venerdì 31 ottobre 2014

Quando verranno messe in produzione le automobili senza conducente? E quale costruttore le realizzerà?

Fonte: Cordis
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Dieci anni fa, le automobili senza conducente si sarebbero potute considerare solo appartenenti alla fantascienza. Tuttavia, grazie al lavoro di coraggiosi ricercatori e ingegneri, il concetto è molto vicino a diventare una realtà sulle nostre strade. Google ha guidato il gruppo di pionieri in questa ricerca delle automobili senza conducente, ma saranno proprio loro a lanciare il primo modello per la produzione di massa?

Nei primi mesi di quest'anno Google ha svelato un prototipo progettato specificamente per il funzionamento autonomo. Come riferisce Forbes, questo modello non aveva volante, acceleratore, pedale del freno o leva del cambio. Le sole cose che il guidatore controlla sono un pulsante rosso "e-stop" per fermate dettate dal panico e un pulsante separato per l'accensione.

L'automobile può essere chiamata con un'applicazione dello smartphone, raccogliere un passeggero e portarlo in modo automatico a una destinazione selezionata su una smartphone app, senza la necessità di un intervento umano.

Detta così sembra un'operazione senza problemi. Tuttavia, la sicurezza è stata una questione sempre presente per gli sviluppatori. In origine si era progettato che gli esseri umani assumessero il controllo in caso di emergenza, tuttavia i test hanno mostrato che i passeggeri potrebbero non essere abbastanza attenti, come ha detto al New York Times Christopher Urmson, che dirige il progetto dell'automobile per Google.

Invece, i veicoli saranno dotati di sensori elettronici in grado di vedere per circa 200 metri in tutte le direzioni. La parte anteriore dell'automobile sarà fatta di un materiale simile a polistirolo nel caso il computer abbia un guasto e venga colpito un pedone. Il New York Times descrive l'automobile come "una piccola automobile di forma sferica proveniente dal futuro, semplificata in modo da funzionare da sola".

Anche se Google sembra essere in testa a questa gara, e certamente sono quelli che ne parlano più apertamente, per mettere le automobili senza conducente in produzione, i concorrenti potrebbero spuntare sul lato interno. Le automobili attualmente sul mercato già dispongono di sistemi che aiutano a guidarci in parcheggi stretti, che ci tengono a una distanza prefissata dalle altre automobili in autostrada, e che ci avvisano se stiamo per colpire un oggetto nascosto. Alla fine di settembre, Audi ha annunciato di essere diventato il primo produttore di automobili ad aver ricevuto un permesso dall'amministrazione statale per testare automobili che si guidano da sole sulle strade pubbliche della California. Anche Mercedes, BMW e Volvo hanno introdotto automobili che hanno la capacità di viaggiare senza l'intervento del guidatore in circostanze limitate, tuttavia nessuno ha completamente eliminato il guidatore. Volvo ha detto al New York Times che spera di portare modelli con questo sistema Traffic Jam Assist nelle mani dei consumatori entro il 2017.

Questo potrebbe rappresentare una minaccia per la macchinetta tondeggiante di Google? Secondo Global Manufacturing, Audi e soci non stanno davvero "giocando la stessa partita" di Google. Mentre la visione di Google si concentra sulla creazione di un concetto completamente nuovo per la guida, in cui gli incidenti e gli ingorghi del traffico diventano molto meno comuni, i costruttori tradizionali hanno un atteggiamento più conservativo. La loro attenzione si concentra sulla creazione di un veicolo che si guida da solo che assomiglia molto ai modelli attuali, allo scopo di lasciare indietro la concorrenza piuttosto che stravolgere il settore.

Commentando i progressi degli altri costruttori, Sergey Brin di Google ha detto al New York Times: "Quelle cose non sembrano completamente in sintonia con la nostra missione di essere trasformativi".

La gara verso le automobili senza conducente continua!

C'è un nuovo legame chimico: è il legame vibrazionale.

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La sua esistenza era stata ipotizzata quasi trenta anni fa, ma fino ad oggi era considerato una sorta di mito scientifico. Ora invece un team di ricercatori della Freie Universität di Berlino e dell’Università cinese di Shanxi ritiene di averlo finalmente identificato, almeno sul piano teorico: un nuovo tipo di legame tra molecole, che viola alcune delle leggi fondamentali della chimica tradizionale. La loro ricerca, apparsa sulla rivista Angewandte Chemie, ha analizzato le reazioni che si sviluppano tra atomi di bromo e alcuni particolari isotopi dell’idrogeno, dimostrando che tra queste molecole può stabilirsi il legame chimico precedentemente sconosciuto, definito vibrational bond, o legame vibrazionale.
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Nello studio, i ricercatori hanno svolto una serie di esperimenti teorici per analizzare le interazioni tra atomi di bromo e un particolare tipo di isotopi di idrogeno, in cui un elettrone viene sostituito da un muone, una particella elementare simile, ma di massa maggiore. Studiando queste interazioni alla ricerca di un legame vibrazionale, i ricercatori hanno calcolato due specifici parametri: l’energia potenziale del sistema che si viene a formare tra gli atomi, e l’energia di punto zero (Zpe), un parametro che arriva dalla meccanica quantistica, definito come il più basso livello energetico possibile in un sistema quantistico.
Una delle leggi fondamentali della chimica prevede infatti che un legame chimico si possa formare solo se produce una riduzione dell’energia potenziale del sistema che si viene a creare tra gli atomi. Con i loro calcoli i ricercatori hanno invece dimostrato che nel caso del muonio, una sorta di isotopo dell’idrogeno e il più leggero tra gli atomi analizzati, l’energia potenziale del sistema bromo-muonio aumenta, ma il legame viene stabilizzato da una forte diminuzione dell’energia di punto zero, formando appunto un un legame vibrazionale.
La scoperta per ora è semplicemente teorica, perché il fenomeno non è stato osservato sperimentalmente, ma un lavoro precedente dei ricercatori del team berlinese sembra indicare che il legame tra bromo e muonio potrebbe essere ottenuto realmente, nel qual caso il legame vibrazionale sarebbe effettivamente un nuovo tipo di legame chimico.

Scoperti i geni che resistono all’Ebola. Individuati nei topi, aprono la strada al vaccino.

Fonte: ANSA Scienze
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Scoperti i geni che resistono all'Ebola. Sono stati individuati nei topi e il risultato, pubblicato sulla rivista Science, apre la strada allo sviluppo di vaccini e trattamenti contro la malattia. La scoperta si deve al gruppo coordinato da Angela Rasmussen e Michael Katze, dell'università di Washington.

Il gene Tek
Secondo i ricercatori è il gene Tek, che attiva i fattori di coagulazione, che influenza la sensibilità al virus. Non tutte le persone che contraggono l'Ebola sviluppano i gravi sintomi che portano alla morte: ritardo nella coagulazione del sangue, febbre emorragica, insufficienza agli organi e shock; alcune persone resistono completamente alla malattia, altre soffrono di una forma moderata. Finora è stato difficile comprendere il motivo di questa differente risposta alla malattia perché non era stato possibile studiare l'Ebola nei topi dal momento che in questi animali il virus non causa tutti i sintomi che provoca nell'uomo.

L'esperimento
Questo ostacolo è stato superato usando un gruppo geneticamente eterogeneo di topi di laboratorio. Dopo aver contratto il virus, nei primi giorni dell'infezione tutti i topi hanno perso peso. Il 19% di essi ha anche pienamente riacquistato il peso perso nel giro di due settimane ed è sopravvissuto. L'11% degli animali è stato parzialmente resistente e meno della metà è morto. Il 70% dei topi ha avuto mortalità superiore al 50%. Di questi il 19% ha avuto l'infiammazione del fegato senza i sintomi classici dell' Ebola, e il 34% ha avuto ritardi nella coagulazione del sangue e febbre emorragica.

Una via per il vaccino
''La frequenza delle diverse manifestazioni della malattia in questi topi - rileva Rasmussen - è simile alla varietà osservata nell'epidemia in Africa occidentale''. La differenze risposta dei topi alla malattia secondo lo studio è dovuta al gene Tek, che attiva i fattori di coagulazione, che probabilmente influenza la sensibilità al virus. ''Ci auguriamo - sottolinea Katze - che sia possibile applicare rapidamente questi risultati per lo sviluppo di terapie e vaccini contro l'Ebola”.

martedì 21 ottobre 2014

Ecco il primo 'kit di mattoncini' fatto con Dna. Impilabili come le costruzioni, applicazioni in elettronica.

Fonte: ANSA Scienze
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Creato il primo 'kit di mattoncini' di Dna: funzionano come dei 'nano-mattoni' impilabili per creare strutture di ogni tipo a livello microscopico e promettono di rivoluzionare le nanotecnologie ed essere usati per realizzare dispositivi elettronici in miniatura da applicare ai computer. Il risultato, descritto su Nature Chemistry, si deve ai ricercatori dell'Istituto Wyss di Harvard che hanno composto 32 diversi tipi di 'mattoncini'.

Sono oltre 20 anni che ricercatori di tutto il mondo stanno cercando di sfruttare le incredibili proprietà delle molecole di Dna per creare dei piccoli mattoni che possano essere usati a piacimento e fare nano-macchine assemblabili. Utilizzando un metodo sviluppato nel 2012 dallo stesso gruppo, i ricercatori sono ora riusciti a realizzare un vero e proprio kit di mattoncini di Dna composto da 32 diverse componenti che possono essere assemblati in modo simile alle costruzioni usate dai bambini. Per realizzarli sono stati utilizzati brevi filamenti di Dna, disegnati al computer e successivamente 'cristallizati'.

“I cristalli di Dna – ha spiegato Luvena Ong, una delle responsabili del lavoro – sono interessanti nel campo delle nanotecnologie perché sono delle unità strutturali ripetibili ideali per disegnare qualsiasi tipo di 'oggetto'”. Combinando i vari mattoni, grandi pochi nanometri, sarebbe infatti possibile creare potenzialmente moltissime applicazioni ad esempio nel campo dell'elettronica e per la miniaturizzazione ulteriore dei computer.

lunedì 20 ottobre 2014

Partiti i lavori alla Sorgente europea di spallazione. Un pionieristico impianto pan-europeo per la ricerca sui neutroni.

Fonte: Cordis
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Sono partiti i lavori alla Sorgente europea di spallazione (European Spallation Source o ESS), un impianto fonte di neutroni paneuropeo in Svezia che rivoluzionerà la ricerca in campi che vanno dalla medicina alla farmaceutica e dall'ingegneria alla fisica.
Un impianto all'avanguardia in grado di generare raggi di neutroni 30 volte più luminosi rispetto agli impianti esistenti sta per essere costruito nella città svedese di Lund. Questo impianto da 1,8 miliardi di euro aiuterà gli scienziati a esaminare e testare nuovi materiali a livello molecolare, con implicazioni che vanno oltre la nanotecnologia, le scienze della vita, l'industria farmaceutica, l'ingegneria dei materiali e la fisica sperimentale.

Diverse centinaia di membri della comunità scientifica europea sono stati invitati a celebrare l'inizio dei lavori di costruzione all'inizio di ottobre del 2014. Più di una dozzina di paesi europei finanziano il progetto (la Svezia, con il 35 % e la Danimarca con il 12,5 % sono i principali sostenitori). L'ESS, che dovrebbe essere completato entro il 2025, sarà la fonte di neutroni più potente al mondo.

È una pietra miliare nella ricerca sui neutroni europea. Mentre le prime fonti di neutroni usate per la ricerca consistevano in reattori nucleari, le sorgenti a spallazione - come l'ESS - sono molto più sicure e producono una quantità di neutroni utili molto più ampia. La struttura metterà quindi gli scienziati europei che studiano i neutroni ai primi posti di questo campo pioneristico della ricerca.

La struttura consisterà in un acceleratore lineare lungo 600 metri, che spingerà i protoni che sbattono con una potenza di 5 MW su un obiettivo di tungsteno rotante. I protoni, che viaggiano a una velocità vicina a quella della luce, colpiscono i nuclei di tungsteno ed espellono neutroni, questo processo si chiama spallazione. Questi neutroni vengono poi "raffreddati", o rallentati e alla fine indirizzati in 44 raggi.

Poiché i neutroni non hanno carica, non si disperdono in elettroni e possono penetrare a fondo negli atomi e sondare i nuclei atomici direttamente, cosa impossibile con i raggi X.

Questo significa che l'ESS aprirà nuove opportunità di ricerca in diverse discipline, come, per esempio, la medicina. Gli scienziati potranno usare l'impianto per portare avanti studi già in corso sulla complessità e i misteri del cervello umano, le sue reti neurali e il funzionamento della memoria. L'impianto per i neutroni aiuterà gli scienziati anche a capire meglio i meccanismi di come il DNA sostiene la vita a livello molecolare e la posizione precisa, la struttura e la funzione delle proteine che determinano la sua struttura.

Per i fisici, l'ESS costituirà un importante strumento per risolvere alcuni dei più vecchi misteri dell'universo. Una possibilità allettante, per esempio, è riconciliare finalmente le incompatibili, e ciononostante funzionanti, teorie della gravità e della fisica quantistica.

Il fatto che i neutroni possono penetrare nella materia molto meglio rispetto ai raggi X rende l'ESS interessante anche per applicazioni nel campo dell'ingegneria. Se si vuole esaminare all'interno un blocco motore completo, per esempio, l'uso dei neutroni è un metodo molto più efficiente.

Il programma di ricerca del centro è adesso in fase di programmazione. Scienziati e ingegneri di oltre 60 laboratori partner stanno già lavorando per ottimizzare l'impianto ESS e allo stesso tempo stanno esplorando e immaginando come sarà usato. L'ESS impiegherà uno staff di 500 persone e si prevede che da 2 000 a 5 000 scienziati visiteranno il centro ogni anno.

Per ulteriori informazioni, visitare:
http://europeanspallationsource.se

Sviluppato un farmaco che potrebbe rendere i trapianti di organi notevolmente più sicuri.

Fonte: Cordis
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Il progetto MABSOT, finanziato dall'UE, ha sviluppato un farmaco che potrebbe rendere i trapianti di organi notevolmente più sicuri e potenziare il settore farmaceutico europeo.
Possono insorgere gravi complicazioni in seguito ai trapianti di rene. Se è necessaria la dialisi entro i primi sette giorni, allora si dice che l'organo trapiantato ha una ripresa funzionale ritardata (Delayed Graft Function o DGF) ed essenzialmente è stato rigettato dal sistema immunitario del corpo. Il rischio di DGF aumenta con l'allungarsi del tempo in cui l'afflusso di sangue al rene è stato interrotto.

Anche se attualmente non ci sono cure per la DGF, un progetto finanziato dall'UE e intitolato MABSOT ha sviluppato un nuovo farmaco – OPN-305 – in grado di ridurre sia l'incidenza che la gravità di questa malattia. Il progetto, conclusosi a settembre 2014, potrebbe portare a procedure chirurgiche più sicure ed efficaci e quindi a pazienti più sani.

Durante la sperimentazione, l'OPN-305 è stato somministrato a pazienti che stavano per essere sottoposti a un trapianto di rene. Gli anticorpi – proteine del nostro corpo che aderiscono a oggetti che il nostro sistema immunitario non riconosce – possono a volte reagire contro gli organi trapiantati. Quanto l'infiammazione causata da proteine specifiche chiamate ricettori TLR2 ha inizio in risposta a un rene appena trapiantato, questo può portare a una DGF. Questa grave complicazione colpisce oltre la metà di coloro che ricevono reni da donatori deceduti.

Quello che fa l'OPN-305 è colpire queste proteine naturalmente presenti e responsabili di dare inizio alla reazione infiammatoria (la risposta naturale del corpo a una ferita o infezione). Bloccando questi recettori TLR2, l'OPN-305 aiuta a mediare la risposta del sistema immunitario agli organi trapiantati e così aiuta a prevenire l'insorgenza della DGF. I test clinici iniziali, fatti con il coinvolgimento di 50 centri medici negli USA e in Europa e 270 pazienti, hanno mostrato che il farmaco è sicuro.

Oltre a portare significativi benefici per i pazienti, il progetto MABSOT avvantaggerà anche l'industria farmaceutica dell'Europa. Sviluppare nuovi farmaci può essere un processo lungo e molto costoso ed è per questo che era importante che l'OPN-305 ottenesse la cosiddetta designazione "orfana" da parte degli enti regolatori. Questo significa che gli sviluppatori del farmaco riceveranno una serie di incentivi, come la consulenza scientifica e l'esclusività di mercato una volta che la medicina sarà sul mercato.

Per essere qualificato per una designazione orfana, un medicinale deve essere destinato alla cura, la prevenzione o la diagnosi di una malattia potenzialmente letale o cronica e deve essere improbabile che la commercializzazione del medicinale generi introiti sufficienti da giustificare l'investimento necessario per il suo sviluppo. In altre parole, dev'essere fatta una richiesta per un farmaco che cura una malattia piuttosto rara.

Le richieste sono esaminate dal Comitato per i prodotti medicinali orfani (COMP) dell'Agenzia europea per i medicinali, usando la rete di esperti creata dal Comitato.

Un'approvazione veloce ha permesso al team di MABOST di completare il processo di sviluppo più velocemente di quanto avrebbe fatto senza ottenere la designazione di farmaco orfano. Inoltre il farmaco potrebbe trovare applicazione anche per i trapianti di altri organi, come i polmoni, il cuore o il pancreas, e persino per altre malattie, come il cancro e l'artrite reumatoide. MABSOT ha ricevuto quasi 6 milioni di euro di finanziamenti dall'UE ed è stato coordinato dall'Opsona Therapeutics in Irlanda.

Per ulteriori informazioni, visitare:
http://www.mabsot.eu

Batteri vivi: Presto potrebbero essere utilizzati per costruire gli edifici.

Fonte: Euronews
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“Qui ci sono dei batteri vivi – spiega Julián López Gómez, euronews – Che ci crediate o meno, presto potrebbero essere utilizzati per costruire gli edifici”
Prima di essere utilizzato, il batterio del suolo, una specie molto comune, ha bisogno di essere rivitalizzato in una miscela di urea e di sostanze nutritive a una temperatura costante, di circa 30 gradi.
“All’interno di questa mescolanza – racconta Piero Tiano, ricercatore dell’Istituto per la Conservazione e la Valorizzazione dei Beni Culturali – i batteri ricominciano a svilupparsi e aumentano di numero. Abbiamo bisogno infatti di una certa quantità di batteri per creare il materiale. Dopo circa 3 ore di fermentazione, il nostro mix è pronto per l’uso”.
Gli scienziati che partecipano ad un progetto di ricerca europeo, aggiungono i batteri ad composto di sabbia, rifiuti di cemento industriale e cenere di scarto del riso.
Secondo i ricercatori, la produzione di cemento incide del 5% sulle emissioni di biossido di carbonio globali. Ma una nuova via, sottolineano, nel rispetto dell’ambiente è possibile
“La materia prima è composta sostanzialmente da rifiuti – precisa Laura Sánchez Alonso, ingegnere presso Essentium Group – Quindi non sosteniamo i costi per l’estrazione del materiale, come avviene invece per il cemento. Non abbiamo nemmeno le spese per l’energia, che un’industria che produce cemento deve mettere in conto”.
“Servono temperature molto elevate, fino a 1400-1500 gradi per trasformare il calcare in cemento – spiega James Stuart, consulente di design sostenibile, DW EcoCo – Già solo questa parte del processo richiede il dispendio di moltissima energia. Nel nostro caso abbiamo solo bisogno di raggiungere i 30 gradi per permettere ai batteri di moltiplicarsi. È una differenza enorme. Risparmiamo energia termica perché per unire le particelle usiamo un processo biologico”.
I batteri realizzano una fusione delle particelle producendo naturalmente il carbonato di calcio. I primi test sono incoraggianti, sottolineano i ricercatori. Microbiologi e chimici collaborano per migliorare i risultati.
“È importante conoscere in un composto la densità ideale di batteri – dice Linda Wittig, chimica industriale presso Fraunhofer-IFAM – Abbiamo realizzato delle ricerche ed è risultato ad esempio che la presenza di maggiori batteri non porta il prodotto ad essere più resistente. Anzi, a volte troppi batteri possono essere deleteri per il materiale finale. Per produrre il cemento occorre trovare il numero giusto di cellule”.
I primi risultati sui test in corso sulla elasticità e la resistenza dei materiali hanno permesso di individuare le varie possibilità di applicazione dei nuovi composti.
“Abbiamo deciso di usare questo materiale come malta e non come cemento – sottolinea Nikos Bakas, ingegnere civile presso l’ Università Neapolis di Pafos – perché non è forte come il calcestruzzo tradizionale. Ma può essere facilmente trasformato. Ed è per questo motivo che abbiamo deciso di utilizzare questo materiale come malta”.
I ricercatori, qualunque poi siano le applicazioni finali del nuovo materiale, sperano che possa essere utilizzato in Europa tra meno di dieci anni.
Per maggiori informazioni: http://eco-cement.eu

domenica 19 ottobre 2014

Con Wow anche l’acqua radioattiva torna pura: una scoperta italiana.

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Si sta completando la prima sperimentazione su vasta scala nel sito nucleare di Saluggia, nel Vercellese. Un’idea anche per le bonifiche di Fukushima.
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Saluggia (Vercelli) - A vederla da vicino nessuno direbbe che questa è l’invenzione del secolo. Sembra un grosso scaldabagno circondato da tubi di acciaio, e invece è la prima macchina al mondo capace di trasformare liquami radioattivi e rifiuti di ogni tipo in acqua purissima, senza utilizzare nessun filtro e con una bassissima produzione di scorie. Una scoperta tutta italiana, creata dall’ingegnere padovano Adriano Marin che, con il professor Massimo Oddone, chimico dell’Università di Pavia, e un’équipe di dieci ingegneri, sta completando la prima sperimentazione su vasta scala nel sito nucleare di Saluggia.
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Tutto iniziò un giorno del 2005
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Marin stava armeggiando nel garage di casa con la «pentolaccia», una macchina inventata da lui, semplice, economica e facilmente trasportabile, con cui voleva realizzare il sogno di rendere potabile l’acqua nei Paesi del Terzo mondo. Le prove del «vaporizzatore», originariamente simile a una lavatrice, avevano già dato buoni risultati. Ma all’improvviso accadde un imprevisto. Manovrando qualcosa, dalla macchina iniziò a uscire acqua purissima, con parametri infinitamente migliori di quelli che si attendevano. Abbandonato il garage, gli esperimenti proseguirono in laboratorio e nel «calderone» cominciarono a finire «ingredienti» via via sempre più terrificanti: veleni di ogni tipo, fanghi, metalli pesanti, prodotti chimici, batteri, virus, idrocarburi, radioisotopi. E ogni volta il risultato era stupefacente: acqua così pura che anche le misurazioni diventavano difficili.
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«La scoperta fu un fatto del tutto casuale»
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Adriano Marin, 51 anni, ingenere elettronico, per lungo tempo dirigente del gruppo Riello e poi fondatore dell’impresa di consulenze Cross Technology, avrebbe potuto dire di aver fatto un’invenzione clamorosa dopo anni di studi. Invece ammette con sincerità: «La scoperta fu un fatto del tutto casuale, e ci mettemmo due anni per capire quale principio fisico portava a quel risultato». Il sistema, chiamato Wow (Wonderful Water), è stato poi perfezionato e testato a lungo dai laboratori Arpav di Padova, dal Cnr, dall’Università di Pavia e dal Laboratorio per l’energia nucleare applicata, ottenendo tutte le attestazioni necessarie (in questo momento sta certificando i risultati anche il National Physical Laboratory del Regno Unito). E oggi è un brevetto mondiale.
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Ultima fase della sperimentazione
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Adesso qui a Saluggia, nell’area in cui si trova il supersorvegliato deposito di scorie nucleari Avogadro, è in corso l’ultima fase della sperimentazione. Wow ,che tecnicamente è un separatore di molecole, è stato costruito in versione più grande e dal 23 settembre sta trasformando in acqua purissima 45 mila litri di liquidi radioattivi conservati in due cisterne. Quando, il 5 dicembre, avrà completato il suo lavoro, di tutto quel liquido contaminato resteranno solo dieci litri di concentrato insoluto. Sarà questa la prova più tangibile delle enormi possibilità della macchina, in moltissimi campi, a partire proprio dal nucleare.
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Invenzione tutta italiana
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Un’invenzione da Nobel, tutta italiana, sostenuta anche da un gruppo di lungimiranti finanziatori e resa possibile da un team affiatato che condivide lo spirito del progetto: realizzare qualcosa di utile alla società. Ora Wow è in cerca, per ognuna delle applicazioni, di vari partner, possibilmente italiani, che mettano il prodotto sul mercato. Qualcuno che concordi sulle finalità e che non cerchi invece di tenere l’invenzione in un cassetto. Perché il rischio è proprio quello: gli enormi interessi (leciti e no) che ruotano intorno allo smaltimento dei rifiuti tossici e nocivi potrebbero ostacolare la diffusione del «separatore di molecole a unico stadio» che ha enormi potenzialità.
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Idea per Fukushima
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La prima è sicuramente quella nel campo nucleare. «In laboratorio», dice Marin, «è stata simulata una contaminazione 6 mila volte più grande di quella dell’acqua usata per raffreddare i reattori dopo l’incidente di Fukushima e il risultato è stato anche qui strabiliante, con un abbattimento della concentrazione di cesio nei liquidi trattati di 7.500 volte». Non per niente l’ingegnere padovano è stato chiamato a Tokyo per illustrare il funzionamento della sua macchina. A Fukushima il trattamento delle acque radioattive produce ogni mese una quantità di fanghi che occupa l’area di un campo di calcio. «Con Wow», spiega Marin, «tale volume potrebbe essere ridotto a quello di una lavatrice». Ma le possibili applicazioni sono infinite: l’acqua delle fogne diventerebbe purissima, così come gli scarichi industriali e agricoli, una centrale nucleare potrebbe essere interamente smantellata con stoccaggi (e costi) infinitamente ridotti, migliaia di siti inquinati potrebbero essere bonificati. E il sogno di un pianeta più pulito potrebbe finalmente realizzarsi.
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venerdì 17 ottobre 2014

Scoperte 'firme' della coscienza nel cervello in stato vegetativo. Indicano la presenza di reti di neuroni ancora intatte.

I circuiti cerebrali alla base della coscienza risultano essere ben conservati in alcuni pazienti in stato vegetativo (fonte: Srivas Chennu)
Fonte: ANSA Scienze 
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Scoperte 'firme' della coscienza nascoste nel cervello di persone in stato vegetativo. Le tracce, rilevabili con l'elettroencefalogramma, appartengono ai circuiti nervosi che potrebbero sostenere la coscienza anche nei casi in cui questa funzione sembra assente. Lo rivela una nuova ricerca coordinata dall'università britannica di Cambridge e pubblicata sulla rivista Plos Computational Biology. I risultati dello studio potranno aiutare i medici a identificare meglio quei pazienti che sono coscienti anche se incapaci di comunicare.

L'aiuto della matematica
Due gli strumenti fondamentali per raggiungere questo obiettivo: un elettroencefalogramma ad alta densità, per registrare in maniera precisa l'attività del cervello, e la teoria matematica dei grafi, per ricostruire l'architettura delle reti di neuroni alla base della coscienza. Unendo queste due tecniche di analisi, i ricercatori di Cambridge hanno messo a confronto il cervello di persone sane con quello di 32 pazienti in stato vegetativo o di minima coscienza.

La 'casa' della coscienza ancora intatta
Hanno così scoperto che i circuiti cerebrali alla base della coscienza sono generalmente compromessi nello stato vegetativo, ma non in tutti i casi: in alcuni pazienti, infatti, queste reti nervose appaiono ben conservate e lasciano la loro 'firma' nell'elettroencefalogramma. Si tratta di pazienti che in precedenza avevano già dato segni di coscienza nascosta, per esempio eseguendo comandi (come quello di immaginare di giocare a tennis).
Uno strumento per monitorare il recupero
I ricercatori sono fiduciosi che presto si potrà rilevare il recupero dei circuiti cerebrali perfino prima che si manifestino comportamenti legati al miglioramento. ''In ogni caso - precisano - bisogna ancora lavorare molto per trasformare questi progressi scientifici in strumenti affidabili da usare al letto del paziente''.

"Dalla teoria dell'informazione al concetto di Anima" (articolo)

Fotografato l'innesco delle reazioni alla base della vita. E' il moto ultraveloce degli elettroni.

Un impulso di luce attraversa l'aminoacido fenilalanina dando origine al moto ultraveloce degli elettroni (fonte: Nicoletta Calegari)
Fonte: ANSA Scienze
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Fotografato per la prima volta l'innesco di tutte le reazioni chimiche alla base della vita: è il moto ultraveloce degli elettroni, immortalato grazie a brevissimi impulsi di luce all'interno di uno dei 'mattoni' delle proteine. Il risultato, pubblicato su Science, si deve ad una collaborazione internazionale che ha come capofila il Politecnico di Milano insieme all'Università di Trieste e l'Istituto di fotonica e nanotecnologie (Ifn) del Cnr di Milano e Padova.

Le applicazioni pratiche della scoperta
Lo studio potrà essere molto utile per capire, dal punto di vista atomico, l'azione delle radiazioni ionizzanti usate nella radioterapia contro i tumori, ma non solo: potrà avere ricadute pratiche nello sviluppo di celle solari più efficienti, nella realizzazione di microprocessori ultraveloci e potrà dare un grande impulso all'elettronica del futuro, quella molecolare, in cui i componenti elettronici saranno rimpiazzati da molecole.

Il processo più veloce in biologia
Il movimento ultraveloce degli elettroni è stato catturato all'interno dell'aminoacido fenilalanina usando flash di luce della durata di alcuni miliardesimi di miliardesimo di secondo, che hanno consentito di seguire i primissimi istanti del processo più veloce mai osservato in una struttura biologica.

Il filmato degli elettroni
I singoli fotogrammi del filmato mostrano come gli elettroni si muovano all'interno della struttura su scale temporali che precedono qualunque movimento dei nuclei degli atomi che costituiscono la molecola. Spiegare come gli elettroni si muovono su scala infinitamente piccola è essenziale per la comprensione di numerosi processi biologici, dato che le primissime fasi di tutte le reazioni chimiche alla base della vita sono dominate e indirizzate dal moto ultraveloce degli elettroni.

"Sulla nascita della vita" (articolo)

giovedì 16 ottobre 2014

Verso i supercalcolatori: un progetto dell'UE migliora l'efficienza energetica nell'informatica ad alte prestazioni.

Fonte: Cordis 
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Il progetto EXA2GREEN, finanziato dall'UE, sta preparando il terreno per il calcolo exascale, migliorando l'efficienza energetica del calcolo ad alte prestazioni.
I computer exascale, i cosiddetti supercomputer del futuro, sono macchine in grado di effettuare almeno 1 018 operazioni al secondo. Il ritmo di lavoro in exascale è inconcepibilmente immenso e offre la prospettiva di un progresso trasformativo in vari campi: energia, sicurezza nazionale, ambiente, economia e importanti questioni scientifiche. Il percorso dell'exascale è tuttavia costellato da numerose sfide complesse, una delle quali è il consumo energetico. Il progetto EXA2GREEN, finanziato dall'UE, ha raccolto questa sfida e sta sviluppando un paradigma di calcolo completamente nuovo che tiene conto dell'energia e una metodologia di programmazione per il calcolo exascale.

Composto da un'equipe di ricerca interdisciplinare di esperti di calcolo ad alte prestazioni provenienti da Germania, Svizzera e Spagna, il team di EXA2GREEN si sta occupando in particolare di tre attività. Innanzitutto, lo sviluppo di strumenti per misurare le prestazioni e il consumo energetico dei calcoli. In secondo luogo, l'analisi dei kernel esistenti e ampiamente usati e lo sviluppo di nuovi algoritmi efficienti dal punto di vista energetico. E infine, l'ottimizzazione di un modello climatico ad alta intensità di calcolo per ottenere una significativa riduzione del consumo energetico nelle simulazioni climatiche. Per questo terzo elemento, EXA2GREEN sta usando il modello di previsioni meteorologiche COSMO-ART, come esempio di una simulazione impegnativa il cui profilo energetico è attualmente lontano dall'essere ottimale.

Attualmente il team ha svolto i due terzi delle attività del progetto e sta facendo grandi progressi. EXA2GREEN ha già sviluppato uno strumento per analizzare le prestazioni e lo spreco di energia delle applicazioni scientifiche parallele. Questo in definitiva permetterà agli scienziati e ai tecnici di identificare fonti di inefficienza energetica e di ottimizzare il codice di applicazione. I membri del team hanno inoltre prodotto modelli precisi per la caratterizzazione e la previsione di tempo-potenza-energia di diversi kernel di calcolo elementari e hanno studiato l'impronta energetica e il profilo di prestazioni di COSMO-ART su varie piattaforme di calcolo ad alte prestazioni.

Il prof. Vincent Heuveline, coordinatore di EXA2GREEN presso l'Università di Heidelberg, sottolinea l'importanza della collaborazione in termini dei risultati del progetto e osserva: "Il nostro consorzio interdisciplinare di progetto comprende partner dei settori del calcolo ad alte prestazioni, dell'informatica, della matematica, della fisica e dell'ingegneria. I partner contribuiscono con le loro competenze specifiche alla collaborazione per affrontare gli argomenti di ricerca".

Il viaggio di EXA2GREEN non è stato sempre facile, come spiega il prof. Heuveline: "Le attuali architetture di computer in grandi sistemi di calcolo ad alte prestazioni consumano enormi quantità di energia. Può risultare molto difficile ispezionare e capire tutti i possibili dissipatori di energia in queste piattaforme. Per capire il consumo energetico delle applicazioni, usiamo due tipi di dispositivi di misurazione della potenza, misuratori di potenza esterni e interni, e otteniamo ulteriori informazioni dai sensori dell'hardware. Associando questi dati provenienti da diverse misurazioni, otteniamo una visione dettagliata del consumo di energia".

Sono in programma molti sviluppi per l'ultimo anno del progetto. Uno dei prossimi passi riguarda lo sfruttamento delle conoscenze acquisite durante la prima fase del progetto per sviluppare implementazioni a risparmio energetico di alcuni degli algoritmi considerati. Il team userà inoltre lo schema di misurazione potenza-prestazioni per lavorare su una valutazione energetica del sistema di modello di COSMO-ART e provare ad applicare, dove possibile, tecniche a risparmio energetico.

I membri di EXA2GREEN sono sicuri che il loro lavoro darà un contributo prezioso per migliorare macchine di oggi e per ottenere un calcolo exascale più efficiente dal punto di vista energetico. Il prof. Heuveline osserva: "Oltre all'evidente valore intrinseco dei nuovi algoritmi a risparmio energetico che sono in grado di risolvere gli stessi problemi consumando meno energia, questo lavoro è estremamente importante per sviluppare una nuova visione olistica sul calcolo a risparmio energetico. Il nostro obiettivo generale non è solo di usare meglio le macchine di oggi, ma anche di guidare lo sviluppo dell'hardware e degli algoritmi futuri nella giusta direzione verso la prossima generazione di supercomputer exascale".

EXA2GREEN fa parte dell'iniziativa proattiva FET (Tecnologie future ed emergenti) "Minimizzare al massimo il consumo energetico del calcolo".

Per maggiori informazioni, visitare:
http://exa2green-project.eu/

Costruito il generatore elettrico più sottile del mondo. Servirà per i futuri computer indossabili.

Costruito il generatore elettrico più piccolo del mondo (fonte: Rob Felt/Georgia Tech)
Fonte: ANSA Scienze  
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È stato costruito il generatore elettrico più sottile del mondo: ha lo spessore di un atomo e genera energia dal movimento. Integrato nei vestiti, può convertire i movimenti del corpo in elettricità per ricaricare a esempio il cellulare. È la base per una nuova generazione di dispositivi che generano elettricità, trasparenti, leggerissimi, estremamente flessibili. Realizzato negli Stati Uniti, il dispositivo è stato descritto su Nature dai ricercatori della Columbia University e del Georgia Institute of Technology.

Un materiale sottilissimo
Il generatore è stato realizzato con un materiale a due dimensioni, chiamato bisolfuro di molibdeno. Il dispositivo produce elettricità grazie a un effetto chiamato piezoelettrico, in cui lo stiramento o la compressione di un materiale generano una tensione elettrica. In questo caso è lo stiramento del materiale a generare corrente elettrica.

Computer indossabili
L'effetto è stato teorizzato ma mai osservato in materiali sottilissimi come questi, dello spessore di uno o pochi atomi. Generatori di questo tipo, che convertono in elettricità l'energia meccanica dell'ambiente o del corpo umano, potrebbero essere usati anche nella robotica, ha osservato uno degli autori, James Hone, ingegnere meccanico alla Columbia University. Oppure se integrati nei vestiti, potrebbero ricaricare, per esempio, il cellulare o alimentare sensori medici indossabili che controllano la salute.
''E' il primo lavoro sperimentale in questo settore - ha rilevato Hone - ed è un esempio di come il mondo diventa diverso quando le dimensioni del materiale si restringono alla scala di un singolo atomo''.

Dall'olfatto dei moscerini le future armi antiterrorismo. Può ispirare nasi elettronici che riconoscono bombe e droghe.

L'olfatto del moscerino della frutta ispira una nuoca generazione di nesi elettronici (fonte: Andre Karwath)
Fonte: ANSA Scienze 
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L'olfatto dei moscerini della frutta potrebbe diventare un'arma contro il terrorismo. Le sue caratteristiche possono essere riprodotte per costruire nasi elettronici capaci di riconoscere bombe, ma anche droghe e vini. È quanto mostra lo studio pubblicato sulla rivista Bioinspiration e biomimetica, dal gruppo coordinato dall'informatico Thomas Nowotny dell'università britannica di Sussex che ha analizzato l'olfatto di questi insetti.

Con sorpresa si è scoperto che il 'naso' del moscerino della frutta è in grado di identificare gli odori delle sostanze stupefacenti e di quelle esplosive in modo accurato, perché hanno un aroma simile a quello del cibo preferito da questi moscerini, ossia la frutta fermentata.

Per arrivare a realizzare in futuro un naso ispirato all'olfatto di questi insetti, i ricercatori hanno cercato allora quali sono i recettori che il moscerino della frutta utilizza per percepire gli odori: è stato scoperto che 20 diversi recettori rispondono a 36 sostanze chimiche legate al vino e a 35 sostanze chimiche correlate a materiali pericolosi, come quelli presenti nelle droghe, nei prodotti della combustione e negli esplosivi. Una simulazione ha permesso poi di comprendere quale è la parte del cervello che il moscerino usa per il riconoscimento.

''L'obiettivo a lungo termine di questa ricerca – ha osservato Nowotny - è realizzare un naso elettronica ispirato all'olfatto dei moscerini per rivelare esplosivi, armi chimiche e droghe''. Ma la gamma di applicazioni, ha sottolineato, è molto vasta: ''un dispositivo di questo tipo potrebbe essere usato nel controllo della qualità alimentare, nel monitoraggio delle esalazioni dei vulcani e nel rilevamento dei parassiti in agricoltura''. Si potrebbe anche arrivare a un sommelier elettronico ispirato ai moscerini.

La speranza è che tali nasi elettronici potranno essere molto più sensibili e più veloci di quelli attualmente in commercio che si basano su sensori fatti con ossidi di metalli e sono molto lenti rispetto a un naso biologico.

mercoledì 15 ottobre 2014

Dopo i Led, dal carbonio luci 100 volte più efficienti. Le lampade del futuro saranno accese dai nanotubi.

Sorgente di luce basata sui nanotubi di carbonio (fonte: N.Shimoi/Tohoku University) 
Fonte: ANSA Scienze 
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Dopo la rivoluzione dei Led si prepara quella dei nanotubi di carbonio. Queste strutture nate nel mondo delle nanotecnologie potrebbero diventare sorgenti di luce molto efficienti, dal consumo di appena 0,1 Watt l'ora, ossia circa cento volte inferiore a quello dei Led, che quest'anno sono stati premiati con il Nobel. Un nuovo dispositivo che emette luce, fatto di minuscoli cilindri di carbonio (nanotubi di carbonio, è descritto sulla rivista Review of Scientific Instruments, dal gruppo coordinato da Norihiro Shimoi, dell'università giapponese di Tohoku.
La prossima rivoluzione della luce
Ottimi conduttori di elettricità, i materiali a base di carbonio come il grafene o i nanotubi stanno emergendo come successori del silicio per l'elettronica del futuro. In particolare per le proprietà di stabilità chimica, conduttività termica e resistenza meccanica, i nanotubi di carbonio si stanno dimostrando molto efficaci per realizzare sorgenti luminose. Ora è stato fatto un nuovo passo in avanti mostrando che con i nanotubi di carbonio si potrebbe realizzare una nuova generazione di dispositivi per l'illuminazione a basso consumo, e a basso costo, in grado di sfidare il predominio dei Led.

Super-efficienza
Il dispositivo si basa su uno schermo al fosforo che mette la luce e un 'campo' di nanotubi di carbonio che possiamo immaginare come un filamento di tungsteno (come quello delle vecchie lampadine a bulbo) ridotto a proporzioni microscopiche, che ha la funzione di elettrodo che stabilisce il contatto elettrico con il dispositivo. ''Con il nostro semplice sistema – osserva Shimoi - possiamo ottenere un'efficienza di luminosità elevata, di 60 Lumen per Watt, un buon livello per un dispositivo di illuminazione a basso consumo energetico, a esempio i Led possono produrre 100 Lumen per Watt e i led organici (Oled) circa 40''.

martedì 14 ottobre 2014

Pronta la mappa del Dna della mosca. Chiave per ottenere discariche più efficienti e nuovi vaccini.

Fonte: ANSA Scienze 
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Discariche più efficienti e futuri vaccini contro tifo e tubercolosi potrebbero arrivare grazie al Dna della mosca. La prima mappa del Dna di uno degli insetti più fastidiosi del mondo ha permesso di scoprire i geni con cui la mosca degrada i rifiuti di cui si nutre e i geni del sistema immunitario che le permettono di essere immune alle malattie che trasferisce all'uomo. Pubblicato sulla rivista Genome Biology, il risultato si deve al gruppo di ricerca coordinato da Jeff Scott, della università americana di Cornell.
La mosca vettore di oltre 100 malattie
''La mosca - rileva Scott - è un insetto affascinante per la ricerca, dalla biologia dello sviluppo, agli studi sull'immunità, fino alla tossicologia e l'analisi del suo Dna potrà permetterci molti progressi in questi settori''. La mosca comune, il cui nome scientifico è Musca domestica, vive generalmente sui rifiuti: è una specie importante per la ricerca, per la sua capacità di degradare i rifiuti e perché è vettore di oltre 100 malattie, tra cui il tifo, la tubercolosi e il tracoma che provoca circa sei milioni di casi di cecità infantile ogni anno.
Dna a confronto
I ricercatori hanno sequenziato il genoma di sei mosche e, per scoprire quali sono i geni presenti solo in questo insetto. Hanno quindi confrontato il Dna con quello del moscerino della frutta (Drosophila melanogaster). Sono stati scoperti geni del sistema immunitario, unici per l'insetto, e che potrebbero aiutare a mettere a punto nuovi vaccini contro le malattie che la mosca trasmette all'uomo e da cui è immune. Inoltre nel Dna dell'insetto sono stati individuati geni 'disintossicanti' grazie ai quali può sopportare ambienti tossici. Altri geni scoperti producono proteine in grado di decomporre i materiali organici di cui si nutre la mosca e che scioglie con la saliva prima di succhiare con una sorta di proboscide. Informazioni su queste proteine potrebbero fornire indicazioni per nuove tecniche di smaltimento dei rifiuti.

Nanometalli 'liquidi' per i chip del futuro. Scoperto un materiale liquido e solido allo stesso tempo.

Un sottilissimo strato liquido di atomi di argento avvolge una struttura cristallina (fonte: Yan Liang/Mit)
Fonte: ANSA Scienze
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Materiali all'apparenza liquidi, che si comportano come gocce d'acqua mentre conservano al loro interno una struttura rigida e cristallina: è la nuova stranezza scoperta nel bizzarro mondo delle nanotecnologie e che potrebbe portare in futuro a circuiti elettronici ancora più miniaturizzati. A scoprire il fenomeno dei 'liquidi-solidi', descritto sulla rivista Nature Materials, è il gruppo dell'Istituto di Tecnologia del Massachusetts (Mit) guidato da Ju Li.

Gocce d'argento
Tutto è cominciato analizzando il comportamento di piccolissime gocce di argento dal diametro di 10 milionesimi di metro (nanometri), meno di un miliardesimo dello spessore di un capello. Queste nanoparticelle hanno l'aspetto di liquidi eppure in realtà sono dei perfetti cristalli. Hanno cioè una rigida struttura che mantiene insieme gli atomi di argento. La loro apparente 'liquidità' sarebbe dovuta a un sottilissimo strato 'molle', dello spessore di appena 1 o 2 atomi, che cela un nucleo solido. "La parte interna - ha spiegato Li - è cristallina e gli atomi in grado di muoversi sono solamente quelli dello strato superficiale. Ovunque, a eccezione della superficie, è un cristallo". L'esistenza di questo duplice 'stato', liquido e solido, non era mai stata osservata finora e potrebbe essere presente in molti altri nanomateriali, non solo nelle gocce d'argento.

EAR-IT: Usare il suono per una nuova percezione del mondo.

Fonte: Cordis 
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Avete mai pensato di usare l'acustica per raccogliere dati? Il progetto EAR-IT ha considerato questa possibilità sviluppando varie applicazioni pioneristiche che influenzeranno la nostra vita quotidiana. Monitorare la densità del traffico nelle città e il risparmio energetico nelle case, per esempio, potrebbe permettere lo sviluppo di città ed edifici intelligenti.
Il progetto EAR-IT ha utilizzato la tecnologia dell'acustica intelligente sviluppata nei laboratori, adattandola agli ambienti della vita reale. Il progetto, che coinvolge sia istituti di ricerca che consulenti di mercato , si è concentrato su applicazioni sia negli ambienti esterni che in quelli interni: monitoraggio del flusso del traffico e consumo energetico nei luoghi chiusi sulla base del numero di persone che si trovano in una stanza.

Per un traffico urbano più scorrevole, fluido e sicuro

Nell'ambito dell'iniziativa FIRE (un concetto dell'UE per l'internet del futuro ), la città di Santander in Spagna si è trasformata in un'enorme struttura di ricerca sperimentale, SmartSantander . Si tratta del banco di prova per le applicazioni esterne di EAR-IT: il monitoraggio del flusso del traffico presso uno svincolo vicino all'ospedale cittadino e l'analisi della densità del traffico in due strade della città.

Il coordinatore del progetto, il prof. Pedro Maló spiega: "Questo svincolo complicato è stato lo scenario di non pochi incidenti stradali. Il traffico confluisce da varie direzioni e i veicoli di emergenza cercano di passare. EAR-IT ha messo in funzione sensori che "sentono" le sirene e poi attivano altri sensori per seguire il veicolo. Questi dati vengono poi usati per cambiare i semafori e dare la precedenza alle ambulanze".

I sensori possono aiutare le persone ad arrivare in ospedale in modo più sicuro e più veloce, ma possono anche inviare un messaggio a un'applicazione per smartphone per avvisare se c'è un concerto nelle vicinanze o un evento in strada che potrebbe interessare agli utenti. Una volta installato il sensore, i dati che raccoglie possono essere usati per un'ampia gamma di applicazioni.

Il progetto ha anche testato l'abilità dei sensori di contare le auto presenti sulla strada. Per controllare che i dati raccolti fossero precisi, EAR-IT ha usato due strade provviste di sensori a induzione elettromagnetica sotto l'asfalto.

"Mi sono sentito sollevato e felice quando - dopo un anno di lavoro per adattare la tecnologia all'ambiente cittadino - abbiamo scoperto che i sensori acustici e di pressione fornivano lo stesso messaggio", dice il prof. Maló. Mentre i sensori stradali possono solo contare le auto, i sensori acustici hanno un'ampia gamma di applicazioni.

La conferma che i sensori riescono a identificare il numero di auto che passano, anche quando si tratta di grandi gruppi, significa che non solo l'attrezzatura può essere usata per controllare i punti in cui la densità del traffico è maggiore, ma anche, per esempio, in associazione ai rilevatori di inquinamento. Essa potrebbe quindi rappresentare uno strumento fondamentale nell'impegno dell'UE di migliorare la qualità dell'aria nelle aree urbane.

In particolare, EAR-IT sta approfittando della straordinaria infrastruttura di sperimentazione che è SmartSantander e ha dislocato 12 000 dispositivi in tutta la città, i quali funzionano a batteria e sono per lo più istallati su pali della luce per assicurare la sostenibilità energetica. Le piccole batterie si ricaricano durante la notte con lo scorrere dell'elettricità e hanno quindi bisogno di una minima manutenzione.

Case sicure ed efficienti dal punto di vista energetico - un'idea che suona bene

EAR-IT ha anche lavorato all'utilizzo dei dati acustici per risparmiare energia nelle abitazioni, impiegandoli per valutare cosa succede nelle stanze e quante persone vi si trovano. "Si possono far aprire le finestre, chiudere le tende e accendere o spegnere le luci o il riscaldamento automaticamente", spiega il prof. Maló, aggiungendo che gli utenti possono scegliere le impostazioni che preferiscono.

Un'applicazione molto importante - alla luce dell'invecchiamento della popolazione europea - sarebbe l'uso di sensori acustici per assicurarsi che una persona sia al sicuro quando si trova in casa. Potrebbero trasmettere un messaggio di emergenza se qualcuno cade, per esempio, informando gli operatori sanitari e la famiglia che devono intervenire.

Senza dimenticare la privacy

Con tutti i vantaggi che la tecnologia può offrire, il progetto è comunque consapevole della necessità di garantire la privacy a tutti. Ha creato uno strumento per gli sviluppatori che desiderano usare i sensori acustici, disponibile sul sito web del progetto. Lo strumento analizza la situazione avvertendoli di possibili problemi legali e proponendo soluzioni per assicurare che la nostra vita privata rimanga tale.

Il progetto ha coinvolto sei partner europei e una PMI cinese. Sostenuto con 1,45 milioni di euro di finanziamenti, attraverso il tema dedicato alla TIC del 7° Programma quadro dell'UE, il progetto biennale si è concluso a settembre 2014 e sarà completato entro la fine dell'anno.

Collegamento al sito web del progetto
Collegamento a video correlato

domenica 12 ottobre 2014

Progettare le soluzioni elettroniche flessibili e intelligenti del futuro.

Fonte: Cordis 
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Il progetto FLEXIBILIS finanziato dall'UE sta sviluppando materiali a basso costo per aiutare le aziende europee a commercializzare applicazioni elettroniche flessibili.
Schermi flessibili per dispositivi mobili, bende terapeutiche intelligenti per monitorare la guarigione di ferite, e dispositivi elettronici indossabili per migliorare le prestazioni atletiche sono tutte applicazioni basate sui diodi organici a emissione di luce (OLED) e sui sistemi fotovoltaici organici (OPV). Questo significa che esse dipendono fortemente dall'uso dell'ossido di indio e stagno (ITO) per la produzione dei loro film conduttori trasparenti, un vincolo costoso che rappresenta un ostacolo alla commercializzazione diffusa dei dispositivi elettronici flessibili.

Per questo motivo, il progetto paneuropeo FLEXIBILIS, avviato nel 2013, mira a sviluppare tecnologie e materiali alternativi per riuscire a produrre applicazioni elettroniche stampate a basso costo, sostenibili e flessibili. L'iniziativa ha già dimostrato alcuni risultati promettenti nel rimpiazzare l'ITO. Il Centro per l'innovazione di processo (CPI), che sta guidando questo progetto, ha recentemente prodotto ciò che chiama dimostratori di illuminazione OLED privi di difetti con aree emissive superiori a 250cm2.

Il passo successivo sarà quello di perfezionare e applicare questi risultati a dispositivi dimostrativi reali. Infine, il progetto cercherà di produrre questi materiali su una scala in grado di sostenere la crescita del mercato.

Le opportunità di mercato per i componenti elettronici flessibili, che possono essere piegati e persino accartocciati, sono enormi. La tecnologia permette di produrre circuiti e dispositivi elettronici usando dei processi di stampa relativamente economici su qualsiasi superficie, sia rigida che flessibile, e su grandi aree. Questo permette ai progettisti di integrare tecnologia e funzionalità nei loro prodotti, creando l'opportunità per nuovi componenti innovativi che sono wireless, interattivi, più sottili e leggeri.

Una benda intelligente con componenti elettronici integrati, ad esempio, può essere indossata come se fosse una benda normale. Questa tecnologia può essere anche usata per installare un sistema di illuminazione efficiente su una grande area, sviluppare celle solari a basso costo oltre a batterie flessibili e rispettose dell'ambiente.

Il progetto FLEXIBILIS mira a inserirsi proprio in questo tipo di applicazioni promettenti. Si prevede che il valore del mercato globale dei componenti elettronici flessibili, conosciuti anche come elettronica organica e macroelettronica (OLAE), aumenti da poco oltre 1 miliardo di euro oggi a oltre 200 miliardi di euro entro il 2027. Risulta quindi di vitale importanza che l'Europa assuma il comando nello sviluppo di nuove applicazioni. Un obbiettivo chiave del programma FLEXIBILIS è perciò quello di migliorare la catena distributiva, per garantire che nuovi prodotti possano essere portati sul mercato nel modo più efficiente possibile.

FLEXIBILIS è il risultato di un invito transnazionale OLAE+ per la ricerca collaborativa e le proposte di sviluppo nell'ambito dello schema ERA-NET Plus della Commissione europea. L'obbiettivo del programma OLAE + è quello di attrarre, qualificare e sostenere proposte per sviluppare e stimolare le relazioni tra tecnologia e aziende all'interno del mercato europeo dell'elettronica, creare la catena distributiva e rimuovere le barriere che ostacolano l'industrializzazione.

L'Europa è già in vantaggio nello sviluppo della tecnologia dei componenti elettronici flessibili e possiede anche una vivace catena distributiva in crescita che deve essere sostenuta e rafforzata. Il progetto FLEXIBILIS lavorerà per garantire che questo obbiettivo venga raggiunto.

Per ulteriori informazioni, visitare:
http://www.uk-cpi.com 

Acquisire informazioni sui colori superando la nostra capacità visiva di 12 volte!

Credits immagine: jakerome/Flickr CC
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Nel prossimo futuro il miglioramento delle immagini, allargando lo spettro acquisibile, potrebbe offrire numerosi vantaggi in molti settori come quello medico, industriale o militare. Anche grazie a un nuovo sistema capace di acquisire informazioni sui colori superando la nostra capacità visiva di 12 volte, progettato dai ricercatori della University of Granada guidati da Miguel Martinez.
I dispositivi che utilizziamo solitamente, come fotocamere digitali, cellulari, e webcam, per catturare i colori hanno dei sensori di immagine in bianco e nero coperti da filtri colorati, come ad esempio il più comune sistema Rgb, che utilizza i filtri rosso, verde e blu. Per ottenere l’informazione del colore di ogni pixel è necessario un algoritmo che combini insieme i dati acquisiti da ciascun filtro.
Per progettare il nuovo sistema, presentato sulle pagine di Applied Optics, gli scienziati hanno utilizzato un nuovo tipo di sensore al silicio sviluppato al Politecnico di Milano, combinandolo con una matrice di filtri multispettrali (invece dei 3 dell'Rgb). “Ciascun fotone, in base alla lunghezza d’onda, ovvero al suo colore, attraversa le superfici ad una certa profondità. In questo modo, attraverso la loro raccolta a vari livelli sulla superficie di silice di cui sono fatti i sensori, i diversi colori possono essere separati senza la necessità di filtri”, ha spiegato Martinez.
Questi nuovi dispositivi, chiamati Transfers Field Detectors (Tfd), “sono in grado di estrarre informazioni cromatiche complete in ogni pixel dell’immagine senza la necessità di applicare filtri a colori su di essi”, continua Martinez, contando su un totale di 36 canali di colori e migliorando così di 12 volte le informazioni sui colori acquisibili dall'occhio umano e dalle fotocamere tradizionali.
Riferimenti: Applied Optics http://dx.doi.org/10.1364/AO.53.000C14

venerdì 10 ottobre 2014

Ecco il robot-serpente che scala le dune di sabbia. Passo verso robot terrestri adatti ad ogni terreno.

Il robot-serpente messo a punto dagli ingegneri della Carnegie Mellon University (fonte: Nico Zevallos e Chaohui Gong)
Fonte: ANSA Scienze
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E' stato messo a punto un nuovo robot-serpente in grado di scalare le dune di sabbia con movimenti obliqui simili a quelli del serpente a sonagli.
Capace di muoversi sui terreni più difficili, potrebbe essere usato per operare tra le macerie di un edifico o di una centrale nucleare, così come in una spedizione archeologica nel deserto o una missione esplorativa su un pianeta alieno. Lo hanno messo a punto gli ingegneri di tre università statunitensi (Georgia Institute of Technology, Carnegie Mellon University e Oregon State University) in stretta collaborazione con i biologi dello zoo di Atlanta. I risultati dello studio sono pubblicati su Science.
La natura come maestra
''La nostra idea iniziale era quella di usare il robot come modello fisico per capire il movimento dei serpenti'', spiega Daniel Goldman del Georgia Tech. ''Studiando l'animale e il modello fisico insieme - aggiunge - abbiamo scoperto dei principi generali molto importanti che ci hanno permesso non solo di capire il serpente, ma anche di migliorare il robot''.

Un robot allo zoo
Lungo quasi 94 centimetri, questo serpente hi-tech è un robot modulare tenuto insieme da 16 articolazioni, che gli consentono di muoversi in obliquo per scalare terreni sabbiosi sempre più ripidi senza rischiare di rimanere bloccato. Per migliorare le sue performance, gli ingegneri hanno studiato a fondo i movimenti di sei serpenti a sonagli posti all'interno di un recinto presso lo zoo di Atlanta. Per scalare le dune, questi animali si muovono in obliquo sollevando in maniera alternata solo alcuni tratti del corpo e lasciando gli altri a contatto con il suolo, un po' come fa il cingolo di un carro armato. Quando la pendenza aumenta, ecco il loro 'segreto': far aderire al suolo segmenti del corpo sempre più lunghi in modo da ridurre al minimo il rischio di scivolamento.

Da Lhc due nuove particelle: Due mesoni precedentemente mai osservati.

(foto: FABRICE COFFRINI/AFP/Getty Images)
Fonte: Wired.it
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Si tratta di due mesoni precedentemente mai osservati, le cui caratteristiche potrebbero aiutare gli scienziati a studiare la cosiddetta “interazione forte” che tiene uniti i quark.
Dopo il Bosone di Higgs, altre due particelle tutte nuove sono in arrivo dal Cern di Ginevra. Studiando una serie di strani picchi energetici già registrati nel 2006 dall’esperimento BaBar della Stenford University, i ricercatori dell’Lhcb sono riusciti infatti ad identificare DS3*(2860)- e DS1*(2860)-, due mesoni precedentemente sconosciuti, che presentano alcune caratteristiche assolutamente uniche, con cui gli scienziati sperano di studiare alcune delle forze più elementari della materia.
I mesoni sono particelle che contengono due quark, le particelle sub atomiche indivisibili che compongono la materia, e che sono tenute insieme dalla cosiddetta interazione forte, una delle quattro interazioni fondamentali postulate dalla fisica (interazione forte, elettromagnetica, debole e gravitazionale). A rendere importante la nuova scoperta è il fatto che a differenza degli altri mesoni conosciuti, lo spin di DS3*(2860)- (misura che concorre a definire lo stato quantico) permetterebbe di conoscere con precisione le proprietà dei quark che lo costituiscono.
In particolare, spiegano i ricercatori dell’Lhcb, questo rende la nuova particella un candidato perfetto per lo studio dell’interazione forte, perché le sue caratteristiche semplificano notevolmente i calcoli coinvolti. Lo studio è stato svolto inoltre utilizzando una tecnica chiamata Dalitz Plot Analisys, che permette analizzare i picchi energetici registrati da un acceleratore di particelle, separando e visualizzando i diversi percorsi che può prendere una particella mentre decade. È la prima volta che questa tecnica viene utilizzata con successo sui di dati raccolto dall’Lhc, e viste le dimensioni dei set di misurazioni raccolti dall’acceleratore del Cern, i ricercatori si aspettano che la dimostrazione dell’efficacia della Dalitz Plot Analysis apra presto la strada a nuove importanti scoperte.

Primo passo verso i computer 'viventi'. Dopo gli Ogm, le piante sintetiche.

Cellule di foglie di Arabidopsis thaliana (fonte: Fernán Federici and Jim Haseloff , University of Cambridge) 
Fonte: ANSA Scienze
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Dopo gli Ogm, arrivano le piante sintetiche, o meglio 'geneticamente inventate'. A differenza degli organismi geneticamente modificati, le sequenze di Dna innestate in queste piante sono artificiali, ossia progettate e costruite in laboratorio. Sono il primo passo verso i computer viventi o verso i microprocessori fatti di fibre vegetali. Le descrivono sulla rivista  Science June Medford e Ashoka Prasad, dell'università americana del Colorado.

Un gigantesco esperimento
I tentativi in corso da tempo nei laboratori di tutto il mondo cominciano ad avere i primi successi: ''è un gigantesco esperimento, ma credo che per decenni resterà in laboratorio. L'obiettivo in questo momento non è tanto ottenere piante in grado di fare determinate cose, quanto capire come funziona il Dna vegetale'', osserva Roberto Defez, dell'Istituto di Bioscienze e Biorisorse (Ibbr) del Consiglio Nazionale delle Ricerche (Cnr) a Napoli. ''E' come avere di fronte - aggiunge - un televisore complicatissimo e smontarlo per vedere quali pezzi servono a produrre video o suono''. Una volta compresi meglio i segreti del Dna delle piante allora, per Defez, si potrà passare a sviluppare organismi in grado di fare quello che vogliamo. Tuttavia ''la strada è ancora lunga, inoltre, una cosa è produrre queste piante in laboratorio, un'altra è farlo nell'ambiente reale''.

Circuiti genetici
L'approccio riproduce quell'elettronica: si assemblano circuiti genetici, ossia sequenze che governano interi processi metabolici. Ma a differenza dei circuiti elettronici che richiedono connessioni utilizzando dei cavi, le funzioni dei geni richiedono una sorta di passa-parola molecolare. Di conseguenza per governare bene i meccanismi che si vogliono realizzare in modo artificiale, è cruciale conoscere alla perfezione la cascata di eventi generata dai geni o gruppi di geni. Altri metodi consistono nello 'smontare' il Dna, eliminando per esempio i geni che non codificano, e nel rimontarlo; altri ancora innestano nel genoma della pianta gruppi di geni prelevati da batteri. Prima di passare alla realizzazione pratica, tutti questi processi vengono simulati al computer per programmare la risposta desiderata.

Sensori e computer biologici
In questo modo è stato ottenuto, per esempio, tabacco con una proteina che permette alla pianta di percepire alcune sostanze chimiche e di segnalarne la presenza cambiando colore, ossia diventando più chiara grazie a una perdita di clorofilla. Per Pierdomenico Perata, esperto di Fisiologia vegetale e rettore della Scuola Superiore Sant'Anna di Pisa, l'obiettivo di questi esperimenti è verificare se è possibile riprodurre il concetto di calcolo usando elementi biologici come Dna e proteine allo scopo di ottenere veri e propri 'computer viventi'. Questi organismi, secondo l'esperto, potrebbero essere alla base di una nuova generazione di sensori o, in futuro lontano, per realizzare microprocessori biologici per i computer.

giovedì 9 ottobre 2014

Il supermicroscopio europeo da 1,8 miliardi. Nasce in Svezia, ed è la più potente sorgente di neutroni al mondo.

Il progetto della struttura che ospiterà il supermicroscopio ESS (fonte: ESS)
Fonte: ANSA Scienze
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Parla italiano il microscopio a neutroni più potente del mondo. Si chiama Ess (European Spallation Source) e permetterà di conoscere la struttura di cellule, molecole e materiali con un dettaglio senza precedenti, con ricadute nei settori più diversi: dall'elettronica all'energia solare, dalla biologia alla medicina. Costa 1,8 miliardi di euro e la prima pietra e' stata posata il 9 ottobre in Svezia, a Lund. I primi neutroni sono attesi per il 2019, mentre i primi esperimenti sono in programma nel 2023.

Al progetto, che getta le basi per una nuova generazione di infrastrutture di ricerca in Europa l'Italia partecipa in modo importante con il ministero per l'Istruzione, l'Universita' e la Ricerca, l'Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (Infn), Elettra Sincrotrone Trieste e Consiglio Nazionale delle Ricerche (Cnr).

''L'Infn partecipa alla realizzazione della nuova sorgente europea di neutroni sin dal 2009'', con la progettazione e la costruzione di componenti fondamentali dell'acceleratore", ha Eugenio Nappi, della giunta esecutiva dell'Infn e rappresentante del ministero nel comitato guida del progetto Ess. Per il presidente di Elettra Sincrotrone Trieste, Alfonso Franciosi, ''la partecipazione concreta e attiva di Elettra e degli altri partner italiani alla European Spallation Source è un'opportunità fondamentale per il nostro Paese, sia dal punto di vista scientifico sia dal punto di vista industriale''. Soddisfatto anche il presidente del Cnr, Luigi Nicolais, per il quale il progetto Ess ''è un esempio di infrastruttura scientifica ideata, progettata e realizzata europeisticamente''.

venerdì 3 ottobre 2014

Catturata la particella bifonte. È anche la sua antiparticella, prevista da Ettore Majorana.

La traccia alle estremità corrisponde al fermione di Majorana (fonte: Ilya Dorzdov, Yazdani Lab, Princeton University)
Fonte: ANSA Scienze
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E' una delle particelle più stravaganti mai previste perché è nello stesso tempo anche la sua antiparticella, ossia il suo opposto nell'antimateria. Vale a dire che è qualcosa che si comporta sia come materia sia come antimateria. L'aveva prevista nel 1937 uno dei 'ragazzi via Panisperna', il fisico Ettore Majorana, e solo a distanza di 80 anni è stata finalmente osservata. Il risultato, pubblicato sulla rivista Science, si deve al gruppo di Stevan Nadj-Perge, dell'università americana di Princeton.

Verso i computer quantistici:
Per i ricercatori la scoperta è un mix di matematica, fisica teorica e ingegneria: gli esperti vedono già nella scoperta di questa particella stravagante, chiamata 'fermione di Majorana', un passo che avvicina i futuri computer quantistici, superveloci e superpotenti. In questi ultimi gli elettroni non rappresentano soltanto i valori uno e zero, come accade nel codice binario con cui funzionano attualmente i computer, ma anche quelli di uno strano stato nel quale sono nello stesso tempo uno e zero. La particella bifronte, chiamata 'fermione di Majorana', potrebbe essere un ottimo candidato per trasportare l'informazione dei computer quantistici.

Fisica 'low cost' e di alto livello:
''E' un risultato fantastico, davvero molto bello'', osserva il fisico Massimo Inguscio, presidente dell'Istituto Nazionale per la Ricerca in Metrologia (Inrim). La caccia al fermione di Majorana risale agli albori della fisica quantistica, quando i fisici si resero conto che le loro equazioni implicavano l'esistenza di una materia 'specchio' rispetto a quella che conosciamo direttamente.

La chiave nelle nanotecnologie:
Mentre per catturare altre particelle celebri, come il bosone di Higgs, sono stati necessari grandi acceleratori, i fisici sono riusciti a ottenere l'immagine ''brillante'' del fermione di Majorana grazie alle nanotecnologie. ''Ci sono aspetti della fisica fondamentale - rileva Inguscio - per studiare i quali non sono più necessari grandi acceleratori: si può andare al nocciolo delle equazioni facendo esperimenti su un banco da laboratorio''. E' quanto ha fatto il gruppo di Princeton, che ha utilizzato catene di atomi di ferro fatte depositare su un superconduttore come il piombo. Per Inguscio ''la novità sperimentale è che gli autori riescono a fare delle misure elettriche con elevatissima risoluzione spaziale, per cui vanno a vedere le proprietà elettriche della catena di atomi nel centro e alle estremità e vedono che solo alle estremità ci sono le 'firme' dei fermioni di Majorana che ci si aspetta''.

giovedì 2 ottobre 2014

Arriva il mantello dell'invisibilità 'low cost'. Genera un'illusione ottica che nasconde gli oggetti (VIDEO)

Il mantello dell'invisibilità low-cost, basato sulla combinazione di quattro lenti (fonte: J. Adam Fenster / University of Rochester)
Fonte: ANSA Scienze
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Arriva il mantello dell'invisibilità 'low cost': più efficace ed economico grazie alla combinazione di quattro lenti comuni che generano una sorta di illusione ottica che nasconde gli oggetti alla vista. Il risultato, pubblicato online sul sito arXiv.org e in via di pubblicazione sulla rivista Optics Express, si deve ai fisici Joseph Choi e John Howell, dell'università americana di Rochester.
Le applicazioni possibili, tra effetti speciali e chirurgia
Tra le possibili applicazioni, le prime potrebbero riguardare il cinema e la medicina: nel primo caso, con una nuova generazione di effetti speciali e nel secondo per facilitare il lavoro dei chirurghi nascondendo le loro mani durante gli interventi. Il mantello dell'invisibilità low cost riesce a nascondere oggetti di grandi dimensioni grazie all'uso di quattro lenti, poste a una distanza regolare fra loro. Lo scopo è deviare la luce, facendola ruotare intorno all'oggetto senza colpirlo. ''E' un'interessante dimostrazione sperimentale'', ha osservato Vito Mocella, dell'Istituto microelettronica e microsistemi del Consiglio Nazionale delle Ricerche (Cnr) a Napoli. Il pregio, ha aggiunto, è che la tecnologia funziona a livello macroscopico e su una larga banda. Tuttavia, sottolinea ''gli autori la definiscono impropriamente 'mantello', ma in questo caso non c'è un materiale che copre un oggetto occultandolo: è più una sorta di illusione ottica, per ottenere, a esempio, effetti speciali''.

Come funziona
Il sistema si basa sull'idea di nascondere gli oggetti con la luce, come stanno tentando di fare tanti altri gruppi di ricerca nel mondo. Tutti questi esperimenti, però, utilizzano materiali speciali capaci di respingere completamente la luce e hanno funzionato solo su oggetti piccolissimi. Seguendo una strada molto diversa, gli autori del mantello dell'invisibilità low cost sono riusciti a superare alcuni di questi limiti ottenendo una tecnologia che funziona nell'intero spettro visibile della luce senza distorcere lo sfondo su cui è posto l'oggetto nascosto. La tecnologia, però, non è ancora perfetta: l'oggetto risulta nascosto solo per pochi gradi (circa 15 gradi) e questo vuol dire che se lo spettatore si sposta riesce comunque a vederlo.