stato di pluripotenza in cellule di pelle umana infettate con fattori di trascrizione ricavate da staminali in vista di una loro successiva differenziazione in un tipo cellulare differente. Successivamente si è posto la domanda se il passaggio attraverso il ritorno alla pluripotenza fosse strettamente necessario.

Per testare l'ipotesi Wernng e colleghi hanno iniziato a studiare 19 geni coinvolti o nella riprogrammazione epigenetica o nello sviluppo dei neuroni, infettando attraverso un lentivirus cellule di topo con quei geni e osservando la risposta cellulare. In questo modo sono arrivati a isolare un gruppo di soli tre geni

La ricerca suggerisce quindi una via alternativa alla riconversione alla pluripotenza per ottenere cellule differenziate di altro tipo. Secondo Wernig trovando la giusta combinazione di geni che specificano il "destino" cellulare e inserendoli nela cellula differenziata, si innesca un effetto domino nella cellula ricevente che permette di aggirare le modificazioni del DNA che limitano e specificano la funzione cellulare, e di dotare il paesaggio genomico di un nuovo imprinting che ne cambia il destino.

I ricercatori riferiscono inoltre di aver avuto un tasso di successo nella riconversione del 20 per cento, dunque molto superiore a quello che si ottiene attualmente con le cellule prima indotte in uno stato di pluripotenza, che si aggira sull'1-2 per cento.

Ora i ricercatori cercheranno di ottenere risultati analoghi in cellule umane. (gg)

Prove di superconduzione per l'idrogeno.


Fonte: Le Scienze
---------------------------
Una ricerca su tre tipi di idruri metallici hanno dimostrato che tale fenomeno si manifesta a pressioni comprese tra 10 e 20 GPa, e ad alcune decine di gradi Kelvin.
Per lungo tempo i fisici si sono chiesti se l’idrogeno, l’elemento più abbondante dell’universo possa essere trasformato, in opportune condizioni di pressione e temperatura, in un metallo ed eventualmente in un superconduttore. Le speculazioni teoriche tuttavia non si sono mai concretizzate in una dimostrazione sperimentale.

Ora i ricercatori della Carnegie Institution guidati da Ho-kwang (Dave) Mao, hanno ottenuto un modello di tre leghe metallo denso-idrogeno e trovato che esistono schemi di pressione e temperatura associati a uno stato di superconduzione, ponendo le basi per uno sfruttamento in questo senso di questo abbondante materiale.

Per diventare superconduttori, tutti i materiali noti devono essere raffreddati al di sotto della cosiddetta temperatura di transizione, rendendoli poco utili per la maggior parte delle applicazioni. La superconduttività può essere indotta, oltre che con la manipolazione chimica necessaria per innalzare la temperatura di transizione, dall’alta pressione. Un ruolo importante per la definizione delle caratteristiche e le pressioni che possono determinare temperature di transizione più alte è la modellizzazione al computer.

Nel corso dello studio, pubblicato sulla versione online dei Proceedings of the National Academy of Sciences, i ricercatori hanno modellizzato le proprietà di base dei materiali a partire dal comportamento atomico di tre idruri metallici (composti in cui atomi metallici si legano ad atomi d’idrogeno) in una struttura reticolare in tre diversi scenari in specifiche condizioni di temperatura, pressione e composizione: il triidruro di scandio (ScH3), triidruro di ittrio (YH3) e triidruro di lantanio (LaH3).

"Abbiamo trovato che la superconduttività si instaura a pressioni comprese tra 100.000 e 200.000 volte (da 10 a 20 GPa) la pressione atmosferica al livello del mare, ovvero in corrispondenza di valori che sono un ordine di grandezza inferiore delle pressioni di composti correlati che in cui la struttura molecolare vede quattro atomi di idrogeno invece di tre”, ha sottolineato Mao, del Geophysical Laboratory della Carnegie.

In particolare si è trovato che il triidruro di lantanio si stabilizza a circa 100.000 atmosfere e a una temperatura di transizione di 20 Kelvin, mentre gli altri due composti si stabilizzano a circa 200.000 atmosfere e a temperature, rispettivamente di 18 K e 40 K.

I risultati della sperimentazione, inoltre, fanno ipotizzare che lo stato di superconduzione derivi dall’interazione degli elettroni con l’energia vibrazionale di tutto il reticolo. A pressioni superiori a 350.000 atmosfere (35 GPa) la superconduttività scompare e tutti e tre i materiali tornano a essere normali metalli. Solo nel triidruro di ittrio, essa ricompare a circa 500.000 atmosfere. (fc)

Idrogeno come superconduttore? È il sogno di molti scienziati

----------------------------
Uno studio su Pnas mostra le proprietà di alcuni composti in cui il metallo è unito a tre molecole di gas, indicando una nuova strada da percorrere.
Idrogeno come superconduttore? È il sogno di molti scienziati che finora però si sono scontrati con solidi ostacoli. Un passo in più in questa direzione sembrano averlo fatto i ricercatori della Carnegie Institution for Science di Washington con uno studio pubblicato su Proceedings of the National Academy of Sciences, nel quale propongono i modelli di tre leghe metalliche dense a tre molecole di idrogeno.

L’idrogeno, un gas costituito soltanto di un protone e un elettrone, è il più semplice e abbondante degli elementi presenti in natura. La sua leggerezza lo rende un ideale trasmettitore di energia ma solo se raffreddato e solidificato a temperature molto basse (-259,14º C), dette “di transizione”. Da più di cinquant'anni i fisici tentano di usarlo come per creare metalli superconduttori, materiali che non oppongono alcuna resistenza al passaggio di corrente elettrica. Fino a oggi gli esperimenti sono stati frustrati dall’eccessiva quantità di pressione necessaria a raffreddarlo. I ricercatori della Carnegie hanno finalmente scoperto che la superconduttività può essere indotta anche mediante pressioni minori.

È il caso di alcuni idruri metallici – composti in cui il metallo è unito all'idrogeno in una struttura molecolare a forma di rete – formati da tre atomi di idrogeno anzichè quattro come tentato finora. I tre modelli proposti dagli scienzati sono quelli del Triidruro di scandio (ScH3), Triidruro di ittrio (YH3) e Triidruro di lantanio (LaH3). “Abbiamo scoperto che in questi idruri la superconduttività si instaura a pressioni comprese tra centomila e duecentomila volte la pressione atmosferica a livello del mare, in corrispondenza di valori molto inferiori rispetto a quelli necessarie per composti in cui la struttura molecolare prevede quattro atomi di idrogen”, ha spiegato Ho-kwang Mao, del Laboratorio di Geofisica della Carnegie.

L’impiego dei materiali superconduttori nel settore elettrico è destinato a diffondersi sempre più nei prossimi anni, con il duplice obiettivo di migliorare l’efficienza energetica e ridurre l’impatto ambientale. “La temperatura e la pressione necessarie per lavorare con i triidruri sono facilmente ottenibili in laboratorio è li rendono materiali molto promettenti per future sperimentazioni che confermino i nostri risultati”, ha conluso Ho-kwang Mao. (a.o.)

Riferimenti: Pnas /doi/10.1073/pnas.0914462107

martedì 19 gennaio 2010

La struttura tristratificata del guscio di Crysomallon squamiferum potrebbe ispirare una nuova generazione di armature.

----------------------------
Un mollusco oceanico potrebbe salvare la vita di molti soldati nei prossimi anni. Secondo uno studio condotto da Christine Ortiz del Mit (Massachussets Institute of Technology, Boston), infatti, copiare il guscio corazzato della lumaca di mare Crysomallon squamiferum potrebbe aiutare a costruire corazze più resistenti. Questo gasteropode, presente nell'Oceano Indiano, posiede un guscio in grado di dissipare una quantità di energia tale da frantumare facilmente una comune conchiglia. La ricerca, pubblicata su Proceeding of the National Academy of Sciences, è stata finanziata in parte dall'esercito e dal Dipartimento della Difesa statunitensi.

L'attenzione della Ortiz si è concentrata sulla C. squamiferum nel 2003, poco dopo la scoperta del mollusco. Questo gasteropode vive sul fondo dell'oceano, nel campo idrotermale di Kairei, un ambiente pieno di sorgenti di aria calda e particolarmente ostile. Qui la lumaca è esposta continuamente a fluttuazioni della temperatura, a un'alta acidità e agli attacchi di predatori come i granchi. Per difendersi si affida a un'armatura a tre strati: uno strato calcificato più interno, uno sottile centrale, di materia organica, e una copertura più esterna, formata da un strato mineralizzato di un composto di zolfo e ferro (solfuro di ferro). La Crysomallon squamiferum è l'unico animale noto dotato di uno questo strato (molte altre conchiglie presentano solo gli altri due).

Nello studio i ricercatori statunitensi hanno misurato le proprietà meccaniche della conchiglia con una punta di diamante e sottoponendola ad ampi sbalzi di temperatura. Grazie a queste simulazioni hanno potuto osservare che lo strato centrale di materiale organico riesce ad assorbire molta energia durante un attacco violento, migliora la dispersione del calore e l'assorbimento delle fluttuazioni termiche.

“Questo guscio può essere preso come modello per numerose applicazioni”, hanno concluso i ricercatori, “come la realizzazioni di armature e corazze per automezzi blindati. Oppure, in ambito civile, per la realizzazione di parti esterne di automobili e motociclette, di tubature che devono percorrere terreni rocciosi, o di caschi protettivi per numerosi sport”. (c.v.)

Riferimento: Pnas doi/10.1073/pnas.0912988107

Shiva ...la macchina che serve a "sperimentare" i terremoti.


Fonte: Corriere.it

Entrata in funzione all’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia di Roma.
Ecco la «macchina dei terremoti»
Serve a studiare come vengono stritolate le rocce più resistenti dalle scosse sismiche. Obiettivo: comprendere il meccanismo di questi fenomeni e prevederli.

MILANO - Mentre il mondo guarda inorridito le immagini di morte e distruzione che vengono da Haiti, nei laboratori dell'Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia (Ingv) di Roma è entrata in funzione Shiva, la più potente macchina esistente in un laboratorio europeo per studiare i processi che accompagnano la frattura delle rocce allo scatenarsi di un grande terremoto. Si tratta di un apparato che è la combinazione di un tornio e di una pressa, dalle prestazioni eccezionali perché è capace di imprimere a un campione di roccia velocità e pressioni del tutto simili a quelle che si manifestano allo scattare di un terremoto, quando nelle rocce profonde o superficiali della Terra si apre una frattura (detta anche faglia) i cui lembi sfregano e scorrono, generando spesso onde sismiche distruttive e liberando energie paragonabili a quelle di ordigni nucleari. Come si vede nel filmato dell'Ingv, la fusione anche dei più duri e resistenti materiali rocciosi, in poche frazioni di secondo, è proprio quel che succede lungo le superfici di scorrimento delle rocce. Il geofisico dell’Ingv Giulio Di Toro, responsabile del gruppo sperimentale che si dedica a questi studi, ricorda che Shiva, nella mitologia indù, è la divinità della distruzione, ma in questo caso il nome sta per «Slow to High Velocity Apparatus», con riferimento alle prestazioni dello straordinario apparecchio.


MODELLO SPERIMENTALE-Com’è possibile, dall’analisi del comportamento di un campione roccioso di pochi grammi (nel caso del video messo online dall’Ingv si tratta di «gabbro», ossia una roccia vulcanica intrusiva), trarre informazioni su fenomeni così imponenti come i processi di fagliazione, che spesso interessano porzioni di rocce lunghe decine di chilometri? «Il nuovo apparato sperimentale installato all’Ingv consente di studiare l’attrito delle rocce quando sono sottoposte a condizioni di sollecitazione tipiche di un terremoto: velocità di scivolamento fino a 10 metri al secondo e pressioni pari allo spessore di diversi chilometri di roccia –spiega Di Toro-. Dovendo impiegare provini di pochi centimetri di diametro, altrimenti la macchina avrebbe costi spropositati, siamo in grado di determinare il comportamento meccanico della roccia campione solo in un punto della faglia. Per estendere lo studio a tutta la faglia, gli studi sperimentali di dettaglio vanno integrati da quelli diretti delle faglie naturali . A questo scopo, stiamo conducendo una serie di ricerche nelle Alpi, dove affiorano delle faglie ormai inattive, per studiarne la geometria. Così, sommando studi sperimentali con studi sul terreno, possiamo avere una visione più completa della meccanica dei terremoti». Shiva fa parte di un progetto di più ampio respiro, finanziato dalla Unione Europea, che comprende rilevamenti geologici, mineralogici e geochimici, con l’obiettivo di mettere insieme informazioni aggiuntive rispetto a quelle ricavabili dalla sola analisi dei tracciati sismici, nella speranza di arrivare a una migliore comprensione dei meccanismi che precedono e accompagnano la rottura delle faglie sismogenetiche, e di poter formulare previsioni attendibili su dove e quando si manifesteranno almeno le scosse più distruttive.

Franco Foresta Martin
15 gennaio 2010

domenica 17 gennaio 2010

Creato un 'moltiplicatore' di cellule staminali:espande il numero delle staminali di un'unita' di sangue cordonale milioni di volte.


Fonte: ANSA
----------------------
(ANSA) - ROMA, 17 GEN - Creato un 'moltiplicatore' di cellule staminali del cordone ombelicale che rivoluzionera' l'esito dei trapianti di midollo per i leucemici.Il moltiplicatore espande il numero delle staminali di un'unita' di sangue cordonale milioni di volte, cosicche' il trapianto e' molto piu' efficace e in 14 giorni le cellule attecchiscono e cominciano a riprodurre cellule del sangue.L'idea si deve a un team di Seattle, ed i risultati degli esperimenti sono stati resi noti sulla rivista Nature Medicine.

Amos,primo robot dal passo naturale.


Fonte: ANSA
------------------
(ANSA) - ROMA, 17 GEN - Amos e' un nuovo robot che cammina in modo naturale come uomini e animali adattando il ritmo e il tipo di passo all'ambiente in cui si trova.
Lo ha messo a punto l'equipe di Marc Timme del Max Planck Institute assieme ai colleghi dell'Universita' di Gottingen. Il 'cervello' -riferisce Timme all'Ansa- usato per dotare di questa capacita' di movimento senza precedenti il robot, potra' essere usato nelle protesi per aiutare i pazienti a camminare in maniera piu' naturale.

Tumori cervello, spunta nuova cura.


Fonte: ANSA
---------------------
(ANSA) - ROMA, 17 GEN - Una scoperta di ricercatori italiani apre nuove speranze per la cura dei tumori cerebrali infantili.Un gruppo di ricercatori del dipartimento di Medicina sperimentale dell'Universita' La Sapienza di Roma ha infatti individuato un importante meccanismo responsabile del medulloblastoma, il piu' comune tumore cerebrale maligno dell'eta' infantile. Lo studio e' pubblicato oggi online sulla rivista Nature Cell Biology.

Tumori: arriva Pillcam per diagnosi: E' la videocapsula del futuro per la colonscopia.


Fonte: ANSA
-----------------
(ANSA) - ROMA, 15 GEN - Arriva Pillcam, l'evoluzione piu' sofisticata della videocapsula per fare la colonscopia. Sara' presentata al meeting mondiale del 17/1. Congresso che si svolgera' a Tarquinia (Viterbo), in cui saranno presentati i risultati preliminari del nuovo studio con questa videocapsula. Pillicam va giu' con un bicchiere d'acqua e poi si muove nell'intestino per 'rubare' immagini delle pareti, fermandosi nei punti sospetti e scattando foto 'a raffica' per non farsi sfuggire nulla.

sabato 16 gennaio 2010

Bagheera kiplingi, il primo ragno vegetariano.

Fonte: Moebiusonline.eu

a cura di Mariachiara Albicocco

Inauguriamo il 2010 Anno della biodiversità, con un animaletto che, negli ultimi giorni dl 2009, ha fatto saltare sulla sedia gli aracnologi di tutto il mondo.Si tratta di Bagheera kiplingi ed è il primo ragno vegetariano al mondo. Come tutti i ragni, questa specie è carnivora, ma nel corso della vita ha ritenuto più opportuno e 'conveniente' nutrirsi di corpi del Belt, piccole strutture all'apice delle foglioline di acacia molto ricche di proteine e vitamine. Un alternativa comoda e nutriente agli insetti imprigionati a fatica nella tela.La scoperta è stata fatta da un gruppo di ricercatori della Villanova University e della Brandeis University nelle regioni tropicali del Sud America e del Messico meridionale ed è stata descritta in un articolo publicato su “Current Biology”.
Le curiosità su questo ragno non finiscono qui, oltre ad avere una super vista poichè possiede un occhio molto semplice in grado di vedere in quadricromia (percepiscono anche i raggi UV), sono gli unici aracnidi che cacciano 'a vista' proprio come i grandi felini (tigri, leoni e pantere). Non a caso... lo stesso nome Bagheera kipling è una citazione e un omaggio alla saggia pantera Bagheera del 'Libro della giungla' di Rudyard Kipling.
"E' davvero il primo ragno cacciatore di piante ed è anche il primo per il quale le piante sono la fonte di cibo primaria", così lo ha definito Christopher Meehan, della statunitense Villanova University, che ha scoperto questa insolita abitudine alimentare
Emanuele Biggi, aracnologo e divulgatore scientifico ci spiega tutti i particolari della scoperta e, sopratutto, l'importanza che ha sulla conservazione della biodiversità.

Ascolta l'intervista a Emanuele Biggi:
Scarica il file audio in mp3

Speciale Avatar (film): Audio interviste, trama, trailer ed altro ancora.

-------------------------------
a cura di Mariachiara Albicocco e Federico Pedrocchi

La sua fama lo ha preceduto.Ancor prima di uscire nelle sale cinematografiche italiane, il film del 2010 ha fatto parlare di sè e della novità assoluta in campo di animazione digitale che si porta in grembo. Addirittura il regista, James Cameron - Premio Oscar per "Titanic"- lo aveva concepito quando non esistevano ancora gli strumenti necessari per dare vita alla sua visione. Dopo 15 anni sono stati messi a punto e hanno dato vita ad effetti speciali davvero straordinari.Ci facciamo raccontare quali siano le reali novità tecniche e tecnologiche da Cristian Jezdic, 3D Supervisor di SQUARE. Sembrerebbe che la vera rivoluzione riguardi la 'motion capture'...

Ascolta l'intervista a Cristian Jezdic:
Scarica il file audio in mp3

Gli Avatar dei protagonisti altro non sono che esoscheletri robotici che inglobano i corpi degli essere umani. Ma uscendo dalla fantascienza, nella realtà si studiano davvero strutture di questo tipo? A cosa servono? Ci sono applicazioni nella vita reale? Lo chiediamo a Fabio Salsedo del laboratorio di interazione avanzata Uomo-Robot presso la Scuola Superiore Sant'Anna di Pisa.

Ascolta l'intervista a Fabio Salsedo:
Scarica il file audio mp3

Ed infine, abbiamo deciso di saperne di più sulla natura dei Na'vi, in particolare chiedendoci il perchè possiedano la coda. Un quesito dal sapore paleo-antropologico che il prof. Giorgio Manzi, docente di storia naturale dei primati alla Sapienza di Roma, cercherà di soddisfare.

Ascolta l'intervista a Giorgio Manzi:

Trama:
Entriamo in questo mondo alieno attraverso gli occhi di Jake Sully, un ex Marine costretto a vivere sulla sedia a rotelle. Nonostante il suo corpo martoriato, Jake nel profondo è ancora un combattente. E' stato reclutato per viaggiare anni luce sino all'avamposto umano su Pandora, dove le corporazioni stanno estraendo un raro minerale che è la chiave per risolvere la crisi energetica sulla Terra. Poiché l'atmosfera di Pandora è tossica, è stato creato il Programma "Avatar", in cui i "piloti" umani collegano le loro coscienze ad un avatar, un corpo organico controllato a distanza che può sopravvivere nell'atmosfera letale. Questi avatar sono degli ibridi geneticamente sviluppati dal DNA umano unito al DNA dei nativi di Pandora… i Na'vi. Rinato nel suo corpo di Avatar, Jake può camminare nuovamente. Gli viene affidata la missione di infiltrarsi tra i Na'vi che sono diventati l'ostacolo maggiore per l'estrazione del prezioso minerale. Ma una bellissima donna Na'vi, Neytiri, salva la vita a Jake, e questo cambia tutto. Jake viene introdotto da lei nel clan e impara a diventare uno di loro attraverso numerose prove e avventure. Man mano che il rapporto tra Jake e la sua istruttrice ribelle Neytiri si approfondisce, lui impara a rispettare il modo di vivere dei Na'vi e finisce col trovare il suo posto tra loro. Presto dovrà superare la prova finale mettendosi alla loro guida in un'epica battaglia che deciderà il destino di un intero mondo.

venerdì 15 gennaio 2010

Com'è organizzato il dizionario cerebrale.

Fonte: Le Scienze
----------------------
Per classificare i nomi comuni, il cervello ricorre a tre parametri che hanno a che fare con i rapporti che gli oggetti denotati hanno con le azioni di manipolarli, usarli come difesa o mangiarli.
Combinando tecniche di visualizzazione cerebrale e algoritmi di apprendimento per computer un gruppo di ricercatori della Carnegie Mellon University ritiene di aver individuato una "stele di Rosetta" per comprendere il modo con cui il cervello organizza la rappresentazione dei nomi comuni. "In effetti abbiamo scoperto come è organizzato il dizionario cerebrale", ha detto Marcel Just, uno dei due neuroscienziati del gruppo di ricerca che firma un articolo sulla rivista on line "PLoSOne". "Non è ordinato alfabeticamente o per dimensione o colore degli oggetti. Sono tre caratteristiche di base che il cervello sfrutta per definire nomi comuni come appartamento, martello, carota."Questi tre codici fondamentali sono rappresentati dal modo in cui si interagisce fisicamente con l'oggetto (lo si può tenere, calciare, ecc.); dal modo in cui si relazione con l'azione di mangiare (mordere, sorseggiare, assaggiare, deglutire); e dal modo con cui è in relazione con azioni come proteggere o difendere. Questi tre fattori, ciascuno codificato in tre-cinque differenti aree cerebrali sono state individuate attraverso un algoritmo computazionale che ha cercato le somiglianze nelle attivazioni cerebrali di un gruppo di soggetti esposti a 60 nomi che indicavano oggetti fisici.La parola "casa", per esempio, attivava fortemente tutte e cinque le aree di codifica per parole coinvolte nel difendere-nascondere. "Martello" attivava il codice per l'interazione fisica nella corteccia motoria: "Per il cervello una parte centrale del significato di martello è legata al come lo si può impugnare la corteccia senso-motoria lo rappresenta come 'impugnare il martello' " spiega Vladimir Cherkassky, l'altro neuroscienzaito del gruppo.Inoltre, i significati dei nomi sono risultati essere codificati allo stesso modo in tutti i partecipanti alla prova: "Ciò dimostra che quando due persone pensano alla parola 'martello' o 'casa', i loro schemi di attivazione sono molto simili. Inoltre, i nostri risultati indicano che i tre codici cerebrali scoperti catturano dei mattoni fondamentali condivisi da tutte le persone" ha aggiunto Tom Mitchell, il ricercatore che con Sandesh Aryal ha curato gli aspetti informatici dello studio.Nello studio, nel quale i soggetti in esame non sono stati stimolati con immagini degli oggetti ma direttamente con le parole con cui li si designa, i ricercatori sono stati successivamente in grado di predire - grazie all'algoritmo sviluppato - gli schemi di attivazione cerebrale che si sarebbero manifestati dopo la presentazione ai soggetti di altre parole /sempre relative a oggetti) che in precedenza non erano state loro sottoposte. Per converso, osservando gli schemi di attivazione ottenuti, erano in grado di indicare con un elevato grado di successo quale delle 60 parole i soggetti stavano pensando.Al momento, hanno osservato i ricercatori, manca sicuramente il codice relativo a un aspetto essenziale del comportamento umano, quello relativo a sesso, amore e riproduzione: "Il nostro vocabolario di 60 nomi-test non conteneva parole relative a questa dimensione, come 'moglie', fidanzato o semplicemente 'persona'. Ci aspettiamo che oltre alle tre dimensioni trovate faccia parte del codice cerebrale dei nomi anche una specifica dimensione umana", ha detto Just.La ricerca può avere interessanti implicazioni anche sul piano terapeutico di diverse patologie: "Nelle patologie psichiatriche e neurologiche il significato di certi concetti è talvolta distorto. Queste nuove tecniche rendono possibile la misurazione di queste distorsioni e quindi puntare a una loro de-distorsione. Per esempio una persona agorafobica può mostrare una codifica esagerata della dimensione 'difendere'. Un autistico può avere una ridotta codifica del contatto sociale", ha osservato Just. (gg)

Più veloce del previsto l'evoluzione del cromosoma Y.

Fonte: Le Scienze
-----------------------
Sono state riscontrate notevoli differenze nelle sequenze geniche dei cromosomi Y delle due specie: questi cromosomi si sono evoluti più velocemente del resto del genoma.
Una teoria scientifica consolidata vorrebbe il cromosoma Y dei mammiferi in una fase di stabilità evolutiva, o addirittura di decadimento. Nuove evidenze scientifiche suggeriscono come in realtà tale cromosoma stia evolvendo rapidamente tramite un continuo e completo rinnovamento.
Grazie al primo confronto allargato interspecie, i ricercatori del
Whitehead Institute del Massachusetts Institute of Technology hanno trovato notevoli differenze nelle sequenze geniche dei cromosomi Y di esseri umani e scimpanzé, significativi del fatto che questi cromosomi si sono evoluti più velocemente rispetto ai loro rispettivi genomi nel corso di sei milioni di anni che li separano da un loro comune antenato.
"La regione del cromosoma Y che si è evoluta più rapidamente di tutte è quella che svolge un ruolo importante nella produzione di sperma”, ha spiegato Jennifer Hughes, che ha partecipato alla ricerca e firma come coautrice l'articolo di resoconto pubblicato sulla rivista Nature. ”Il resto della Y si sta evolvendo in modo più simile al resto del genoma, solo un po' più velocemente”.il risultato, inoltre, ha confutato l'aspettativa che i cromosomi Y di esseri umani e scimpanzé fossero molto simili. "Questo lavoro mostra chiaramente che l'Y è assai ingegnoso nell'usare differenti strumenti del genoma per mantenere la diversità tra i geni”, ha aggiunto Wes Warren ricercatore del Washington University Genome Center. “I risultati mostrano che la nostra conoscenza del cromosoma è ancora in divenire.”
Hughes e Page ipotizzano che l'evoluzione divergente del cromosoma Y dello scimpanzé e dell'essere umano possa essere dovuta a diversi fattori, inclusi i tratti specifici del cromosoma Y e differenze nei comportamenti di accoppiamento.
Poiché molti scimpanzé si possono accoppiare con una femmina in rapida successione, lo sperma maschile è sempre impegnato in un'ardua competizione riproduttiva. Se un maschio produce più sperma ha teoricamente più probabilità di ingravidare la femmina e di propagare alla generazione successiva i geni che sono responsabili della sua produzione, alcuni dei quali fanno parte del cromosoma Y.
Poiché la pressione selettiva per far passare i geni di untratto vantaggioso è così alta, questi geni possono anche trascinare con sé tratti genetici svantaggiosi nella generazione successiva.
Tale trasmissione è permessa perché, a differenza di altri cromosomi, l'Y non ha alcun partner con cui scambiare geni durante la divisione cellulare. Tale processo consente infine di associare versioni positive di un certo gene eliminando quelle deleterie. Senza di esso, per contro, il cromosoma Y è trattato dal'evoluzione come un'entità unica, positiva o negativa.
Negli scimpanzé, la combinazione dell'intensa pressione selettiva sulla produzione di sperma con l'impossibilità di scambiare geni può aver determinato la rapida evoluzione del cromosoma. (fc)

Nel genoma i resti silenti di antiche infezioni.

Fonte: Le Scienze
------------------------
Le sequenze di DNA di origine retrovirale che costellano il genoma umano sono tenute sotto controllo da proteine inibitorie orchestrate da una proteina master, la KAP1.
E' noto che il nostro genoma è composto per una sua frazione significativa da sequenze di DNA derivanti dal patrimonio genetico di “invasori”, per lo più retrovirus, che infettarono milioni di anni fa i nostri antenati e in particolare le loro cellule geminali.
Perché, e come, queste sequenze restino peraltro costantemente silenti e non provochino danni finora non era ancora stato chiarito. Ora un gruppo di ricercatori del Politecnico di Losanna diretti da Didier Trono è riuscito a individuare il meccanismo e lo descrive in
un articolo pubblicato su “Nature”.
Studiando cellule staminali embrionali di topo, Trono e collaboratori hanno scoperto che il DNA di topo codifica un cospicuo numero di proteine destinate a riconoscere le numerose sequenze di basi di origine virale presenti nel genoma. I ricercatori hanno anche dimostrato che una proteina, chiamata KAP1, ha la funzione di orchestrare l'attività inibitoria di tutte queste altre proteine di geni virali. Se KAP1 viene rimossa, il DNA virale si “risveglia”, determina numerose mutazioni e l'embrione nella generalità dei casi muore.
Dato che i retrovirus tendono a mutare il DNA dell'ospite, hanno una enorme potenzialità e capacità di alterare i geni. Nel corsi delle antiche pandemie alcuni individui sono stati in grado, grazie a opportune mutazioni, di sviluppare meccanismi di silenziamento dei geni di questi virus, trasmettendo questa capacità alla propria progenie.
"Nel nostro genoma ritroviamo le tracce delle ultime due principali ondate. La prima ha avuto luogo 100 milioni di anni fa, quando i mammiferi iniziarono a svilupparsi, la seconda circa cinquanta milioni di anni fa, proprio prima dei primi primati antropoidi”.
La scoperta del meccanismo KAP1 potrebbe in prospettiva avere implicazioni nella ricerca di nuove strategie terapeutiche per combattere l'AIDS, il cui virus può restare silente nelle cellule ematiche che infetta, così da proteggersi dai possibili trattamenti. Il suo risveglio controllato potrebbe quindi permettere di aggredirlo. (gg)

Artemisinina, sostanza vegetale ricavata dall’Artemisia, contro la Malaria.

------------------------
Per combattere l'infezione i ricercatori puntano sulla produzione di artemisinina, sostanza vegetale ricavata dall’Artemisia. Lo studio su Science.
Dai laboratori ai campi per combattere la malaria. I ricercatori dell'Università di York hanno completato la mappa genetica dell’Artemisia annua, pianta da cui si ricava l’artemisinina, sostanza utilizzata per la cura della malattia, pubblicando i risultati su Science. Lo studio permetterà di individuare le linee genetiche che possiedono quei caratteri chiave per incrementare la redditività dei raccolti abbassandone i costi. Migliorare la produttività dei raccolti, infatti, è uno dei nuovi obiettivi dei ricercatori nella battaglia contro la malaria.
Il risultato ottenuto dal gruppo di ricerca coordinato da Ian Graham dell’Università di York arriva a 25 anni di distanza da quando Daniel Klayman dello
Smithsonian Institution riuscì a cristallizzare l’artemisinina pura. Prima di allora, solo gli scienziati cinesi sapevano farlo, ma non erano ben disposti a collaborare con i colleghi occidentali. Solo un anno fa, però, la Food and Drug Administration ha finalmente approvato un protocollo per l’uso dell’artemisinina nel trattamento delle forme meno acute di malaria.
Questo ha portato a una crescita della domanda e lo studio di Graham potrebbe di risolvere uno dei maggiori problemi connessi all’uso terapeutico dell’Artemisia: soddisfare la richiesta mondiale. “Intendiamo fornire nuove sementi agli agricoltori entro i prossimo due o tre anni”, ha spiegato Dianna Bowels, coautrice dello studio, “è un termine molto stretto e possiamo farcela solo utilizzando le nuove informazioni nascoste in questa mappa”.
Tuttavia c'è chi ritiene improbabile che solo migliorando le tecniche di coltivazione si riesca a soddisfare la crescente richiesta di questa pianta. Ecco perché la
Fondazione Bill e Melinda Gates e la Medicines for Malaria Venture - partnership internazionale pubblica e privata che ha finanziato lo studio dell'Università di York - sta pensando a una triplice strategia da realizzare entro il 2015. Oltre a implementare le tecniche di orticoltura per rendere le piante più robuste e produttive, altri due obiettivi sono sviluppare composti sintetici simili all’artemisinina facili da produrre e più economici, e lavorare a sistemi batterici in grado di sintetizzare precursori di questa sostanza.
Purtroppo entrambe queste ultime due strategie hanno mostrato più limiti di quanto previsto e sembra che l’unica strada capace di garantire risultati immediati sia proprio quella “botanica” intrapresa da Graham. (m.s.)
Riferimenti:
Science DOI: 10.1126/science.1184780DOI: 10.1126/science.1182612

giovedì 14 gennaio 2010

Un fegato virtuale per una chirurgia migliore.

Fonte: Cordis
--------------------
Ricercatori europei hanno sviluppato un fegato virtuale per un miglior recupero dei pazienti con patologie quali il tumore del fegato e la cirrosi epatica. Il lavoro iniziale è stato svolto nel quadro del progetto Odysseus di EUREKA. EUREKA promuove la ricerca internazionale orientata al mercato. Il fegato virtuale è ora oggetto di ulteriori sviluppi nell'ambito del progetto PASSPORT ("Patient specific simulation and preoperative realistic training for liver surgery"), finanziato dall'Unione europea. PASSPORT è finanziato con 3,6 milioni di euro dal tema "Tecnologie dell'informazione e della comunicazione" (TIC) del Settimo programma quadro (7° PQ). Insieme, la cirrosi epatica e il tumore del fegato uccidono ogni anno in Europa circa 90.000 persone. Uno dei trattamenti principali per queste malattie è la chirurgia, il cui scopo è quello di rimuovere completamente il tessuto malato, garantendo comunque al paziente una quantità sufficiente di tessuto epatico rimanente per sopravvivere. Attualmente i medici usano immagini cliniche del fegato per decidere quali pazienti hanno sufficiente tessuto sano per poi procedere agli interventi chirurgici. Tuttavia, l'interpretazione delle immagini bidimensionali (2D) è piuttosto complessa, come lo sono lo studio e l'analisi con altri esperti non fisicamente presenti. Il progetto Odysseus ha sviluppato un programma software per la produzione di immagini tridimensionali (3D) del fegato del paziente che offre la possibilità di condivisione di queste immagini tra esperti che si trovano in luoghi diversi. Il programma fornisce ai medici informazioni dettagliate sulla conformazione del fegato del paziente e sulla localizzazione dei vasi sanguigni nell'organo. Questi dettagli dovrebbero portare ad un aumento del numero di pazienti idonei alla chirurgia e costituiscono un sostegno per i medici nella programmazione delle operazioni. "La futura chirurgia del fegato sarà più precisa, grazie ai modelli in 3D che permettono un'identificazione precisa dei vasi sanguigni del fegato", spiega il professor Luc Soler, dell'Institut de Recherche contre les Cancers de l'Appareil Digestif (IRCAD), in Francia. Oltre a fornire ai medici un nuovo ed importante strumento diagnostico, il nuovo programma ha gettato nuova luce sulla segmentazione del fegato. Ad oggi, la chirurgia del fegato si è basata su un modello di fegato creato nel 1957. Il programma di modellazione in 3D del fegato rivela che, in effetti, quasi il 50% dei pazienti presenta una struttura epatica molto diversa dal modello del 1957. In realtà il sistema ricorre ad una serie di tecnologie diverse. Oltre agli strumenti Virtual Patient Modelling, che permettono una valutazione pre-operatoria, il programma Diagnosis and Virtual Planning permette il posizionamento di strumenti nelle immagini tridimensionali, che possono poi essere ricostruite su un qualsiasi computer dotato di strumenti multimediali. Due simulatori permettono ai chirurghi di operare sul fegato virtuale prima di effettuare l'operazione sul paziente. I simulatori mimano la trama e la resistenza del tessuto epatico con una precisione tale che i medici dicono che è difficile distinguere tra le immagini del simulatore e le fotografie dell'intervento reale. I simulatori possono anche servire per addestrare i chirurghi. Un sistema di comunicazione chiamato Argonaute permette poi agli utenti presenti in luoghi diversi di interagire contemporaneamente tra di loro e di dare una propria valutazione sulla base delle immagini. I partner del progetto - in Francia, Germania e Norvegia - sono già impegnati nella commercializzazione delle loro nuove tecnologie e applicano il nuovo sistema negli ospedali. Nel contempo, il lavoro iniziato nell'ambito di Odysseus continua attraverso il progetto PASSPORT, iniziato a giugno 2008. PASSPORT fornirà ulteriori informazioni biologiche, meccaniche, dinamiche e di immagine al modello geometrico sviluppato da Odysseus. I partner del progetto hanno già migliorato il programma software, che è disponibile gratuitamente su internet.
Per maggiori informazioni, visitare: EUREKA:
http://www.mged.org/ Progetto PASSPORT: http://www.passport-liver.eu
Categoria: ProgettiFonte: EUREKADocumenti di Riferimento: Sulla base di informazioni fornite da EUREKAAcronimi dei Programmi: MS-FR C, MS-D C, FP7, FP7-COOPERATION, FP7-ICT, FUTURE RESEARCH-->Codici di Classificazione per Materia: Coordinamento, cooperazione; Servizi/prestazioni sanitarie ; Applicazioni della tecnologia dell'informazione e della comunica; Elaborazione dati, Sistemi di informazione; Medicina, sanità; Ricerca scientifica
RCN: 31650

I fiori ci aiutano a capire il controllo dei geni.

Fonte: Cordis
------------------
Ricercatori inglesi e polacchi hanno fatto luce su come le piante adattano la loro fioritura al clima e su come vengono controllati i geni. I risultati della ricerca fanno parte del progetto SIROCCO ("Silencing RNAs: organisers and coordinators of complexity in eukaryotic organisms"), finanziato con quasi 12 milioni di euro dal Sesto programma quadro (6° PQ). Un ulteriore finanziamento è stato assicurato da una borsa Marie Curie Early Stage Training. I risultati sono stati pubblicati sulle riviste Science e Nature. Gli studi precedenti sul sequenziamento del genoma e sull'espressione genetica si concentravano sostanzialmente sulle trascrizioni dell'RNA (acido ribonucleico) messaggero generate da geni che codificano le proteine. Tuttavia, oltre a questo RNA - detto codificante - i ricercatori hanno scoperto che l'RNA non codificante è funzionale anche nella regolazione delle attività genetiche. Anche se si conosce poco del ruolo specifico dell'RNA non codificante, i ricercatori sono stati comunque in grado di collegarlo allo sviluppo dei tumori. Si ritiene, inoltre, che l'RNA non codificante possa avere un ruolo nella differenziazione delle cellule staminali. Caroline Dean, professoressa del John Innes Centre, nel Regno Unito, guida un gruppo di studio che cerca di capire come le piante controllano la fioritura nei vari sistemi climatici. Questa ricerca ha anche aiutato gli scienziati a capire come viene elaborato l'RNA non codificante e come questo agisce sull'espressione genetica. I risultati della ricerca dimostrano inoltre il ruolo che un modello di studio basato sulle piante può avere nella comprensione del controllo genetico. Lo studio si è concentrato in particolare su un gene dell'Arabidopsis che sopprime la fioritura: il Flowering Locus C (FLC). La ricerca ha rivelato che la disattivazione di questo gene attiva la fioritura della pianta e la sua fase riproduttiva. La tempistica di questo processo è fondamentale per la riproduzione della pianta. Gli studi hanno rivelato che ci sono diversi segnali che interagiscono con l'FLC, sia per l'attivazione che per la disattivazione della fioritura. Un segnale, ad esempio, è un lungo periodo di freddo, che, per un certo numero di piante, è essenziale per la fioritura. Il processo è chiamato vernalizzazione e garantisce l'inizio della fioritura in condizioni ottimali (ad esempio, alla fine dell'inverno e all'inizio della primavera). La ricerca sull'FLC permette poi ai ricercatori di comprendere meglio la complessità della regolazione genetica, sia nelle piante che in altri organismi. L'RNA non codificante che è presente nei geni FLC è essenziale per la disattivazione dell'FLC al momento dell'insorgere di condizioni di freddo. Una volta disattivato, questo gene "ricorda" la circostanza per il resto del suo ciclo vitale e rimane "in silenzio" anche dopo la scomparsa delle condizioni di freddo. Secondo i ricercatori, questa memoria epigenetica è conservata anche in presenza di modifiche della cromatina, la complessa combinazione di DNA (acido desossiribonucleico) e proteine che forma i cromosomi. I ricercatori sono estremamente interessati al gene FLC e alla vernalizzazione perché ci si chiede come i cambiamenti climatici possano avere un effetto sulle piante. Le piante presenti in climi freddi hanno bisogno di periodi di vernalizzazione più lunghi. Le variazioni del gene FLC e i diversi modi in cui questo è influenzato hanno dato alle piante la capacità di adattarsi a climi diversi. Tuttavia, possono esserci problemi in presenza di rapidi cambiamenti climatici, che possono interrompere le modalità di adattamento delle piante e che, in definitiva, possono avere ricadute sulle forniture alimentari. Ha partecipato alla ricerca anche l'Accademia polacca delle scienze.
Per maggiori informazioni, visitare: John Innes Centre:
http://www.jic.ac.uk/corporate/index.htm Accademia polacca delle scienze: http://www.english.pan.pl/ Science: http://www.sciencemag.org/ Nature: http://www.nature.com/
ARTICOLI CORRELATI: 27533, 31173
Categoria: Risultati dei progettiFonte: John Innes Centre; ScienceDocumenti di Riferimento: Liu, F., et al. (2009) Targeted 3' Processing of antisense transcripts triggers Arabidopsis FLC Chromatin Silencing. Science, pubblicato online il 3 dicembre. DOI: 10.1126/science1180278.Acronimi dei Programmi: MS-UK C, FP6-INTEGRATING, FP6-LIFESCIHEALTH, FRAMEWORK 6C, FP6-MOBILITY, FP6-STRUCTURING, FP7, FP7-PEOPLE, FUTURE RESEARCH-->Codici di Classificazione per Materia: Agricoltura; Coordinamento, cooperazione; Scienze biologiche; Ricerca scientifica
RCN: 31657

Ricercatori dell'UE studiano gli effetti dei fenomeni meteorologici estremi sui trasporti.

Fonte: Cordis
-------------------
Nell'Unione europea sia i responsabili delle politiche che i cittadini sono preoccupati dell'impatto che i fenomeni meteoroligici estremi possono avere sul sistema dei trasporti. Per questo motivo, il progetto EWENT ("Extreme weather impacts on European networks of transport") cercherà di individuare e definire questi fenomeni meteorologici estremi e i loro effetti. I partner del progetto hanno ricevuto un finanziamento di quasi 1,5 milioni di euro attraverso il tema "Trasporti" del Settimo programma quadro (7° PQ) dell'UE. Coordinato dal VTT Technical Research Centre in Finlandia, EWENT svilupperà scenari importanti per stimare le conseguenze di eventi meteorologici estremi rischiosi. Il progetto calcolerà anche i costi prodotti dalle interruzioni del traffico alle infrastrutture, operazioni e parti terze, come ad esempio l'impatto sulle catene di fornitura, i danni materiali e la perdita di vite umane; esso valuterà inoltre le misure e alternative per mitigare, controllare e monitorare gli impatti negativi sia sui beni che sulle persone, nel breve e lungo termine. A spronare i ricercatori EWENT è stata la crescente preoccupazione su come il cambiamento climatico sta provocando eventi meteorologici estremi. Il consorzio - composto da 10 membri - si sta concentrando anche sulla sicurezza e affidabilità del trasporto aereo, terrestre e marittimo. "Esiste un'enorme quantità di informazioni sugli effetti dei fenomeni meteorologici, ma è la prima volta che un progetto cerca di valutare i costi in maniera metodica", spiega il capo del progetto, il dottor Pekka Leviäkangas del VTT. In definitiva, i ricercatori tentano di sostenere l'adattamento al cambiamento climatico. I risultati del progetto andranno a supportare anche aziende, assicuratori e finanziatori di progetti. Secondo il team, le scoperte potrebbero rivestire un ruolo centrale per individuare requisiti migliori per le capacità di manutenzione, stimolare la cooperazione tra le varie autorità, migliorare la disponibilità immediata in casi eccezionali e creare criteri di adattamento per le infrastrutture. In una dichiarazione, il VTT afferma che uno dei compiti fondamentali dell'EWENT è di pre-ingegnerizzare metodi e processi nazionali ed europei per la gestione del rischio. Il progetto, che dovrebbe concludersi nel 2012, riunisce attori della ricerca e dell'industria da Austria, Cipro, Finlandia, Germania, Norvegia e Svizzera, nonché l'Organizzazione meteorologica mondiale delle Nazioni Unite. Il VTT ha detto che il comitato consultivo di EWENT è composto da rappresentanti del ministero dei Trasporti e delle comunicazioni in Finlandia, la Banca europea per gli investimenti, l'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE), la compagnia assicurativa tedesca Allianz e il Politecnico di Torino.
Per maggiori informazioni, visitare: VTT Technical Research Centre of Finland:
http://www.vtt.fi/?lang=en 7° PQ - Trasporti : http://cordis.europa.eu/fp7/transport/
ARTICOLI CORRELATI: 30904, 31516
Categoria: ProgettiFonte: VTT Technical Research Centre of FinlandDocumenti di Riferimento: Sulla base di informazioni fornite dal VTT Technical Research Centre in Finlandia.Acronimi dei Programmi: MS-A C, MS-D C, MS-I C, MS-FIN C, FP7, FP7-COOPERATION, FP7-TRANSPORT, FUTURE RESEARCH-->Codici di Classificazione per Materia: Aspetti commerciali; Cambiamento climatico e ricerca sul ciclo del carbonio; Coordinamento, cooperazione; Aspetti economici; Valutazione; Elaborazione dati, Sistemi di informazione; Meteorologia; Sicurezza; Ricerca scientifica; Sicurezza; Standard; Trasporti
RCN: 31655

La "catastrofe della materia oscura" e la formazione delle galassie.

Fonte: Le Scienze
----------------------
Durante le esplosioni di supernova nel nucleo della galassia vengono espulsi gas interstellare e materia oscura fredda.
Molti fenomeni astrofisici sono spiegabili solo presupponendo l'esistenza della materia oscura fredda. In questo modo è possibile per esempio dar conto della distribuzione delle galassie e della materia ordinaria nell'universo a grande scala (ossia nell'ordine dei miliardi di anni luce), e della radiazione fossile di fondo derivata dal Big Bang.
Tuttavia se lo si applica a singole galassie, che hanno dimensioni da centinaia a decine di migliaia di anni luce, questo modello porta a conclusioni non coerenti con le osservazioni degli astronomi.
Le previsioni del modello suggeriscono che le regioni centrali delle galassie ruotino a una velocità superiore a quella che risulta effettivamente dalle osservazioni astronomiche. Di conseguenza il modello implicherebbe una densità di materia oscura fredda al centro della galassia superiore a quella consentita dalle misurazioni. Per quasi due decenni astrofisici, fisici delle particelle e astronomi si sono arrovellati per risolvere questa discrepanza, nota anche come “catastrofe della materia oscura fredda”, ma ogni soluzione apparentemente convincente ha sempre portato a successive ulteriori discrepanze.
Ora
uno studio pubblicato su "Nature" è riuscito a dar conto di questa discrepanza e a risolvere l'enigma.
"Gran parte dei lavori precedenti includeva solamente una semplice descrizione di come e dove le stelle si sono formate all'interno delle galassie, o addirittura non ne contemplava la formazione. Noi abbiamo invece eseguito delle simulazioni che includevano una più precisa descrizione di dove e come avviene la formazione di stelle nelle galassie”, ha detto Fabio Governato, dell'Istituto nazionale di astrofisica (INAF) e docente all'Università di Washington, che con Lucio Mayer dell'Università di Zurigo ha diretto il gruppo internazionale di ricercatori che hanno condotto lo studio.
I ricercatori hanno simulato la formazione di galassie a disco nane, per le quali la “catastrofe della materia oscura” è particolarmente evidente, modellizzando per la prima volta non solo il comportamento della materia oscura fredda come influenzata solamente dalla gravità, ma anche dal comportamento estremamente complesso della normale materia visibile al di sotto della scala a cui si formano i cluster di stelle. Per quanto la materia oscura rappresenti fra il 70 e l'80 per cento della massa di una galassia, essa è infatti comunque influenzata dalla materia normale.
Grazie a simulazioni ad alta risoluzione che hanno richiesto l'uso di numerosi supercomputer in contemporanea, i ricercatori hanno potuto mostrare che durante le esplosioni di supernova nel nucleo della galassia viene espulso non soltanto il gas interstellare, ma anche materia oscura fredda, la cui densità al centro della galassia così diminuisce (
video). La simulazione ha quindi permesso di risolvere l'apparente paradosso della catastrofe della materia oscura fredda.
Ora lo studio proseguirà con l'elaborazione di un modello analogo relativo alle galassie simili alla Via Lattea, di cui si sta occupando Simone Callegari, già all'Università di Milano-Bicocca e attualmente all'Università di Zurigo. (gg)

Il legame tra metilazione e scompenso cardiaco.

Fonte: Le Scienze
------------------------
La metilazione di DNA, implicata in molte forme tumorali e il in altre patologie complesse, viene per la prima volta coinvolta nello sviluppo di alcune malattie cardiovascolari.
Il nesso tra scompenso cardiaco, geni e ambiente è stato individuato grazie a una ricerca dell'Università di Cambridge, che potrebbe aprire la strada a nuovi approcci terapeutici alla malattia cardiaca.
Com'è noto, la metilazione del DNA è un processo cruciale dello sviluppo normale poiché permette alle diverse cellule di dare origine ai differenti tessuti pur dspondendo dello stesso genoma. Inoltre, la metilazione del DNA continua per tutto il ciclo di vita in risposta alle variazioni ambientali e può anche predisporre a diverse patologie.
Nel corso dello studio sono stati confrontati campioni di tessuto cellulare di due gruppi: il primo di pazienti con scompenso cardiaco allo stadio terminale e il secondo di soggetti sani. I campioni del primo gruppo derivavano da soggetti che avevano subìto un trapianto di cuore presso il Papworth Hospital di Cambridge, i secondi da vittime di incidenti stradali.
Si è così riscontrato che specifiche regioni del DNA nei cuori malati contenevano marcatori costituiti da siti di metilazione del DNA, segni non riscontrati nei campioni di soggetti sani.
La metilazione del DNA è già stata coinvolta nello sviluppo della maggior parte delle forme tumorali, e il suo ruolo in altre patologie complesse come la schizofrenia e il diabete sono tutt'ora oggetto di studio. È la prima volta, per contro, che tale meccanismo viene ipotizzato per lo sviluppo di diversi tipi di patologie cardiovascolari.
Secondo Roger Foo, ricercatore dell'Università di Cambridge che ha partecipato allo studio, "La metilazione del DNA lascia dei segni sul genoma ed esiste già una solida evidenza scientifica che questi marcatori sono fortemente influenzati dall'ambiente e dalla dieta. Si è trovato che questo processo è differente nel tessuto patologico e in quello normale: la possibilità di collegare tutti questi fattori suggerisce che possa esistere un anello mancante tra fattori ambientali e scompenso cardiaco”.
"Sappiamo già che diversi geni svolgono un ruolo importante nello scompenso cardiaco: la ricerca si è spesso rivolta alle mutazioni che colpiscono questi geni che spesso in realtà non si presentano; a questo punto possiamo ipotizzare che sia la metilazione, non la mutazione, a essere responsabile dell'alterata espressione che porta alla malattia. Ciò apre una nuova finestra sulle possibili connessioni tra genoma e malattia”, ha concluso Foo. (fc)

La maligna collaborazione di cellule mutanti.

Fonte: Le Scienze
------------------------
In opportune condizioni, l'accumulo delle mutazioni necessarie a innescare lo sviluppo tumorale può avvenire non in un'unica cellula ma in cellule fra loro vicine.
Lo stress provoca il rilascio di segnali chimici che possono indurre lo sviluppo tumorale di cellule portatrici di mutazioni di per sé insufficienti a scatenarne la deriva oncologica. A dimostrarlo è uno studio condotto da ricercatori della Yale University che firmano un articolo in merito pubblicato sulla rivista "Nature". Finora era opinione diffusa fra i ricercatori che per lo sviluppo di un tumore le mutazioni cancerogene dovessero avvenire tutte sempre in una singola cellula. "La cattiva notizia è che è molto più facile per un tessuto accumulare mutazioni in cellule differenti che in una stessa cellula", osserva Tian Xu, ricercatore presso lo Yale Cancer Center e la Fudan University a Shangai, in Cina. I ricercatori hanno lavorato con il moscerino della frutta per studiare l'atività di due geni noti per essere coinvolti nello sviluppo del cancro nell'uomo: un gene chiamato RAS che è implicato nel 30 per cento dei cancri, e un gene soppressore della deriva tumorale, chiamato scribble che contribuisce anch'esso allo sviluppo del cancro quando è mutato. Singolarmente presi, né il gene RAS mutato né lo scribble disfunzionale sono in grado di dar origine a un tumore. In una ricerca precedente, invece, il gruppo di lavoro diretto da Xu aveva mostrato come la presenza di entrambe le mutazioni inneschi lo sviluppo di un cancro. Ora i ricercatori hanno dimostrato che per dar origine a un tumore non è necessario che le due mutazioni coesistano nella stessa cellula: una cellula portatrice della mutazione per RAS può diventare maligna se è aiutata in questo percorso da una cellula vicina che è portatrice del gene scribble disfunzionale. Nello studio hanno per esempio osservato che cellule mutanti per RAS degeneravano in tumore quando il tessuto in cui si trovavano subiva una ferita e che il fenomeno era mediato da un processo di segnalazione chiamato via di trasduzione attivata da stress JNK (Jun N terminal kinase), che viene innescato da uno stress ambientale. "Una varietà di condizioni differenti può innescare i segnali di stress: stress fisici o emotivi, infezioni e infiammazioni; e questa è un'altra cattiva notizia", ha proseguito Xu. D'altra parte, osservano i ricercatori, pur mostrando che è più facile di quanto pensato che un cancro "metta radici" nel corpo, il lavoro permette anche di identificare nuovi obiettivi volti a prevenirlo e trattarlo. I ricercatori hanno infatti scoperto che i segnali di stress JNK viaggiano da una cellula all'altra ma anche che tale propagazione può essere bloccata. "Una migliore comprensione dei meccanismi sottostanti allo sviluppo del cancro offre sempre nuovi strumenti per combattere la malattia", ha concluso Xu. (gg)

Green Touch, un consorzio tecnologico globale con l'obiettivo di sviluppare reti di comunicazione con un'efficienza energetica elevatissima.

--------------------------
Presentato Green Touch, un consorzio organizzato dai laboratori Bell dell'Alcatel-Lucent con lo scopo di sviluppare tecnologie di rete che permettano la riduzione del consumo energetico.
Un passo verso una comunicazione più ecologica è stato compiuto. L'11 gennaio i laboratori Bell dell'Alcatel-Lucent hanno presentato a Londra Green Touch, un consorzio tecnologico globale con l'obiettivo di sviluppare reti di comunicazione con un'efficienza energetica mille volte superiore a quella attuale. All'iniziativa, che partirà a febbraio contando su un investimento di dieci milioni di euro, partecipano diverse compagnie leader del settore (AT&T, China Mobile, Samsung), istituzioni accademiche di diversi paesi (Massachussets Institute of Technology, Stanford Univesity e University of Melbourne) ed enti governativi.
La maggiore efficienza delle reti si rifletterebbe in una consistente riduzione delle emissioni di anidride carbonica. Il settore delle Tecnologie dell'Informazione e delle Comunicazioni (Ict) emette giornalmente trecento tonnellate di diossido di carbonio. "Con l'uso della banda larga, il consumo di energia delle Ict sta crescendo rapidamente, perció è necessario adottare misure immediate", ha spiegato Vernon Turner, vicepresidente della IDC. In questo senso, una riduzione del consumo energetico a una millesima parte equivarrebbe ad alimentare per tre anni le reti di comunicazioni di tutto il mondo - compresa la rete Internet - con la stessa quantità di energia impiegata attualmente in un solo giorno.
Secondo le indagini realizzate sulle proprietà fondamentali di sistemi ottici, inalambrici, elettronici, di processamento, di routing e architettura, le reti delle Ict potrebbero addirittura essere 10mila volte più efficienti delle reti operative usate oggi. "Per raggiungere il nostro obiettivo, è necessario reinventare tutti gli elementi della rete di comunicazioni. La rete di oggi è ottimizzata per migliorare le sue prestazioni, pertanto richiede moltissima energia per operare. La rete di domani avrà un alto livello di prestazioni ma un basso consumo di energia", ha dichiarato Gee Rittenhouse, direttore della ricerca nei laboratori Bell.
Per aumentare le probaiblità di successo, Green Touch ha invitato apertamente tutti i membri della comunità delle Ict ad unire gli sforzi: "è sempre stata data una migliore risposta alle sfide globali integrando le persone più brillanti in un ambiente creativo e senza restrizioni. È questo l'approccio che dobbiamo applicare per rispondere alla crisi climatica globale", ha commentato Steven Chu, segretario all'Energia degli Stati Uniti. (a.o.)

Riferimenti: GreenWire

mercoledì 13 gennaio 2010

Un nuovo sistema cattura i segnali wi-fi dispersi nell'aria e li trasforma in energia utile per i dispositivi elettronici.

Fonte: Corriere.it

MILANO - Nell'attesa che arrivi il caricatore universale per i cellulari, prende sempre più piede l'elettricità senza fili come alternativa più comoda per alimentare i nostri gadget elettronici. All'ultimo Consumers Electronic Show (CES) di Las Vegas è stato presentato un nuovo dispositivo che consente di ricaricare cellulari e lettori mp3 in modalità wireless, senza muovere un dito.

ENERGIA DALL'ARIA - Si chiama Airnergy ed è un sistema messo a punto dalla compagnia statunitense RCA (la stessa che 61 anni fa ha ideato il 33 giri). Si presenta come un piccolo dispositivo in grado di catturare i segnali wi-fi trasmessi dai vari access point presenti in casa o in ufficio. I segnali vengono convertiti in energia utile per ricaricare (sempre in modalità senza fili) cellulari e lettori mp3 dotati di una speciale batteria. Una sorta di riciclo di energia, quindi, che potrebbe essere esteso anche alle altre fonti elettromagnetiche presenti tra le mura domestiche. Per ora, la capacità di Airnergy dipende dalla potenza del segnale wi-fi nelle vicinanze. Durante la dimostrazione al CES, è riuscito a ricaricare un Blackberry in circa 90 minuti.

WI-TRICITY - Airnergy sarà messo in commercio dal prossimo autunno negli Stati Uniti, al costo di 40 dollari. Ma non si tratta dell'unico dispositivo a fare da apripista per la nuova frontiera dell'elettricità senza fili. Lo scorso anno, sempre al CES di Las Vegas, la startup PowerBeam ha presentato il sistema WiTricity che permette di alimentare piccoli gadget elettronici in modalità wireless. La compagnia Case-Mate ha di recente presentato The Hug: basta poggiarci il cellulare sopra per ricaricare la batteria. The Hug costa 90 dollari ed è già disponibile per iPhone.

Nicola Bruno

Il fondatore di Facebook: «Non ha più senso parlare di riservatezza online, le norme sociali sono cambiate».

Fonte: Corriere.it
-----------------------
MILANO - «Ormai gli utenti condividono senza problemi le informazioni personali online. Le norme sociali cambiano nel tempo. E così è anche per la privacy». Con questa dichiarazione rilasciata durante un incontro a San Francisco, il CEO di Facebook Mark Zuckerberg ha dato il proprio il benservito a tutte le discussioni (e le polemiche) sulla riservatezza online. A cominciare da quelle scatenate dal recente cambiamento delle impostazioni di privacy sul popolare social network californiano.

ADDIO PRIVACY - Secondo il venticinquenne fondatore di Facebook, è ormai finita l'era della riservatezza. Blog e social network rendono anacronistiche le posizioni di chi vuole a tutti i costi difendere il diritto alla privacy: «Quando ho iniziato a pensare a Facebook nella mia cameretta di Harvard, in tanti si chiedevano: 'Perché mai dovrei mettere informazioni online? Perché dovrei avere un sito personale?' Poi è iniziata l'esplosione dei blog e di tutti gli altri servizi che permettono di condividere informazioni online. Le abitudini sociali evolvono nel tempo».

EVOLUZIONE - Le dichiarazioni di Zuckerberg sono arrivate in risposta ad alcune domande sul recente cambiamento delle impostazioni di Facebook, quando 350 milioni di utenti hanno visto passare alcune informazioni da private a pubbliche . Basta cioè effettuare una normale ricerca online, per visualizzare la lista di amici, le foto e gli aggiornamenti di milioni di iscritti. Da social network chiuso (all'inizio era accessibile solo agli studenti del college), ora Facebook è diventata un'enorme bacheca pubblica, consultabile da chiunque. Secondo il fondatore, questa evoluzione di Facebook non fa altro che rispecchiare un cambiamento avvenuto a livello sociale: la privacy non è più avvertita come un valore da parte degli utenti.

REAZIONI - «Non condivido affatto queste posizioni. Facebook è uno dei maggiori agenti di questo cambiamento. Zuckerberg dimostra solo di essere arrogante e accondiscendente», ha commentato Marshall Kirkpatrick del blog tecnologico Read/Write Web. Le dichiarazioni fanno discutere anche in Italia: «Forse si sta aprendo lo spazio per un player che interpreti correttamente l'esigenza di privacy che gli utenti mostrano tutt'ora di avere», sottolinea Fabio Giglietto, docente di Nuovi Media all'Università di Urbino. E cioè, prima o poi arriverà un nuovo social network che offrirà una maggiore tutela dalla privacy e, proprio per questo, attirerà un maggior numero di utenti. Ma c'è anche chi è pronto ad ammettere che Zuckerberg ha ragione: "Privacy e copyright sono i due grandi animali morenti" della rivoluzione digitale, spiega Mafe De Baggis.
DIRITTO ALL'OBLIO - Intanto dalla Francia arriva una proposta di legge che vorrebbe imporre una sorta di data di scadenza per le informazioni condivise online. Social network ed altri servizi web, dovrebbero eliminare i dati custoditi sui propri server dopo un certo periodo di tempo stabilito dall'utente. Un modo per tutelare quel «diritto all'oblio» che in rete è sempre più a rischio. Il provvedimento francese sembra fare proprie le indicazioni dello studioso Viktor Mayer-Schonberger che in un recente saggio («Delete: The Virtue of Forgetting in the Digital Age») propone l'introduzione di una data di scadenza per ogni foto, post, video pubblicato online. Se l'era digitale sta cambiando il nostro rapporto con la memoria, questo non vuol dire che dobbiamo per forza rassegnarci a pensarla come Mark Zuckerberg: è possibile trovare soluzioni tecnologiche che ci permettano anche di essere dimenticati.

Nicola Bruno

Venerdì 15 gennaio la più lunga eclissi del millennio.

Fonte: Corriere.it
------------------------
AL punto massimo durerà 11 minuti e 8 secondi. Praticamente invisibile in Italia.
Venerdì il fenomeno visibile in Asia. Le Maldive il luogo d'osservazione migliore, poi Kenia, India, Sri Lanka, Cina.
Venerdì 15 gennaio ci sarà l'eclissi più lunga di tutto il terzo millennio: 11 minuti e otto secondi nel punto massimo (in pieno oceano Indiano a 1° 37' 4" N e 69° 17' 4" E). Per trovarne una più lunga occorrerà aspettare fino al 23 dicembre 3043: auguri per chi ci sarà!

ANULARE - Purtroppo però non sarà un'eclissi totale, ma solo anulare: cioè la Luna non oscurerà totalmente il Sole ma, trovandosi quasi all'apogeo - il punto più lontano dalla Terra - appare un po' più piccola del Sole rispetto al nostro punto vista. La particolarità è che per un lungo tratto il nostro satellite seguirà la stessa apparente traiettoria del Sole - ecco perché l'eclissi sarà così lunga - e inoltre passerà proprio in mezzo: il risultato sarà che il Sole apparirà come un anello di fuoco intorno a un cerchio nero. Uno spettacolo straordinario, peccato però che in Italia sarà praticamente invisibile. Solo nell'Italia centro-meridionale alla mattina (maltempo permettendo) il Sole entrerà nella penombra della Luna per breve tempo.
TRACCIATO - Poca cosa rispetto ai luoghi in cui l'eclisse si potrà vedere in tutta la sua lunghezza e centralità. Il posto sulla terraferma migliore per osservarla saranno le isole Maldive, in particolare la capitale, Malè, dove l'anello di fuoco intorno alla Luna durerà ben 10 minuti e 45 secondi. Non male come punto di osservazione anche la punta sud dell'India e quella nord di Sri Lanka, quest'ultima però difficilmente raggiungibile in quanto appena riconquistata dal governo dopo decenni di guerra con la minoranza tamil. L'oscuramento del Sole inizierà nella Rep. Centraficana alle 6,14 (ora italiana), poi viaggerà verso est attraversando Uganda, Kenia e il sud della Somalia. Quindi, dopo aver viaggiato attraverso l'oceano Indiano, le Maldive, il sud dell'India e il nord di Sri Lanka, passerà lungo tutto il golfo del Bengala fino a toccare di nuovo terra in Myanmar (ex Birmania). Parte dell'eclissi si vedrà anche in Himalaya, finché la parte centrale entrerà in Cina passando su Yunnan e Sichuan fino a terminare nella penisola dello Shandong alle 16,59 ora locale (le 9,59 in Italia).
CICLO DI SAROS - Nelle 3 ore e 45 minuti della durata totale, l'eclisse percorrerà una striscia lunga circa 12.900 chilometri. Questa sarà la 23ma eclissi del 141mo ciclo di Saros, iniziato il 19 maggio 1613 e che finirà il 13 giugno 2857, ciclo che regola la periodicità e la ricorrenza delle eclissi, come scoprirono già i caldei intorno al 2.500 a. C.