tag:blogger.com,1999:blog-19077242096821872492024-03-05T01:10:29.328-08:00Verso una Nuova Scienza di Confine Notizie e curiosità in ambito scientifico. Un blog di Fausto Intilla (teorico, aforista, inventore e divulgatore scientifico). Official Website: www.oloscience.com olosciencehttp://www.blogger.com/profile/07007258673266741468noreply@blogger.comBlogger1121125tag:blogger.com,1999:blog-1907724209682187249.post-16451550518485613142023-12-31T06:56:00.000-08:002023-12-31T06:56:58.730-08:00Intelligenza matematica e sviluppo cognitivo del bambino, da zero a dieci anni. <p></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgj-Oj_5OQz0vaKzlztVdGa5IcfF7oFeuCimE4f4lfIiXh2Xq5bqZURdd66PlsFdRXhEDFkyCfv0LHs4qq4J2wVGYY1UwsSerYeVLUrfLHDkDVd3WLZq93bJ0qKUUYDWE5hpNSpG-pRpCn9AerhLFfzpyXmikc-r4vDB-GSpqPqIi8euhcxcR0Yt7OQnRoF/s376/bambini.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="300" data-original-width="376" height="255" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgj-Oj_5OQz0vaKzlztVdGa5IcfF7oFeuCimE4f4lfIiXh2Xq5bqZURdd66PlsFdRXhEDFkyCfv0LHs4qq4J2wVGYY1UwsSerYeVLUrfLHDkDVd3WLZq93bJ0qKUUYDWE5hpNSpG-pRpCn9AerhLFfzpyXmikc-r4vDB-GSpqPqIi8euhcxcR0Yt7OQnRoF/s320/bambini.jpg" width="320" /></a></div><br /><div style="text-align: center;"> __________________________</div><div style="text-align: center;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><b>Lo psicologo svizzero Jean Piaget ha elaborato un quadro assai convincente del modo in cui i concetti matematici si evolvono e si radicano nella mente del fanciullo, nei suoi primi anni di formazione. L'estensione di questo modello allo sviluppo di ogni altra forma cognitiva (come l'intende Piaget) risulta piuttosto precaria, ed è dubbia l'opportunità di applicarlo a culture troppo lontane da quelle europee, in cui Piaget fece le sue osservazioni; nondimeno la descrizione dello sviluppo che ne discende è persuasiva.</b></div><div style="text-align: justify;"><b>Secondo l'idea di base di Piaget, tutto ciò che sappiamo del mondo e gli stessi itinerari lungo i quali perveniamo a tale conoscenza derivano, almeno nelle prime fasi, dalle nostre azioni fisiche sulle cose: dal fatto di afferrare, toccare e maneggiare gli oggetti. I bambini che hanno meno di due anni toccano gli oggetti, li tengono in mano e imparano a riconoscerli dopo esserne stati separati; in tal modo sviluppano un attaccamento personale alle cose, ma soltanto dopo i diciotto mesi circa comincia una fase essenziale del loro sviluppo psicologico; si accorgono che una cosa è la stessa quando si sposta altrove o quando la rivedono in un momento successivo, e quindi cominciano a comprendere che le cose hanno un qualche tipo di esistenza indipendente dalle loro azioni su di esse. Ora possono pensarle come oggetti a pieno titolo, e confrontarle con altri oggetti. Così i bambini acquistano la capacità di raggruppare insieme cose simili: tutti gli animali dotati di pelliccia, o tutte le automobili, possono essere riuniti in una collezione. Questa capacità di raggruppare dimostra che si è pervenuti al concetto di insieme, o classe di oggetti simili; da questo si può passare all'idea che alcune collezioni sono più grandi o più piccole di altre. All'inizio la valutazione sarà basata più che altro su impressioni: un bambino a cui vengano mostrati due gruppi di cioccolatini può essere indotto a scegliere quello che ne comprende di meno, se è disposto in modo da coprire un'area maggiore o da sembrare "più grande" per qualche altro aspetto che salta subito all'occhio. A questo stadio si manifestano soltanto una nozione generale di quantità e una capacità di distinguere numeri piccoli; non c'è alcuna nozione di una sequenza uniforme di grandezze determinata dall'addizione ripetuta di un'unica quantità. Questa capacità si sviluppa , agli inizi, come capacità soprattutto linguistica di imparare a memoria i numeri. Soltanto verso i quattro o cinque anni di età l'apprendimento meccanico dei numeri comincia ad essere collegato alla precedente identificazione di collezioni e insiemi di oggetti; allora il bambino comincia a capire che la successione dei numeri può essere trasferita mentalmente facendola corrispondere a una disposizione di oggetti in modo che l'ultimo numero contato nella sequenza dia il numero totale degli oggetti (<span style="color: red;">1</span>). Inoltre queste operazioni non dipendono da altre proprietà delle cose contate. Verso i sei o sette anni di età, possono entrare in gioco nozioni più elaborate: il bambino è in grado di contare due collezioni diverse e, a differenza dei compagni più piccoli, è in grado di confrontarle e di identificare con sicurezza quella che contiene un maggiore numero di oggetti, senza farsi fuorviare dalle loro dimensioni. Questo procedimento rappresenta una novità, perché significa che nella mente si sono formate due immagini che possono essere confrontate anche se le collezioni reali non sono più sotto gli occhi, l'una accanto all'altra. </b></div><div style="text-align: justify;"><b>In seguito a questo passo, operazioni più complicate possono essere eseguite, trasferite ad altre situazioni o impiegate in riferimento a collezioni di oggetti reali. In questa fase vengono gettate le basi del ragionamento matematico: questo ha avuto origine dalla manipolazione di oggetti consueti, ma il processo è stato gradualmente interiorizzato nella mente, cosicché è possibile ricordarlo o riprodurlo, e non reagire soltanto quando è presente.</b></div><div style="text-align: justify;"><b>Dopo questa fase, in cui ci si impadronisce di alcune operazioni concrete sulle cose e le si interiorizza, alla semplice esperienza delle proprietà delle collezioni di oggetti si affianca una crescente consapevolezza di certe verità necessarie riguardanti la natura della realtà. Si apprende che, se si toglie un elemento da ciascuna di due collezioni uguali, esse rimangono uguali; che due collezioni abbiano lo stesso numero di elementi oppure no; che l'ordine in cui le cose vengono contate non influenza il totale che si ottiene. </b></div><div style="text-align: justify;"><b>Raggiunta l'età di nove o dieci anni, sembra che questa consapevolezza divenga trasferibile a nozioni meno concrete. Si vede qui una fonte esplicita di intuizione matematica negli oggetti materiali del mondo e nelle loro interrelazioni. Gradualmente, negli anni della prima adolescenza, diviene possibile effettuare insiemi di operazioni mentali su rappresentazioni delle cose; queste vengono sostituite da simboli, e su tali collezioni di simboli può operare la mente. La precedente gamma di verità necessarie su operazioni come la sottrazione e l'addizione diventa applicabile ai simboli che rappresentano grandezze. Diviene dunque possibile una disciplina come l'algebra, dove un simbolo come la lettera x può rappresentare qualunque numero che possa essere sommato a entrambi i membri di un'equazione, proprio come numeri uguali di monete possono essere aggiunti a collezioni uguali. Questo passo rappresenta il cuore di tutta la matematica successiva. In seguito, alla mente sarà possibile inventare nuove regole per manipolare simboli che non sono connessi ad alcun insieme empirico di operazioni eseguibili con oggetti reali. A questo stadio, l'elaborazione mentale delle rappresentazioni simboliche di oggetti concreti ha spiccato il volo come una libellula, lasciandosi alle spalle la crisalide dell'esperienza passata; non è più in alcun modo limitata dall'esperienza delle manipolazioni concrete, ma soltanto dalla capacità dell'immaginazione di trovare insiemi di regole per la manipolazione dei simboli. L'unico requisito che si impone a queste invenzioni è che siano "coerenti" nel senso voluto dai formalisti.</b></div><div style="text-align: justify;"><b>Questo è, molto in breve, il quadro delineato da Piaget per lo sviluppo mentale dell'intelligenza matematica: essa trae origine dalle attività del bambino con gli oggetti del mondo circostante, che egli mescola, separa e confronta. Viene scoperta e quindi interiorizzata nella mente la nozione di quantità, che diventa così un mezzo per rappresentare le cose in forma simbolica; questi simboli vengono poi manipolati in modo analogo alle cose stesse; in seguito le regole per la loro elaborazione divengono le caratteristiche essenziali dell'attività, sostituendosi alle cose stesse.</b></div><div style="text-align: justify;"><b><br /></b></div><div style="text-align: justify;"><b>Note:</b></div><div style="text-align: justify;"><b>(<span style="color: red;">1</span>) Ciò vale per la situazione che si ha nella lingua italiana e in altre lingue indoeuropee, ma non altrove. In Giappone, per esempio, i numeri usati per contare non sono gli stessi che si impiegano per descrivere il numero totale degli oggetti di un insieme che si sta contando. È come se si potesse contare fino a dodici, ma la parola da usare per descrivere un insieme di dodici cose fosse sempre "dozzina". </b></div><div style="text-align: justify;"><b><br /></b></div><div style="text-align: justify;"><b>Bibliografia: </b></div><div style="text-align: justify;"><b>J.D. Barrow, "La luna nel pozzo cosmico", Adelphi, Milano, 1994 (pp. 280-284). </b></div><p></p>olosciencehttp://www.blogger.com/profile/07007258673266741468noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1907724209682187249.post-78551547076346000022022-10-22T06:09:00.001-07:002022-10-22T06:09:49.067-07:00Spazio e tempo come esperienza: perché la discontinuità? <p></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgwfC0k4wwUqmlVhcoOoyVFCHt1rM2gDMuz6e2NJpCU5Tf7zXGTNfo2pUlOw8UdVy24GN7CdxSqhfW5ZYJM30UoRThjijud4C5PvGsOmW_yS-Y7WlBCuWKeqzKH-AEzIKdvtlPSKeb8jOvz2-j45eYjrPUMOmI5W1fUDkhhckJtPaYVLmlTuBSLLOxrqw/s800/percezione.jpeg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="450" data-original-width="800" height="180" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgwfC0k4wwUqmlVhcoOoyVFCHt1rM2gDMuz6e2NJpCU5Tf7zXGTNfo2pUlOw8UdVy24GN7CdxSqhfW5ZYJM30UoRThjijud4C5PvGsOmW_yS-Y7WlBCuWKeqzKH-AEzIKdvtlPSKeb8jOvz2-j45eYjrPUMOmI5W1fUDkhhckJtPaYVLmlTuBSLLOxrqw/s320/percezione.jpeg" width="320" /></a></div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">______________________________</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><b>Il tentativo d'incominciare a vedere lo spazio e il tempo in modo nuovo, non è un compito facile. È estremamente difficile immaginare un tempo statico, un tempo che non scorre. Non è facile afferrare il tempo dello spazio-tempo, il continuum in cui gli eventi non accadono ma, semplicemente, sono. Ci sentiamo frustrati quando cerchiamo di fare l'esperienza dell'affermazione della fisica moderna, secondo la quale lo spazio e il tempo sono accoppiati; non possiamo fare l'esperienza dell'uno senza fare l'esperienza dell'altro, e non possiamo conoscere lo spazio e il tempo singolarmente. È così ovvio che noi ne facciamo l'esperienza singolarmente!</b></div><div style="text-align: justify;"><b>Sorge così un paradosso: se il tempo e lo spazio sono veramente uniti esperienzialmente, perché abbiamo la sensazione persistente del tempo che fluisce senza avere una simile sensazione dello spazio che fluisce? Abbiamo, dei due, sensazioni chiaramente dissimili. Il tempo fluisce esperienzialmente, ma vediamo lo spazio localizzato e statico. Non esiste, semplicemente, un senso psicologico di uno spazio che fluisce. Lo spazio resta fermo; il tempo no. Se queste qualità della natura sono veramente unite come ci assicura la fisica moderna, allora perché sono qualitativamente così dissociate nella nostra esperienza? Forse le nostre sensazioni dello spazio e del tempo differiscono in qualità per una buona ragione, una ragione che, nel linguaggio della biologia evolutiva, è la migliore di tutte: la sopravvivenza. È probabile che nella storia della nostra evoluzione noi abbiamo sviluppato modi di giudicare lo spazio e il tempo che hanno contribuito alla nostra sopravvivenza. </b></div><div style="text-align: justify;"><b>Forse nel corso della nostra evoluzione noi abbiamo sviluppato molti modi di sentire e di giudicare lo spazio e il tempo. Quali sarebbero sopravvissuti fino ad oggi? I modi che favorivano la sopravvivenza dell'organismo individuale attraverso la perpetuazione, per mezzo della procreazione, del suo corredo genetico. Questi tipi di percezione sensoriale sono risultati più durevoli per la semplice ragione che avevano maggior valore per la sopravvivenza. E se un modo particolare di giudicare lo spazio e di giudicare il tempo aiutava un organismo a sopravvivere e a procreare, questo metodo di giudicare lo spazio e il tempo è sopravvissuto insieme all'organismo, impresso nel suo programma genetico. Erano abilità pro-sopravvivenza, preziose come un occhio o un orecchio, o la capacità di volare o di correre velocemente. Davano un vantaggio nella lotta per la sopravvivenza.</b></div><div style="text-align: justify;"><b>Consideriamo che un'esperienza psicologica risultante dalla sensazione del tempo che scorre sia il senso dell'urgenza... il tempo si muove, le cose sono imminenti, sta per accadere qualcosa. In un tempo che scorre noi anticipiamo l'accadere degli eventi. In questo flusso di eventi io agisco per garantirmi la sopravvivenza, mi comporto in certi modi per restare vivo. Un senso d'urgenza promuove la preparazione... per cacciare, per raccogliere, per piantare e per sfuggire a eventuali predatori. La possibilità di uccidere questo bisonte per mangiare e dunque per sopravvivere passerà se non agisco ora; se non fuggo in questo preciso istante, sarò il pasto di un leone affamato. Sembra quindi verosimile che la sopravvivenza fisica dei nostri antenati fosse favorita da un senso dello scorrere del tempo e dell'urgenza (anche se il tempo, incluso nella cultura, nel mito e nelle tradizioni dei primitivi non ha durata in natura). Non è chiaro che una sensazione del tempo singolarmente statica avrebbe potuto presentare per la sopravvivenza un vantaggio altrettanto grande. </b></div><div style="text-align: justify;"><b>È possibile che anche la sensazione di uno spazio statico abbia favorito la sopravvivenza. Uno spazio statico, immobile, offriva lo sfondo per agire. Anzi, ci è difficile immaginare lo spazio in qualunque altro modo. Se percepissimo lo spazio in un modo in cui sembri fluire e non sia statico, il risultato sarebbe un grande caos! Un fatto che appare evidente a chiunque soffra di vertigini; per una tale persona lo spazio si rifiuta di stare fermo e ruota continuamente. Uno spazio sempre in movimento sarebbe stato sicuramente pericoloso per i nostri predecessori come lo è per noi, perché in esso è difficile agire con precisione e sicurezza. La sopravvivenza sembra quasi impossibile in un mondo in continuo movimento.</b></div><div style="text-align: justify;"><b>Quindi, se noi dovessimo designare un tipo di percezione temporale e spaziale per i nostri antenati, con lo scopo di aiutarli nell'ascesa evolutiva, probabilmente avremmo scelto quello che è pervenuto sino a noi: la percezione di un tempo fluente e di uno spazio statico. Vista in un contesto evolutivo, la nostra lotta/difficoltà nell'apprendere ciò che significa la moderna definizione fisica dello spazio-tempo, può rispecchiare la nostra eredità biologica. La nostra visione dello spazio e del tempo non è questione d'intelligenza, di capire le cose. Se avessimo percepito lo spazio e il tempo in modo diverso da quello in cui li percepiamo, probabilmente non saremmo sopravvissuti come specie. </b></div><div style="text-align: justify;"><b>Il nostro modo di fare l'esperienza dello spazio e del tempo, quindi, ha verosimilmente facilitato la nostra ascesa evolutiva. Forse dobbiamo ad esso la nostra stessa esistenza. Ma questa modalità di percezione non garantisce che percepiamo esattamente il mondo intorno a noi. Non abbiamo la certezza di percepire "correttamente" lo spazio e il tempo, ma solo in modo "naturale"; ovvero, la nostra percezione rispecchia la nostra natura! Quando lottiamo per comprendere le stranezze dei nuovi concetti dello spazio-tempo stabiliti dalla fisica moderna, dobbiamo considerare che è nella nostra natura non riuscire a comprenderli! Qualcosa, dentro di noi, resiste a queste nuove idee.</b></div><div style="text-align: justify;"><b>Una reazione comune tra coloro che incontrano per la prima volta la definizione di spazio-tempo imposta dalla fisica moderna, è quella di "sentirsi sconfitti". <i>"Non sono abbastanza intelligente per capire; questi sono concetti che possono comprendere solo i fisici e i matematici". </i>Questa sensazione, che è quasi istintiva, senza dubbio non è appropriata, perché ancora non vi è la prova che la capacità di concettualizzare l'idea moderna dello spazio-tempo, abbia a che fare con l'intelligenza! Queste idee sono radicate nella parte non razionale ed intuitiva del nostro essere più saldamente che nel nostro io verbale e razionale. Anzi, l'intellettualizzazione può essere un impedimento a comprendere lo spazio-tempo, tanto queste idee sono lontane dal senso comune e dalla logica. </b></div><div style="text-align: justify;"><b>Questo è un punto cruciale. Vi sono coloro che respingono le moderne idee fisiche dello spazio-tempo in base all'assunto che possano essere comprese soltanto e unicamente dagli scienziati. Nulla potrebbe essere più lontano dalla verità. La quintessenza di queste idee è antica. Le espressioni centrali della Relatività Ristretta erano state elaborate descrittivamente nelle culture orientali millenni prima delle scoperte di Einstein. Intere culture, vivono in tranquillità ed efficienza con l'idea di un tempo che non fluisce. Forse, senza eccezione, le culture che hanno abbracciato più facilmente queste idee lo hanno fatto affidandosi non alla matematica, ma all'intuizione e ai modi non razionali del pensiero.</b></div><div style="text-align: justify;"><b>La moderna nozione dello spazio-tempo non è necessariamente velata dall'indecifrabile gergo della matematica e della fisica. Il linguaggio della scienza non è necessario per apprezzare il significato essenziale delle nuove definizioni dello spazio e del tempo. Non soltanto ciò è evidente in base alla documentazione culturale, bensì è evidente dalle stesse affermazioni di Einstein, il quale dichiarava di essere stato condotto inizialmente alle sue descrizioni non solo ed esclusivamente dal ragionamento logico, bensì da una certezza interiore della bellezza e dell'armonia che stanno nel cuore delle sue teorie. Einstein descriveva l'intuizione, non il ragionamento lineare. È questa qualità della mente che ha permesso a intere culture di comprendere lo spazio-tempo, prima dell'era moderna.</b></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Bibliografia:</div><div style="text-align: justify;">- <i>"Spazio, tempo e medicina"</i>, di Larry Dossey, ed. mediterranee, Roma, 1983. </div><p></p>olosciencehttp://www.blogger.com/profile/07007258673266741468noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1907724209682187249.post-29061578666893786262022-09-16T06:50:00.001-07:002022-09-16T06:50:06.566-07:00Bere con Socrate... con la potenza dei grandi numeri!<p> </p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh0tj417oXxIdlvQYwyUa6S3WAMNcA6R8Wmcf8QVonXr6eAAE3mUAXH2rJH8s_0Ded7faRNhFYdJoTbEXjE1b9dY8ZIJ6H6rJjn-N-7O7wSzuu85jTweh3c90Kwhrpyvcxw8vS_FFb4VCqjjSaaR0SPi5NB96BIXYUIsizBi68DcviKPM4nCd-O5In5UA/s600/soc.png" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="338" data-original-width="600" height="180" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh0tj417oXxIdlvQYwyUa6S3WAMNcA6R8Wmcf8QVonXr6eAAE3mUAXH2rJH8s_0Ded7faRNhFYdJoTbEXjE1b9dY8ZIJ6H6rJjn-N-7O7wSzuu85jTweh3c90Kwhrpyvcxw8vS_FFb4VCqjjSaaR0SPi5NB96BIXYUIsizBi68DcviKPM4nCd-O5In5UA/s320/soc.png" width="320" /></a></div><div style="text-align: justify;"><b>Esiste una vecchia stima di due numeri molto grandi che conduce a una conclusione capace di stupire persino chi è abituato alle sorprese della probabilità. Secondo voi, se si riempie un bicchiere di acqua di mare, quante delle molecole da cui è composta l'acqua nel bicchiere saranno state usate da Socrate, da Aristotele o dal suo allievo Alessandro Magno per sciacquarsi la bocca? In realtà, come vedremo, non importa quale bocca illustre scegliamo. Lì per lì si potrebbe pensare che la risposta sia zero: non vi è la benché minima probabilità che riutilizziamo anche solo uno degli atomi di quegli illustri personaggi, immagino direte. Ma, ahimè, vi sbagliate di grosso. La massa totale di acqua degli oceani terrestri è 10^18 tonnellate, che equivale a 10^24 grammi. Poiché una molecola di acqua ha una massa di circa 3 x 10^-23 grammi, ci sono circa 3 x 10^46 molecole di acqua negli oceani. Ignoriamo pure gli altri componenti dell'acqua marina, come i sali. Vedremo che queste semplificazioni e le cifre tonde che stiamo usando sono giustificate dai numeri molto grandi coinvolti nell'operazione.</b></div><div style="text-align: justify;"><b>Chiediamoci dunque quante molecole ci sono in un bicchiere di acqua. Un tipico bicchiere pieno d'acqua ha una massa di 250 grammi, quindi contiene approssimativamente 8,3 x 10^24 molecole. Vediamo pertanto che gli oceani contengono approssimativamente (3 x 10^46)/(8,3 x 10^24) = 3,6 x 10^21 bicchieri di acqua; molto meno del numero di molecole presenti in un bicchiere di acqua. Ciò significa che, se gli oceani fossero completamente rimescolati e oggi riempissimo con la loro acqua un bicchiere a caso, potremmo aspettarci che contenga approssimativamente (8,3 x 10^24)/(3,6 x 10^21) = 2300 delle molecole con cui Socrate soleva sciacquarsi la bocca nel 400 a.C. Fatto ancora più incredibile, è probabile che ognuno di noi sia composto da un considerevole numero degli atomi e delle molecole di cui era composto il corpo di Socrate. Tale è la potenza durevole dei grandi numeri.</b></div><p></p>olosciencehttp://www.blogger.com/profile/07007258673266741468noreply@blogger.com1tag:blogger.com,1999:blog-1907724209682187249.post-52348709008060018722022-09-04T08:09:00.006-07:002022-09-04T08:58:20.138-07:00Un diamante è per sempre... con il taglio ottimale. <p> </p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhyyv6xGEUSfof44XZwgS4hwHd_DhlvfoE94bg_jUCKFNKizUR3LwVm_Hc2pS3NmFjIuXtJratoIQWBjkH2ubylF2P6bCWtGIqr3RHQtJzHBd9B1gZQDkIuFIhhEkdbbwd4xtmNV56zOu2i6X6hikZ9PZO4dPhd3-QLXs_RIZzsswNJ7M217Mn7DYKhlQ/s472/diamante.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="309" data-original-width="472" height="209" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhyyv6xGEUSfof44XZwgS4hwHd_DhlvfoE94bg_jUCKFNKizUR3LwVm_Hc2pS3NmFjIuXtJratoIQWBjkH2ubylF2P6bCWtGIqr3RHQtJzHBd9B1gZQDkIuFIhhEkdbbwd4xtmNV56zOu2i6X6hikZ9PZO4dPhd3-QLXs_RIZzsswNJ7M217Mn7DYKhlQ/s320/diamante.jpg" width="320" /></a></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><b>I diamanti sono pezzi di carbonio davvero straordinari. Sono il materiale più duro che si trovi in natura, eppure le loro proprietà più fulgide sono quelle ottiche, date dall'elevato indice di rifrazione di 2,4, molto maggiore di quello dell'acqua (1,3) o del vetro (1,5). Ciò significa che i raggi luminosi sono deviati (o "rifratti") di un angolo molto grande quando passano attraverso il diamante. Particolare ancora più importante, la luce che colpisce il diamante superando l'angolo critico di soli 24° rispetto alla verticale alla superficie, verrà completamente riflessa e non passerà affatto attraverso la gemma. Per la luce che viaggia dall'aria all'acqua, l'angolo limite oltre il quale essa non attraversa più il mezzo è di 48° rispetto alla verticale, nel vetro di circa 42°.</b></div><div style="text-align: justify;"><b>I diamanti si comportano in maniera estrema anche per quanto riguarda lo spettro ottico. Come chiarì per la prima volta Isaac Newton con i suoi famosi esperimenti con il prisma, la comune luce bianca è in realtà composta da uno spettro di onde luminose rosse, arancioni, gialle, verdi, blu, indaco e violetto, che viaggiano a velocità diversa (le rosse sono le più lente, le viola le più veloci) attraverso il diamante e sono rifratte secondo angoli diversi quando la luce bianca passa attraverso un mezzo trasparente. Nei diamanti vi è grande differenza tra la maggiore e minore rifrazione dei colori: è definita "dispersione" ed è responsabile dello straordinario "fuoco" di colori cangianti che si verifica quando i raggi luminosi passano attraverso un diamante tagliato a brillante. Nessun'altra gemma ha un tale potere di dispersione. Il difficile, per l'intagliatore, è tagliare il diamante in maniera che emani i raggi più belli e colorati possibile quando riflette la luce davanti all'occhio dell'osservatore.</b></div><div style="text-align: justify;"><b>I diamanti vengono lavorati da migliaia di anni, ma un uomo in particolare ha contribuito a farci capire quale sia il modo migliore di tagliarli, e la sua ragion d'essere. Marcel Tolkowsky nacque ad Anversa nel 1899 da un'influente famiglia di intagliatori e mercanti di diamanti. Era un ragazzo molto intelligente e, dopo essersi diplomato in Belgio, fu mandato all'Imperial College di Londra a studiare ingegneria. Nel 1919, mentre era ancora all'università, pubblicò un libro notevole intitolato "<i>Diamond Design</i>", che dimostrava per la prima volta come lo studio della riflessione e della rifrazione della luce all'interno del diamante, consentisse di capire come esso andasse tagliato e di ottenere quindi la massima lucentezza e il massimo "fuoco". L'elegante analisi fatta da Tolkowsky della traiettoria seguita dai raggi luminosi all'interno del diamante lo indusse a proporre un nuovo tipo di taglio: il taglio "a brillante" o "ideale"; che è ormai il preferito per i diamanti rotondi. Egli studiò le traiettorie dei raggi che colpivano la superficie superiore piana della pietra e calcolò secondo quale angolo dovesse essere inclinata la parte inferiore rispetto a tali traiettorie, per riflettere completamente la luce alla prima e alla seconda riflessione interna. Se la parte inferiore fosse stata inclinata in un certo modo, quasi tutta la luce sarebbe ritornata direttamente nel punto di incidenza della faccia superiore, producendo la maggiore lucentezza possibile.</b></div><div style="text-align: justify;"><b><br /></b></div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhOEwr5vi-UAYl4C5uXGGnAgbvCTiEUCbgcpO4NlhQXwC--wtHL_VqfDNH-NhfrcJ2SpOZe9GPEmhNmcJlbQ4Kzly6Y_VUVBROi3rsFdo30ttOftsgRQAtblfWZcb9xHUZzHrlvK1S7OeO5u0BubyyiupbzmqXgzvGf7EFR1kqBrlUzLhm-ETRZG39P0A/s1651/uno.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><b><img border="0" data-original-height="880" data-original-width="1651" height="171" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhOEwr5vi-UAYl4C5uXGGnAgbvCTiEUCbgcpO4NlhQXwC--wtHL_VqfDNH-NhfrcJ2SpOZe9GPEmhNmcJlbQ4Kzly6Y_VUVBROi3rsFdo30ttOftsgRQAtblfWZcb9xHUZzHrlvK1S7OeO5u0BubyyiupbzmqXgzvGf7EFR1kqBrlUzLhm-ETRZG39P0A/s320/uno.jpg" width="320" /></b></a></div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><b><br /></b></div><div class="separator" style="clear: both; text-align: justify;"><b>Tolkowsky rifletté poi sull'equilibrio ottimale tra lucentezza riflessa e dispersione della luce, e sulle migliori forme per le varie facce. La sua analisi, che si avvaleva della semplice matematica dei raggi luminosi, portò alla ricetta per il bel "taglio a brillante" dalle cinquantotto faccette: una serie di proporzioni e angoli specifici nella gamma necessaria a produrre i più spettacolari effetti visivi quando la pietra viene mossa leggermente davanti agli occhi dell'osservatore. Ma, come si evince dalla figura sottostante, nella "ricetta" c'é più geometria di quanto non appaia a prima vista:</b></div><div class="separator" style="clear: both; text-align: justify;"><b><br /></b></div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgR-hAYEytgNoE511pEu6l7X-FnuxgxNdNWqhjC6fvMsOxDizEjvXw76_tSw7gcV-A_dYVmLX8PEyW-aak5amz-JPM-dSbruYdcV_vFItmqivyLTtifwwd6lo2GmXzxRlhv2laEIJ_FbrUrgKZNMBypIFNWOdfAATHZh6LJCdyaWUfh7DGkJv-_FYvQDg/s1164/due.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><b><img border="0" data-original-height="764" data-original-width="1164" height="210" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgR-hAYEytgNoE511pEu6l7X-FnuxgxNdNWqhjC6fvMsOxDizEjvXw76_tSw7gcV-A_dYVmLX8PEyW-aak5amz-JPM-dSbruYdcV_vFItmqivyLTtifwwd6lo2GmXzxRlhv2laEIJ_FbrUrgKZNMBypIFNWOdfAATHZh6LJCdyaWUfh7DGkJv-_FYvQDg/s320/due.jpg" width="320" /></b></a></div><b><br /></b><div class="separator" style="clear: both; text-align: justify;"><b>La figura mostra la classica forma che raccomandava Tolkowsky per il taglio ideale, i cui angoli vengono scelti nella ristretta gamma che ottimizza il "fuoco" e la lucentezza. Le proporzioni che riguardano specifiche parti del diamante (con i relativi nomi) sono espresse come percentuali del diametro della cintura, che è quello massimo. </b></div><b><br /></b><div style="text-align: justify;">Bibliografia:</div><div style="text-align: justify;">- John D. Barrow, "100 cose che non sapevi di non sapere sulla matematica e le arti", Mondadori, Milano, 2016 (pp.64-66). </div><p></p>olosciencehttp://www.blogger.com/profile/07007258673266741468noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1907724209682187249.post-42808427084255120252021-10-29T10:57:00.001-07:002021-10-29T10:57:09.691-07:00Ornella Aprile: Il bambino interiore.<p></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEie739OiInexY8uHCvv3PQgO_VoS8Kvk_yVvtVOBNEWM9j3DQOptKDxw5yPPt8GZ-s8ueuGG0xpWxj81lV281x6z1NLRf3xMhs6zIATDIxw0fVN5Fh1txXk5GP4wCBMTLDsyG_YyQQir5JU/s600/bambino_interiore_cover.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="300" data-original-width="600" height="160" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEie739OiInexY8uHCvv3PQgO_VoS8Kvk_yVvtVOBNEWM9j3DQOptKDxw5yPPt8GZ-s8ueuGG0xpWxj81lV281x6z1NLRf3xMhs6zIATDIxw0fVN5Fh1txXk5GP4wCBMTLDsyG_YyQQir5JU/s320/bambino_interiore_cover.jpg" width="320" /></a></div><div style="text-align: center;">Un articolo di: <a href="https://www.facebook.com/ornella.aprile.50">Ornella Aprile</a></div><div style="text-align: center;">---------------------------------------</div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: "Trebuchet MS", Arial, serif; font-size: 14px; text-align: start;"><b>Sicuramente ognuno di noi ha provato il desiderio di fare una carezza ad un bimbo magari incontrato in un parco. Lo abbiamo percepito come piccolo, innocente, forse impaurito e, soprattutto, bisognoso d'amore. Ci è sembrato naturale prendercene cura anche solo avvicinandoci per un semplice gesto d'affetto. Eppure non esprimiamo lo stesso interesse e lo stesso amore al nostro bambino interiore, uno dei personaggi principali della nostra interiorità. È una nostra componente psichica molto importante e spesso assolutamente sconosciuta o trascurata. Si tratta di un vero bambino simile ad ogni bimbo in carne ed ossa, ha le stesse esigenze e caratteristiche e prova le stesse emozioni solo che è nascosto nella nostra coscienza e vive nel corpo del se stesso adulto. Anche se anagraficamente siamo cresciuti e da noi stessi e da tutti siamo considerati adulti, abbiamo conservato una parte che è rimasta infantile ed ha bisogno di attenzione e premure. Spesso sentiamo dire "sei rimasto bambino", " fai i capricci come un bimbetto" e "ma quando cresci?". Queste frasi dovrebbero farci riflettere e ricordare che dentro di noi permane un bambino che talvolta ci suggerisce comportamenti idonei all'infanzia per richiamare la nostra attenzione. </b></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: "Trebuchet MS", Arial, serif; font-size: 14px; text-align: start;"><b><br /></b></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: "Trebuchet MS", Arial, serif; font-size: 14px; text-align: start;"><b>Durante il percorso di crescita una parte di noi si ferma all'età puerile e anche negli adulti più responsabili, maturi e consapevoli in momenti particolari e non immaginabili il bambino interiore si manifesta nei modi meno prevedibili. Non è la personificazione dei nostri ricordi né di riproposizioni di esperienze passate ma un elemento dinamico della nostra psiche che agisce nel momento presente anche se noi, completamente presi dalla nostra mente, non ne avvertiamo la presenza. Ogni uomo nasce con una propria energia che lo contraddistingue e che esprime durante tutta la vita nelle tappe successive della crescita. Il bambino interiore è espressione della nostra energia, in lui sono presenti la nostra creatività, la spontaneità, l'entusiasmo, la passione, la vitalità ed ogni aspetto potenziante delle nostre esperienze. I più piccoli dimostrano un'energia praticamente inesauribile anche dopo giornate particolarmente impegnative e stancanti perché sono direttamente connessi al loro potenziale. Sono consapevoli dei loro bisogni e sanno esprimerli anche con modalità che per gli adulti rappresentano capricci o dimostrano un carattere ostinato. </b></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: "Trebuchet MS", Arial, serif; font-size: 14px; text-align: start;"><b><br /></b></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: "Trebuchet MS", Arial, serif; font-size: 14px; text-align: start;"><b>Spesso critichiamo la testardaggine dei nostri piccoli, ci mostriamo stupiti dalla sicurezza che esprimono nella scelta di un gioco, della loro spontaneità nel confessare paure o nel pretendere attenzione, del desiderio di crescere e fare nuove esperienze! Negli stessi bambini è presente il bambino interiore, di fascia d'età inferiore e questa presenza è esteriorizzata quando per esempio imitano i comportamenti dei fratellini più piccoli di cui magari adottano il linguaggio pur essendo perfettamente capaci di usare i moduli linguistici dei loro coetanei o degli adulti, fanno capricci o piangono improvvisamente. Ovviamente i genitori o i maestri non devono giudicare questi atteggiamenti come regressioni ma anzi cercare di capirne il significato profondo per superare disagi occulti. Gli adulti impegnati in un percorso di evoluzione e crescita interiore dimostrano più pazienza e capacità di comprensione verso i propri figli e si impegnano costantemente per non soffocarne l'emotività. Le esperienze, soprattutto negative neonatali, come per esempio una nascita traumatica e sofferta, ed infantili, episodi di maltrattamenti o incomprensioni familiari, bullismo o emarginazione, fallimenti scolastici o delusioni, incidono sullo sviluppo della personalità dell'individuo e ne condizionano comportamenti e scelte che devono essere accolte senza giudizio da noi stessi e dagli altri per evitare che diventino motivo di profondi disagi nell'adulto. </b></span></div><p></p><div dir="auto" style="font-family: "Trebuchet MS", Arial, serif; font-size: 14px; text-align: justify;"><b>Il bambino interiore va percepito, ascoltato, compreso e supportato proprio come faremmo con un bimbo reale. Trascurarlo può determinare l'inconsapevole negazione di una parte di sé che non permette un armonico sviluppo della nostra personalità. Non dobbiamo dimenticare che il bambino interiore è l'insieme di una serie di energie inespresse durante l'infanzia, è il potenziale che può essere rimasto bloccato e vuole con ogni mezzo diventare evidente. Col trascorrere degli anni è facile perdere la connessione col nostro bambino interiore e ciò è spesso causa di abbassamento del livello della propria autostima e difficoltà relazionali, perdita progressiva di interesse per quelle che erano le nostre passioni e scarsa creatività. Non mi soffermo su problematiche patologiche su cui si deve intervenire col supporto di professionisti in grado di aiutare i pazienti a superare momenti di crisi che possono trasformarsi in manifestazioni psicosomatiche importanti e pericolose. </b></div><div dir="auto" style="font-family: "Trebuchet MS", Arial, serif; font-size: 14px;"><b><br /></b></div><div dir="auto" style="font-family: "Trebuchet MS", Arial, serif; font-size: 14px; text-align: justify;"><b>Tutti noi dovremmo riconoscere il nostro bambino interiore, imparare ad ascoltarlo, a capirne i bisogni, a prendercene cura come faremmo con un figlio perché solo con una costante connessione con lui riusciremo a guarire le ferite emozionali della nostra infanzia per essere adulti sereni ed equilibrati. </b></div><div style="text-align: justify;"><div dir="auto" style="font-family: "Trebuchet MS", Arial, serif; font-size: 14px; text-align: justify;"><b>Jung definiva il nostro bambino interiore come bambino divino e specificava che esso rappresenta la nostra vera essenza per cui connetterci con lui ci consente di esprimere le nostre potenzialità e di realizzare i nostri desideri più importanti. Varie teorie ed interpretazioni sono state formulate ma tutti gli studiosi sono concordi nella necessità di liberare il nostro bambino interiore per riscoprire la nostra parte più vera e manifestare la versione migliore e più autentica di noi stessi. Magari ricordiamoci del sorriso con cui un bambino reale ha reagito ad una nostra carezza e riserviamo la stessa dolce premura a quel piccolo cucciolo indifeso, impaurito, insicuro e bisognoso d'amore che abita nel profondo della nostra psiche. Curando lui cureremo noi stessi, dimostrandogli amore proveremo amore e rispetto per noi stessi adulti, potremo offrire il nostro amore agli altri in piena libertà di coscienza e non per dipendenza affettiva e impareremo a vivere nella frequenza più elevata che ci appaga, ci fa sentire soddisfatti di noi stessi e meritevoli di amore e serenità.</b></div><div dir="auto" style="font-family: "Trebuchet MS", Arial, serif; font-size: 14px; text-align: start;"><b><br /></b></div></div><blockquote style="border: none; margin: 0 0 0 40px; padding: 0px;"><div style="text-align: justify;"><div style="font-family: "Trebuchet MS", Arial, serif; font-size: 14px; text-align: right;">Ornella Aprile, 29 ottobre 2021 </div></div></blockquote>olosciencehttp://www.blogger.com/profile/07007258673266741468noreply@blogger.com2tag:blogger.com,1999:blog-1907724209682187249.post-3189707732804886322021-10-21T09:00:00.003-07:002021-10-21T09:00:57.349-07:00Uscire dagli schemi per essere felici<p> </p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiRyFpbjjR7B3jbLh5wkGaxZu2eaZ6Hb8oYDu7bsxJJf4KHpIYUs6WXamrN0gimXuH5_hyphenhyphenDcjyT6k0966J9xJeWX4M37E3mJeE2CudApeZdqSYGMxeCc1jBqJuw_fEvSUwJ9YWftLZdlOaB/s948/Ornella.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="948" data-original-width="777" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiRyFpbjjR7B3jbLh5wkGaxZu2eaZ6Hb8oYDu7bsxJJf4KHpIYUs6WXamrN0gimXuH5_hyphenhyphenDcjyT6k0966J9xJeWX4M37E3mJeE2CudApeZdqSYGMxeCc1jBqJuw_fEvSUwJ9YWftLZdlOaB/s320/Ornella.jpg" width="262" /></a></div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">di Ornella Aprile</div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">-------------------------</div><div class="separator" style="clear: both; text-align: justify;"><span style="font-family: "Trebuchet MS", Arial, serif; font-size: 14px; text-align: start;"><b>Ho letto più volte la celebre frase di Einstein "Non si può risolvere un problema con la stessa mentalità che l'ha generato." Queste parole di disarmante semplicità e logica ineccepibile ci portano a riflettere su quanto sia opportuno imparare ad uscire dagli schemi e superare la paura del cambiamento, che non si percepisce come opportunità di crescita ma come situazione pericolosa. È difficile lasciare la propria confort zone perché non se avverte la reale potenzialità negativa e limitante ma se ne coglie l'aspetto esteriore tranquillizzante di stabilità che nasconde però la stagnazione della coscienza. Già nel secolo scorso il celebre pensatore armeno Gurdjieff aveva ripetuto continuamente che l'uomo vive nella meccanicità, cioè nella più totale mancanza di consapevolezza e nella negazione di ogni sforzo di autoriflessione ed auto-osservazione. Ciò determina un comportamento umano simile a quello di una macchina in cui, schiacciando un bottone si ottiene un risultato programmato e quindi assolutamente prevedibile. Ovviamente, soprattutto a livello pubblicitario, si può approfittare di questa condizione di prevedibilità richiamando la nostra attenzione tramite codici fortemente seduttivi, spesso ricorrendo a messaggi visivi di carattere sessuale. L'essere umano mette in atto una serie di automatismi che non sente come tali ma che ne limitano la creatività e la spontaneità. Quando si impara a guidare un'auto è necessario pensare a quali azioni si debbano compiere ma dopo aver appreso le tecniche si compiono azioni assolutamente automatiche che però non si identificano con la qualità del risultato. Un eccellente pianista infatti non suona pensando a come gestire opportunamente i movimenti delle sue mani sulla tastiera ma esprime un ottimo livello di creatività e di capacità di differenziare i suoni esprimendo il suo gusto personale piuttosto che solo la sua competenza tecnica. </b></span></div><p></p><div dir="auto" style="font-family: "Trebuchet MS", Arial, serif; font-size: 14px; text-align: justify;"><b>Se vogliamo risolvere problemi o più semplicemente liberarci da comportamenti automatici ripetitivi, che nel tempo possono causare disagi soprattutto a livello psicologico, dobbiamo uscire dagli schemi, ignorare la paura dell'ignoto e sentire il desiderio di percorrere nuove strade che ci permettano di sperimentare nuove esperienze. Prima di tutto è importante vivere nel presente, l'unico tempo dell'universo, evitare di focalizzarci sul passato e soprattutto su ricordi di esperienze traumatiche che puntualmente proiettiamo nel futuro realizzando inconsapevolmente previsioni auto-sabotanti che in moltissimi casi si realizzano. Bisogna accogliere senza giudizio le novità che si presentano, provare interesse per persone o circostanze sconosciute, evitare ogni comportamento suscitato da pigrizia soprattutto mentale, allenare il coraggio affrontando tutto ciò che temiamo, in sintesi fare il contrario di ciò che ripetiamo da anni. Seguendo la linea della novità riusciremo a diventare flessibili, quindi abbandoneremo la rigidità che diventa paralizzante e riusciremo ad allontanare tutte le convinzioni limitanti di solito stratificatesi a livello inconscio dai primi anni di vita, ascoltando e facendo nostri i pensieri delle persone che ci sono vicine, i suggerimenti degli insegnanti o più semplicemente pensieri comuni che accettiamo passivamente. Non dobbiamo mai dimenticare che la quercia stabile e robusta può essere sradicata da un vento impetuoso che invece fa flettere il debole giunco senza riuscire a spezzarlo. </b></div><div dir="auto" style="font-family: "Trebuchet MS", Arial, serif; font-size: 14px; text-align: justify;"><b><br /></b></div><div dir="auto" style="font-family: "Trebuchet MS", Arial, serif; font-size: 14px; text-align: justify;"><b>Spesso commettiamo l'errore di pensare alla nostra mente come ad un contenitore in cui sono raccolte tutte le istruzioni di comportamento depositate nella memoria nel tempo e condizionate dal contesto in cui viviamo. Con questa convinzione ci sentiamo capaci di reagire nel modo opportuno di fronte ad un qualsiasi evento. Attiviamo così una specie di pilota automatico e, quando dobbiamo affrontare un problema, non ci fermiamo a ragionare ma cerchiamo la soluzione tra quelle che abbiamo già sperimentato, non analizzando i dettagli e la peculiarità della situazione. Anticipiamo gli esiti impedendo alla mente possibilità di evoluzione e crescita. Oltretutto finiamo col convincerci che la realtà non si può cambiare e deve essere accettata senza alcun tentativo di migliorarla. Il nostro sforzo deve invece essere rivolto al superamento dell'abitudine, all'ampliamento delle nostre possibilità di soluzione dei problemi per evitare di formulare teorie catastrofiche che sentiamo sul punto di avverarsi perché pensiamo di essere sfortunati o incapaci. Questi comportamenti causano un malessere fisico e psicologico e noi avveriamo frustrazione e debolezza. </b></div><div dir="auto" style="font-family: "Trebuchet MS", Arial, serif; font-size: 14px; text-align: justify;"><b><br /></b></div><div dir="auto" style="font-family: "Trebuchet MS", Arial, serif; font-size: 14px; text-align: justify;"><b>Per liberarci da tali condizionamenti depotenzianti l'unica strategia opportuna e verificata consiste nel cambiare le nostre convinzioni, comportarci da persone realizzate e soddisfatte di se stesse, sicure di poter cogliere tutte le opportunità che ogni giorno si presentano ad ognuno di noi, eliminare il giudizio, soprattutto verso noi stessi, amarci e rispettarci pur accettando i difetti comuni a tutti gli esseri umani e, soprattutto sentire una profonda gratitudine per il dono della vita che abbiamo ricevuto. Il benessere si raggiunge quindi esprimendo la libertà della nostra coscienza, non lasciandoci soggiogare da pensieri negativi spesso ossessivi e quindi cambiando la mentalità che ha causato i nostri problemi. Abbandonare gli schemi può provocare disorientamento, crollo delle proprie certezze e paura ma, se si agisce in piena consapevolezza, si può apprezzare un modus vivendi assolutamente più interessante e spontaneo, si impara a dimostrare la migliore versione di se stessi, si avverte un potenziamento della propria autostima e il desiderio di scegliere in autonomia ed assoluta libertà.</b></div><p style="text-align: right;">Ornella Aprile, 21.10.2021</p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"></div>olosciencehttp://www.blogger.com/profile/07007258673266741468noreply@blogger.com6tag:blogger.com,1999:blog-1907724209682187249.post-50141310212085285662020-10-31T05:03:00.005-07:002020-10-31T05:03:59.743-07:00Sars-Cov-2: virus apparentemente più aggressivo nelle sue nuove varianti.<p> </p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiCtIGgZvzX2T6zQfx61Ckpjn5ewbyp2LMy9v9JipFL0iiDwJmzAYq1_gX2bXEug-3FaG5nIC_2i8WU4SgsLyIV-dvzxuhJXl681dlVi62eCfHLeLI3EQi4HmMZPfJWwTEDvUAwbGK4SXF_/s620/virus.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="438" data-original-width="620" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiCtIGgZvzX2T6zQfx61Ckpjn5ewbyp2LMy9v9JipFL0iiDwJmzAYq1_gX2bXEug-3FaG5nIC_2i8WU4SgsLyIV-dvzxuhJXl681dlVi62eCfHLeLI3EQi4HmMZPfJWwTEDvUAwbGK4SXF_/s320/virus.jpg" width="320" /></a></div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">Fonte: <a href="https://www.ansa.it/canale_scienza_tecnica/notizie/biotech/2020/10/30/identificate-in-italia-5-varianti-del-nuovo-coronavirus_d0fd45f3-04f5-4735-b391-d480fd7752ca.html">ANSA Scienze</a></div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">----------------------------</div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><div style="text-align: justify;"><span style="background-color: white; color: #333333; text-align: start;"><span style="font-family: times; font-size: medium;"><b>Sono cinque le varianti del nuovo coronavirus identificate in Italia. Per definirle mutazioni vere e proprie servono più dati statistici, ma al momento si può dire che non solo il virus non è affatto meno aggressivo di quanto lo fosse all'inizio dell'anno, ma che grazie alle nuove varianti riesce a replicarsi in modo più efficace. E' quanto emerge dai dati finora a disposizione della Task force coronavirus attiva presso il centro di biotecnologie avanzate Ceinge di Napoli, finanziato dalla Regione Campania.</b></span></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="color: #333333;"><span style="font-family: times; font-size: medium;"><b><br /></b></span></span></div><span style="background-color: white; color: #333333; text-align: start;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: times; font-size: medium;"><b>"Dai dati finora a nostra disposizione, basati su 246 genomi sequenziati da pazienti con Covid-19, emerge che esistono cinque varianti di virus", ha detto all'ANSA il genetista Massimo Zollo, dell'Università Federico II di Napoli, responsabile scientifico della task force Covid attiva presso il centro di biotecnologie avanzate Ceinge e finanziata dalla Regione Campania.</b></span></div></span><div style="text-align: justify;"><span style="color: #333333;"><span style="font-family: times; font-size: medium;"><b><br /></b></span></span></div><span style="background-color: white; color: #333333; text-align: start;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: times; font-size: medium;"><b>"Sappiamo che le varianti, identificate con le sigle 19A, 19B, 20A, 20B e 20C, sono presenti in tutta Italia, ma adesso si tratta di capire quale sia la loro incidenza nelle regioni". Dopo il lockdown, le più frequenti risultano essere 20A e 20 B. Molte sequenze sono state finora prodotte in Lombardia, ed è emerso che in Campania le varianti 20A e 20B sono presenti nella stessa quantità . Stanno arrivando dati anche da Abruzzo, Lazio e Puglia, ma per capire se le cinque varianti stanno circolando in tutta Italia c'è ancora molto lavoro da fare: "Dobbiamo continuare a tipizzare il virus in tutto il Paese, per capire se ci sono realtà particolari a livello regionale, oppure se è una tendenza che sta avvenendo in tutta Italia", ha detto Zollo. Questo trend è presente anche in Europa, in Paesi quali Spagna, Germania, e Regno Unito, con prevalenza di alcune varianti verso altre.</b></span></div></span><div style="text-align: justify;"><span style="color: #333333;"><span style="font-family: times; font-size: medium;"><b><br /></b></span></span></div><span style="background-color: white; color: #333333; text-align: start;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: times; font-size: medium;"><b>Di sicuro, ha osservato l'esperto, "il virus SarsCoV2 è cattivo come lo era nel marzo scorso, e le nuove varianti sembrerebbero renderlo ancora più aggressivo. Sono mutazioni distribuite in tutto il genoma, ma al momento si nota che le mutazioni non incidono nell'interazione fra la proteina Spike e il recettore Ace", ossia fra la proteina che e' il principale grimaldello con cui il virus riesce a penetrare nelle cellule e il recettore che costituisce la serratura molecolare utilizzata dalla proteina.</b></span></div></span><div style="text-align: justify;"><span style="color: #333333;"><span style="font-family: times; font-size: medium;"><b><br /></b></span></span></div><span style="background-color: white; color: #333333; text-align: start;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: times; font-size: medium;"><b>"Quello che al momento è possibile dire -, secondo Zollo -, è che da un punto di vista statistico, più aumenta il numero delle persone con l'infezione, più sono probabili nuove mutazioni: al momento è solo una probabilità statistica".</b></span></div></span><div style="text-align: justify;"><span style="color: #333333;"><span style="font-family: times; font-size: medium;"><b><br /></b></span></span></div><span style="background-color: white; color: #333333; text-align: start;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: times; font-size: medium;"><b>Si stanno osservando intanto anche altre mutazioni, come quella del gene Orf 3A, che regola la risposta infiammatoria nelle cellule, e quelle dei geni Nsp2 e Nsp6 (proteine non strutturali del virus) in Orf1a: la prima favorisce il metabolismo cellulare con la funzionalità del virus nelle cellule; la seconda favorisce la formazione delle vescicole che il virus utilizza per replicarsi.</b></span></div></span><div style="text-align: justify;"><span style="color: #333333;"><span style="font-family: times; font-size: medium;"><b><br /></b></span></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="background-color: white; color: #333333; text-align: start;"><span style="font-family: times; font-size: medium;"><b>"Tutto questo però non è sufficiente per dire che il virus SarsCoV2 è mutato", ha detto Zollo. "Al momento vediamo differenze tra le sequenze del virus in 5 isotipi, ma per arrivare a delle conclusioni è indispensabile avere più sequenze. Fino ad allora - ha concluso - non si può escludere che possano essere solo delle varianti, magari frutto di importazioni da altri Paesi".</b></span></span></div></div><p></p>olosciencehttp://www.blogger.com/profile/07007258673266741468noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1907724209682187249.post-89872925705837012632020-10-29T05:48:00.001-07:002020-10-29T05:49:12.812-07:00Il nostro genoma a portata di mano su smartphone entro il 2030. <p> </p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjvrJAXXm-t6kNiwatjrrq0vwWA2ja61jEquA3oSVB0OE5dLAl6X_PfvCrlY0rkapRj6Q468nRB3YpthNMCRevJlTMUHmcKxxPYQegmWXGlXUGaWN-VXtH76Gy_AtOYW52abXgzlVmH-rLC/s620/dna.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="438" data-original-width="620" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjvrJAXXm-t6kNiwatjrrq0vwWA2ja61jEquA3oSVB0OE5dLAl6X_PfvCrlY0rkapRj6Q468nRB3YpthNMCRevJlTMUHmcKxxPYQegmWXGlXUGaWN-VXtH76Gy_AtOYW52abXgzlVmH-rLC/s320/dna.jpg" width="320" /></a></div><div style="text-align: center;">Fonte: <a href="https://www.ansa.it/canale_scienza_tecnica/notizie/biotech/2020/10/29/il-nostro-genoma-a-portata-di-mano-su-smartphone-entro-2030_eb465c1b-89a7-4fa2-ae0e-c759f1513b1d.html">ANSA Scienze</a></div><div style="text-align: center;">----------------------------</div><p></p><p style="background-color: white; border: 0px; box-sizing: border-box; color: #333333; font-stretch: inherit; font-variant-east-asian: inherit; font-variant-numeric: inherit; line-height: inherit; margin: 0px 0px 10px; padding: 0px; text-align: justify; vertical-align: baseline;"><span style="font-family: times; font-size: medium;"><b>Entro il 2030 potremo avere il nostro genoma a portata di mano sullo smartphone, insieme a tutte le informazioni utili per interpretarlo in relazione alla nostra salute: è questa la più affascinante delle dieci 'previsioni ardite' che gli esperti dell'Istituto americano per la ricerca sul genoma umano (Nhgri) fanno su Nature, nel documento con cui delineano la nuova visione strategica dell'ente e le priorità che guideranno la ricerca nel campo della genomica nel prossimo decennio.</b></span></p><div style="text-align: justify;"><p style="background-color: white; border: 0px; box-sizing: border-box; color: #333333; font-stretch: inherit; font-variant-east-asian: inherit; font-variant-numeric: inherit; line-height: inherit; margin: 0px 0px 10px; padding: 0px; text-align: justify; vertical-align: baseline;"><span style="font-family: times; font-size: medium;"><b>L'annuncio arriva a 30 anni dal lancio del grande progetto sul genoma umano, che nel 2003 ha portato alla mappatura completa del nostro Dna. Da allora la ricerca in questo settore ha fatto passi da gigante, rivoluzionando il campo biomedico. Una grande spinta è arrivata dall'evoluzione tecnologica e dall'abbattimento dei costi del sequenziamento del Dna, che ha portato questa tecnica alla portata di molti laboratori dando impulso alla ricerca su cancro, virus e batteri, malattie genetiche e tanto altro.</b></span></p><p style="background-color: white; border: 0px; box-sizing: border-box; color: #333333; font-stretch: inherit; font-variant-east-asian: inherit; font-variant-numeric: inherit; line-height: inherit; margin: 0px 0px 10px; padding: 0px; text-align: justify; vertical-align: baseline;"><span style="font-family: times; font-size: medium;"><b>"Molti dei traguardi più importanti raggiunti dalla genomica, se visti in retrospettiva, erano inimmaginabili appena dieci anni prima", sottolineano gli esperti statunitensi. Partendo da questa considerazione, nel loro nuovo piano strategico provano a ipotizzare dieci traguardi ambiziosi che potrebbero essere raggiunti entro il 2030: tra questi, la possibilità di conoscere la funzione biologica di ogni gene del nostro Dna e quella di eseguire i test genetici di routine, proprio come gli esami del sangue che oggi si possono fare in ospedale e nei laboratori d'analisi sotto casa.</b></span></p></div>olosciencehttp://www.blogger.com/profile/07007258673266741468noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1907724209682187249.post-64677615183679901472020-10-27T09:21:00.001-07:002020-10-27T09:21:44.027-07:00Costruita la prima lingua sintetica: Permette di sperimentare le proprietà di nuovi cibi e farmaci.<p></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh78Cyt8cvJ-I_PHCRWY4qsg-kQxX9urreFnMqLHAWG7TT46oCrqVruz0syLWP7ffsFPFn_5gvOg0ItgpIr_0n2sNlBg6pbTehFkXOpMP2YLe7n8NusYgF0eXxQORpHYLhAMES8W_RRffGC/s620/34d53ef4a3c166e29218b7543f39bf51.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="438" data-original-width="620" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh78Cyt8cvJ-I_PHCRWY4qsg-kQxX9urreFnMqLHAWG7TT46oCrqVruz0syLWP7ffsFPFn_5gvOg0ItgpIr_0n2sNlBg6pbTehFkXOpMP2YLe7n8NusYgF0eXxQORpHYLhAMES8W_RRffGC/s320/34d53ef4a3c166e29218b7543f39bf51.jpg" width="320" /></a></div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">Fonte: <a href="https://www.ansa.it/canale_scienza_tecnica/notizie/biotech/2020/10/27/costruita-la-prima-lingua-sintetica-e-stampata-in-3d_30689d4b-461c-4618-9a3e-1bb34b7a85c9.html">ANSA Scienze</a></div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">----------------------------</div><p></p><p style="background-color: white; border: 0px; box-sizing: border-box; color: #333333; font-stretch: inherit; font-variant-east-asian: inherit; font-variant-numeric: inherit; line-height: inherit; margin: 0px 0px 10px; padding: 0px; text-align: justify; vertical-align: baseline;"><span style="font-family: times; font-size: medium;"><b>Costruita la prima lingua sintetica. Stampata in 3D, diventa un laboratorio che permette di sperimentare le proprietà di nuovi cibi e farmaci. Il risultato è pubblicato sulla rivista ACS Applied Materials & Interfaces e si deve al gruppo dell'università britannica di Leeds. guidato da Efren Andablo-Reyes.</b></span></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: justify;"><p style="background-color: white; border: 0px; box-sizing: border-box; color: #333333; font-stretch: inherit; font-variant-east-asian: inherit; font-variant-numeric: inherit; line-height: inherit; margin: 0px 0px 10px; padding: 0px; text-align: justify; vertical-align: baseline;"><span style="font-family: times; font-size: medium;"><b>Per il primo autore della ricerca, Anwesha Sarkar, dell'università di Leeds, "mappare e replicare accuratamente la superficie della lingua e costruirla con un materiale che si avvicina all'elasticità della lingua umana non è stato un compito da poco. Abbiamo dimostrato la capacità senza precedenti di una superficie in silicone stampata in 3D di imitare le prestazioni meccaniche della lingua umana".</b></span></p><p style="background-color: white; border: 0px; box-sizing: border-box; color: #333333; font-stretch: inherit; font-variant-east-asian: inherit; font-variant-numeric: inherit; line-height: inherit; margin: 0px 0px 10px; padding: 0px; text-align: justify; vertical-align: baseline;"><span style="font-family: times; font-size: medium;"><b>I ricercatori hanno utilizzato la stampa 3D per riprodurre, in un disco di silicone, la superficie molto complessa della lingua umana. Hanno ottenuto così una struttura che imita bene le caratteristiche della lingua, a partire dall'elasticità, e che sono fondamentali per riprodurre con precisione il modo in cui il cibo e la saliva interagiscono con la lingua, che a sua volta può influenzare la deglutizione, la parola, l'apporto nutrizionale.</b></span></p><p style="background-color: white; border: 0px; box-sizing: border-box; color: #333333; font-stretch: inherit; font-variant-east-asian: inherit; font-variant-numeric: inherit; line-height: inherit; margin: 0px 0px 10px; padding: 0px; text-align: justify; vertical-align: baseline;"><span style="font-family: times; font-size: medium;"><b>La complessità della superficie della lingua aveva finora reso davvero una sfida alla possibilità di ottenere una versione sintetica di quest'organo. L'obiettivo sarebbe stato ottenere una sorta di laboratorio per sperimentare terapie, come quella per la sindrome della bocca secca, un disturbo che interessa il 10% della popolazione generale e il 30% degli anziani.</b></span></p><p style="background-color: white; border: 0px; box-sizing: border-box; color: #333333; font-stretch: inherit; font-variant-east-asian: inherit; font-variant-numeric: inherit; line-height: inherit; margin: 0px 0px 10px; padding: 0px; text-align: justify; vertical-align: baseline;"><span style="font-family: times; font-size: medium;"><b>Un compito difficile, ha osservato Andablo-Reyes, perchè "riprodurre la superficie della lingua umana comporta sfide uniche: centinaia di piccole strutture simili a boccioli, le papille, conferiscono alla lingua la sua caratteristica consistenza ruvida che, in combinazione con la natura morbida del tessuto, crea una struttura complicata da una prospettiva meccanica".</b></span></p><p style="background-color: white; border: 0px; box-sizing: border-box; color: #333333; font-stretch: inherit; font-variant-east-asian: inherit; font-variant-numeric: inherit; line-height: inherit; margin: 0px 0px 10px; padding: 0px; text-align: justify; vertical-align: baseline;"><span style="font-family: times; font-size: medium;"><b>Per replicare le caratteristiche della lingua umana, i ricercatori hanno preso le impronte della superficie della lingua da quindici adulti. Successivamente le impronte sono state scansionate in 3D per ottenere le dimensioni delle papille, e per ottenere una mappa della densità e rugosità media della lingua. Grazie a questi dati è stato ottenuto il modello utilizzato per programmare la stampa 3D.</b></span></p></div>olosciencehttp://www.blogger.com/profile/07007258673266741468noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1907724209682187249.post-9030767227588413672020-10-26T12:49:00.001-07:002020-10-26T12:49:10.519-07:00Svelata la cronologia della prima evoluzione eucariotica.<p> </p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhBVwp8KxsIfKHkhQP-Khpt99tfha2XkFXuzlSqY2GRorqbWt0e6tEhTGxC0tuom6Rxzk8IAhlzLQh7L1CTddf8L9lLi8LRBkBVHaJ59DeDRxYeJD0JRUI4_QstuxMp_QC1woUEW42SXviN/s800/timelineofea.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="480" data-original-width="800" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhBVwp8KxsIfKHkhQP-Khpt99tfha2XkFXuzlSqY2GRorqbWt0e6tEhTGxC0tuom6Rxzk8IAhlzLQh7L1CTddf8L9lLi8LRBkBVHaJ59DeDRxYeJD0JRUI4_QstuxMp_QC1woUEW42SXviN/s320/timelineofea.jpg" width="320" /></a></div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">Fonte:<a href="https://phys.org/news/2020-10-timeline-early-eukaryotic-evolution-unveiled.html"> Phys.org</a></div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">--------------------</div><div class="separator" style="clear: both; text-align: justify;"><span style="font-family: times; font-size: medium;"><b><span style="background-color: white; box-sizing: border-box; color: #212438; text-align: left; vertical-align: inherit;"><span style="box-sizing: border-box; vertical-align: inherit;">Analizzando duplicati di migliaia di geni, i ricercatori hanno ricostruito gli eventi evolutivi che hanno portato alla creazione di cellule eucariotiche, i precursori di praticamente tutta la vita che è possibile vedere ad occhio nudo. </span><span style="box-sizing: border-box; vertical-align: inherit;">La sequenza temporale evolutiva dalle cellule batteriche semplici alle cellule eucariotiche complesse è progredita in modo diverso, rispetto a quanto si pensava in precedenza. </span><span style="box-sizing: border-box; vertical-align: inherit;">Lo studio, una collaborazione tra il laboratorio di genomica comparativa dell'IRB di Barcellona e l'Università di Utrecht, è stato pubblicato su </span></span><i style="background-color: white; box-sizing: border-box; color: #212438; text-align: left;"><span style="box-sizing: border-box; vertical-align: inherit;"><span style="box-sizing: border-box; vertical-align: inherit;">Nature Ecology & Evolution</span></span></i><span style="background-color: white; box-sizing: border-box; color: #212438; text-align: left; vertical-align: inherit;"><span style="box-sizing: border-box; vertical-align: inherit;"> .</span></span></b></span></div><div class="separator" style="clear: both; text-align: justify;"><span style="font-family: times; font-size: medium;"><b><span style="background-color: white; box-sizing: border-box; color: #212438; text-align: left; vertical-align: inherit;"><span style="box-sizing: border-box; vertical-align: inherit;"><span style="box-sizing: border-box; vertical-align: inherit;"><span style="box-sizing: border-box; vertical-align: inherit;">Uno degli eventi più importanti e sconcertanti nell'evoluzione della vita è stata l'origine delle prime </span><a class="textTag" href="https://phys.org/tags/eukaryotic+cells/" rel="tag" style="background-color: transparent; border-bottom: 1px dotted rgb(0, 0, 0); box-sizing: border-box; color: black; text-decoration-line: none;"><span style="box-sizing: border-box; vertical-align: inherit;">cellule eucariotiche </span></a></span><a class="textTag" href="https://phys.org/tags/complex/" rel="tag" style="border-bottom: 1px dotted rgb(0, 0, 0); box-sizing: border-box; color: black; text-decoration-line: none;"><span style="box-sizing: border-box; vertical-align: inherit;"><span style="box-sizing: border-box; vertical-align: inherit;">complesse</span></span></a> <a class="textTag" href="https://phys.org/tags/eukaryotic+cells/" rel="tag" style="border-bottom: 1px dotted rgb(0, 0, 0); box-sizing: border-box; color: black; text-decoration-line: none;"><span style="box-sizing: border-box; vertical-align: inherit;"></span></a><span style="box-sizing: border-box; vertical-align: inherit;"><span style="box-sizing: border-box; vertical-align: inherit;">. </span><span style="box-sizing: border-box; vertical-align: inherit;">Quasi tutte le forme di vita che possiamo percepire ad occhio nudo, come alghe, piante, animali e funghi, sono costituite da cellule complesse note come 'eucarioti ". Uno studio collaborativo tra i gruppi di Toni Gabaldón, ricercatore presso l'Istituto di ricerca in Biomedicina di Barcellona (IRB Barcelona) e il Barcelona Supercomputing Center (BSC-CNS), e Berend Snel presso l'Università di Utrecht, ha concluso che la prima cellula a incorporare un mitocondrio (considerato il passo chiave per la maggiore complessità delle cellule eucariotiche),presenta già </span></span></span></span><span style="background-color: white; color: #212438; text-align: left;">complessità simili all'eucariota nella struttura e nelle funzioni. Questo scenario funge da ponte tra i segni di complessità osservati in alcuni genomi archeologici e il ruolo proposto dei mitocondri nell'innesco dell'eucariogenesi.</span></b></span></div><p></p><p style="background-color: white; box-sizing: border-box; color: #212438; margin-bottom: 1.75rem; margin-top: 0px; text-align: justify;"><span style="box-sizing: border-box; font-family: times; font-size: medium; vertical-align: inherit;"><b><span style="box-sizing: border-box; vertical-align: inherit;">"L'acquisizione dei mitocondri è stata considerata il primo passo cruciale o l'ultimo passo nello sviluppo della complessità delle cellule eucariotiche", spiega Gabaldón. </span><span style="box-sizing: border-box; vertical-align: inherit;">"I nostri risultati mostrano che è stato davvero un evento cruciale, ma che è accaduto in uno scenario in cui la complessità delle cellule era già aumentata".</span></b></span></p><p style="background-color: white; box-sizing: border-box; color: #212438; margin-bottom: 1.75rem; margin-top: 0px; text-align: justify;"><span style="box-sizing: border-box; vertical-align: inherit;"><span style="box-sizing: border-box; font-family: times; font-size: medium; vertical-align: inherit;"><b><span style="box-sizing: border-box; vertical-align: inherit;">Per circa la prima metà della storia della vita sulla Terra, le uniche forme di vita erano le cellule relativamente semplici dei batteri. </span><span style="box-sizing: border-box; vertical-align: inherit;">"Le cellule eucariotiche sono più grandi, contengono più DNA e sono costituite da compartimenti, ciascuno con il proprio compito", spiega il primo autore Julian Vosseberg. </span><span style="box-sizing: border-box; vertical-align: inherit;">"In questo senso, è possibile paragonare le cellule batteriche ad una tenda, mentre le cellule eucariotiche sono più simili a case con diverse stanze".</span></b></span></span></p><p style="background-color: white; box-sizing: border-box; color: #212438; margin-bottom: 1.75rem; margin-top: 0px; text-align: justify;"><span style="box-sizing: border-box; vertical-align: inherit;"><span style="box-sizing: border-box; vertical-align: inherit;"><span style="box-sizing: border-box; font-family: times; font-size: medium; vertical-align: inherit;"><b><span style="box-sizing: border-box; vertical-align: inherit;"><span style="box-sizing: border-box; vertical-align: inherit;">Come e quando gli organismi hanno scambiato la tenda per una casa è ancora un mistero, poiché non esistono forme intermedie. </span><span style="box-sizing: border-box; vertical-align: inherit;">Un momento importante nell'evoluzione fu l'origine dei mitocondri, un componente delle cellule eucariotiche che funzionano come le loro 'centrali elettriche' ". I mitocondri in un passato assai remoto erano dei batteri che vivevano liberamente, ma nel corso dell'evoluzione, sono stati assorbiti dagli antenati delle cellule eucariotiche odierne</span></span><span style="box-sizing: border-box; vertical-align: inherit;"><span style="box-sizing: border-box; vertical-align: inherit;">. La replicazione genetica ha</span></span><span style="box-sizing: border-box; vertical-align: inherit;"><span style="box-sizing: border-box; vertical-align: inherit;"> probabilmente guidato l'aumento della complessità cellulare e i ricercatori hanno tentato di ricostruire gli eventi evolutivi sulla base di questi cambiamenti genetici. </span></span></b></span></span></span></p><p style="background-color: white; box-sizing: border-box; color: #212438; margin-bottom: 1.75rem; margin-top: 0px; text-align: justify;"><span style="box-sizing: border-box; vertical-align: inherit;"><span style="box-sizing: border-box; vertical-align: inherit;"><span style="box-sizing: border-box; vertical-align: inherit;"><span style="box-sizing: border-box; vertical-align: inherit;"><span style="box-sizing: border-box; font-family: times; font-size: medium; vertical-align: inherit;"><b><span style="box-sizing: border-box; vertical-align: inherit;">"Possiamo usare il DNA delle specie contemporanee per ricostruire eventi evolutivi. I nostri geni si sono formati nel corso di eoni di evoluzione. Sono cambiati radicalmente in quel periodo, ma conservano ancora echi di un lontano passato". </span><span style="box-sizing: border-box; vertical-align: inherit;">Vosseberg aggiunge: "Abbiamo una grande quantità di materiale genetico disponibile, da una varietà di organismi, e possiamo usare i computer per ricostruire l'evoluzione di migliaia di geni, comprese le antiche duplicazioni di molti geni. Queste ricostruzioni ci hanno permesso di scoprire i tempi di importanti passaggi intermedi. "</span></b></span></span></span></span></span></p><p style="background-color: white; box-sizing: border-box; color: #212438; margin-bottom: 1.75rem; margin-top: 0px; text-align: justify;"><span style="box-sizing: border-box; vertical-align: inherit;"><span style="box-sizing: border-box; vertical-align: inherit;"><span style="box-sizing: border-box; vertical-align: inherit;"><span style="box-sizing: border-box; vertical-align: inherit;"><span style="box-sizing: border-box; vertical-align: inherit;"><span style="box-sizing: border-box; font-family: times; font-size: medium; vertical-align: inherit;"><b><span style="box-sizing: border-box; vertical-align: inherit;">L'autore co-corrispondente, Berend Snel, dell'Università di Utrecht, dice: "Gli scienziati non avevano una sequenza temporale di questi eventi. Ma ora siamo riusciti a ricostruire una sequenza temporale approssimativa". </span><span style="box-sizing: border-box; vertical-align: inherit;">Per raggiungere questo obiettivo, i ricercatori hanno adattato un metodo esistente sviluppato nel laboratorio di Gabaldon per creare un nuovo protocollo, che ha portato a nuove intuizioni. </span><span style="box-sizing: border-box; vertical-align: inherit;">Queste indicano che molti complessi meccanismi cellulari si erano evoluti anche prima della simbiosi con i mitocondri, compreso lo sviluppo del trasporto all'interno della cellula e del citoscheletro. </span><span style="box-sizing: border-box; vertical-align: inherit;">"La simbiosi non era un evento che serviva da catalizzatore per tutto il resto. Abbiamo osservato un picco nelle duplicazioni geniche molto lontano nel tempo; il quale indica che la complessità cellulare era già aumentata prima di quel momento", dice Snel.</span></b></span></span></span></span></span></span></p><p style="background-color: white; box-sizing: border-box; color: #212438; margin-bottom: 1.75rem; margin-top: 0px; text-align: justify;"><span style="box-sizing: border-box; vertical-align: inherit;"><span style="box-sizing: border-box; vertical-align: inherit;"><span style="box-sizing: border-box; vertical-align: inherit;"><span style="box-sizing: border-box; vertical-align: inherit;"><span style="box-sizing: border-box; vertical-align: inherit;"><span style="box-sizing: border-box; vertical-align: inherit;"><span style="box-sizing: border-box; font-family: times; font-size: medium; vertical-align: inherit;"><b><span style="box-sizing: border-box; vertical-align: inherit;">"Il nostro studio suggerisce che l'ospite ancestrale che ha acquisito l'endosimbionte[1] mitocondriale aveva già sviluppato una certa complessità in termini di citoscheletro dinamico e traffico di membrana", dice Gabaldón. </span><span style="box-sizing: border-box; vertical-align: inherit;">"Questo potrebbe aver favorito la creazione di associazioni simbiotiche con altri microrganismi, compreso l'antenato mitocondriale, che alla fine si è integrato".</span></b></span></span></span></span></span></span></span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: times; font-size: medium;"><b><u>Note:</u> </b></span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: times; font-size: medium;"><b>[1] <span style="background-color: white; color: #202122;">L'</span><span style="background-color: white; color: #202122;">endosimbiosi</span><span style="background-color: white; color: #202122;"> (dal greco: ἔνδον = dentro; συν = insieme; βιος = vita) è una particolare forma di </span><a href="https://it.wikipedia.org/wiki/Simbiosi" style="background: none rgb(255, 255, 255); color: #0b0080; text-decoration-line: none;" title="Simbiosi">simbiosi</a><span style="background-color: white; color: #202122;"> nella quale un organismo (di solito unicellulare) vive all'interno di un altro organismo, con le caratteristiche di mutuo beneficio che distinguono la simbiosi dal </span><a href="https://it.wikipedia.org/wiki/Parassitismo" style="background: none rgb(255, 255, 255); color: #0b0080; text-decoration-line: none;" title="Parassitismo">parassitismo</a><span style="background-color: white; color: #202122;"> e dal </span><a href="https://it.wikipedia.org/wiki/Commensalismo" style="background: none rgb(255, 255, 255); color: #0b0080; text-decoration-line: none;" title="Commensalismo">commensalismo</a><span style="background-color: white; color: #202122;">. (Fonte: Wikipedia)</span></b></span></p>olosciencehttp://www.blogger.com/profile/07007258673266741468noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1907724209682187249.post-60355502039864044982020-10-26T08:03:00.002-07:002020-10-26T08:03:59.142-07:00Una "Stele di Rosetta genomica", per scoprire le regole della regolazione genica.<p> </p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh0s_Is8qJD8nznj80_Rzv7x2JAm5fy_s6zRd8uUcJk599toH75KqDT1SihCZclRLEqZkcXPAMDiWHHf-bdoPgm_wQqzsrccQhRmYTXVph9XBWrtpjD6KeiloA_sbQzkyWGaop_3GArmNoN/s800/agenomicrose.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="480" data-original-width="800" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh0s_Is8qJD8nznj80_Rzv7x2JAm5fy_s6zRd8uUcJk599toH75KqDT1SihCZclRLEqZkcXPAMDiWHHf-bdoPgm_wQqzsrccQhRmYTXVph9XBWrtpjD6KeiloA_sbQzkyWGaop_3GArmNoN/s320/agenomicrose.jpg" width="320" /></a></div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">Fonte: <a href="https://phys.org/news/2020-10-genomic-rosetta-stone-gene.html">Phys.org</a></div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">----------------------</div><div class="separator" style="clear: both; text-align: justify;"><span style="font-family: times; font-size: medium;"><b><span style="background-color: white; box-sizing: border-box; color: #212438; text-align: left; vertical-align: inherit;">Già nel 1975, i biologi scoprirono che le parti che codificano le proteine dello scimpanzé e dei genomi umani sono identiche per oltre il 99%. </span><span style="background-color: white; box-sizing: border-box; color: #212438; text-align: left; vertical-align: inherit;">Tuttavia, gli scimpanzé e gli esseri umani sono chiaramente diversi in modo significativo. </span><span style="background-color: white; box-sizing: border-box; color: #212438; text-align: left; vertical-align: inherit;">Perché?</span></b></span></div><p></p><p style="background-color: white; box-sizing: border-box; color: #212438; margin-bottom: 1.75rem; margin-top: 0px; text-align: justify;"><span style="font-family: times; font-size: medium;"><b><span style="box-sizing: border-box; vertical-align: inherit;"><span style="box-sizing: border-box; vertical-align: inherit;">La risposta sta nel fatto che il modo in cui viene utilizzato il DNA è importante quanto ciò che dice. </span><span style="box-sizing: border-box; vertical-align: inherit;">Cioè, i geni che compongono un </span></span><a class="textTag" href="https://phys.org/tags/genome/" rel="tag" style="background-color: transparent; border-bottom: 1px dotted rgb(0, 0, 0); box-sizing: border-box; color: black; text-decoration-line: none;"><span style="box-sizing: border-box; vertical-align: inherit;"><span style="box-sizing: border-box; vertical-align: inherit;">genoma</span></span></a><span style="box-sizing: border-box; vertical-align: inherit;"><span style="box-sizing: border-box; vertical-align: inherit;"> non vengono sempre utilizzati; </span><span style="box-sizing: border-box; vertical-align: inherit;">possono essere attivati o disattivati nel tempo e interagiscono tra loro in modi complessi. </span><span style="box-sizing: border-box; vertical-align: inherit;">Alcuni geni codificano istruzioni per produrre proteine specifiche e altri codificano informazioni sulla regolazione di altri geni.</span></span></b></span></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: justify;"><span style="background-color: white; box-sizing: border-box; color: #212438; font-family: times; font-size: medium; text-align: left; vertical-align: inherit;"><b><p style="box-sizing: border-box; margin-bottom: 1.75rem; margin-top: 0px; text-align: justify;"><span style="box-sizing: border-box; vertical-align: inherit;"><span style="box-sizing: border-box; vertical-align: inherit;">Ora, i ricercatori del laboratorio di Rob Phillips, ovvero, i professori di biologia e biofisica, Fred e Nancy Morris, hanno sviluppato un nuovo strumento per determinare come sono regolati i vari geni del comune batterio Escherichia coli. </span><span style="box-sizing: border-box; vertical-align: inherit;">Sebbene l'E. Coli sia stato utilizzato come </span></span><a class="textTag" href="https://phys.org/tags/model+organism/" rel="tag" style="background-color: transparent; border-bottom: 1px dotted rgb(0, 0, 0); box-sizing: border-box; color: black; text-decoration-line: none;"><span style="box-sizing: border-box; vertical-align: inherit;"><span style="box-sizing: border-box; vertical-align: inherit;">organismo modello</span></span></a><span style="box-sizing: border-box; vertical-align: inherit;"><span style="box-sizing: border-box; vertical-align: inherit;"> in biologia e bioingegneria per decenni, i ricercatori comprendono il comportamento regolatorio di solo il 35% circa dei suoi geni. </span><span style="box-sizing: border-box; vertical-align: inherit;">Il nuovo metodo del laboratorio Phillips, fa luce su come quasi 100 geni precedentemente non caratterizzati, siano regolati e pone le basi per studiarne molti altri. </span></span><span style="box-sizing: border-box; vertical-align: inherit;">Un documento che descrive la nuova tecnica è recentemente apparso sulla rivista </span><i style="box-sizing: border-box;">eLife</i><span style="box-sizing: border-box; vertical-align: inherit;"> .</span></p><p style="box-sizing: border-box; margin-bottom: 1.75rem; margin-top: 0px; text-align: justify;"><span style="box-sizing: border-box; vertical-align: inherit;"><span style="box-sizing: border-box; vertical-align: inherit;">Immaginiamo di poter leggere l'alfabeto e la punteggiatura di una nuova lingua, ma di non riuscire a capire cosa significano le singole parole o nessuna delle regole grammaticali. </span><span style="box-sizing: border-box; vertical-align: inherit;">Potresti leggere un libro e riconoscere ogni lettera che leggi senza avere alcuna comprensione di ciò che descrive una frase o un paragrafo. </span><span style="box-sizing: border-box; vertical-align: inherit;">Ciò è analogo alla sfida affrontata dai biologi nell'era genomica moderna: il sequenziamento del genoma di un organismo è ora rapido e semplice, ma in realtà capire come ogni gene è regolato è molto più difficile. </span><span style="box-sizing: border-box; vertical-align: inherit;">La comprensione della regolazione genica è la chiave per comprendere la salute e la malattia ed è importante se un giorno dobbiamo riutilizzare le cellule in modo che possano fare le cose per le quali le abbiamo progettate.</span></span></p><p style="box-sizing: border-box; margin-bottom: 1.75rem; margin-top: 0px; text-align: justify;"><span style="box-sizing: border-box; vertical-align: inherit;"><span style="box-sizing: border-box; vertical-align: inherit;"><span style="box-sizing: border-box; vertical-align: inherit;">"Abbiamo sviluppato uno strumento generale che i ricercatori potrebbero utilizzare su quasi tutti gli organismi microbici", afferma Rob Phillips. </span><span style="box-sizing: border-box; vertical-align: inherit;">"Il nostro sogno è che qualcuno come Victoria Orphan [James Irvine Professor of Environmental Science and Geobiology] possa scendere sul fondo dell'oceano e tornare con un batterio mai visto prima, e noi potremmo usare il nostro strumento su di esso per determinare non solo la sequenza del suo genoma ma soprattutto come è regolato ".</span></span></span></p><p style="box-sizing: border-box; margin-bottom: 1.75rem; margin-top: 0px; text-align: justify;"><span style="box-sizing: border-box; vertical-align: inherit;"><span style="box-sizing: border-box; vertical-align: inherit;">Nel nuovo metodo, i ricercatori apportano perturbazioni sistematiche al genoma e vedono cosa succede. </span><span style="box-sizing: border-box; vertical-align: inherit;">In sostanza, l'equivalente di errori tipografici viene fatto nel genoma e si osserva l'impatto di tali errori di battitura sulla funzione cellulare. </span><span style="box-sizing: border-box; vertical-align: inherit;">Ad esempio, se sostituisci la lettera "k" nella parola "walk" con la lettera "x" per cambiarla in "walx", l'intento della parola originale è ancora abbastanza chiaro. </span><span style="box-sizing: border-box; vertical-align: inherit;">Questo non è il caso se si scambia la lettera "w" con una "t" per produrre "talk". </span><span style="box-sizing: border-box; vertical-align: inherit;">Ciò suggerisce che la </span></span><a class="textTag" href="https://phys.org/tags/letter/" rel="tag" style="background-color: transparent; border-bottom: 1px dotted rgb(0, 0, 0); box-sizing: border-box; color: black; text-decoration-line: none;"><span style="box-sizing: border-box; vertical-align: inherit;"><span style="box-sizing: border-box; vertical-align: inherit;">lettera</span></span></a><span style="box-sizing: border-box; vertical-align: inherit;"> "w" trasporta importanti informazioni sul significato della parola originale. </span>Allo stesso modo, apportare modifiche a un genoma utilizzando l'alfabeto del DNA consente ai ricercatori di capire quali lettere sono più importanti per il "significato" corretto.</p><p style="box-sizing: border-box; margin-bottom: 1.75rem; margin-top: 0px; text-align: justify;"><span style="box-sizing: border-box; vertical-align: inherit;"><span style="box-sizing: border-box; vertical-align: inherit;">Per convalidare il loro metodo, Phillips e colleghi hanno prima esaminato 20 particolari geni di E. coli che i ricercatori sapevano già come attivare e disattivare (i</span><span style="box-sizing: border-box; vertical-align: inherit;">l loro metodo ha caratterizzato correttamente questi 20 geni). </span><span style="box-sizing: border-box; vertical-align: inherit;">Successivamente, il team è passato ad altri 80 </span></span><a class="textTag" href="https://phys.org/tags/genes/" rel="tag" style="background-color: transparent; border-bottom: 1px dotted rgb(0, 0, 0); box-sizing: border-box; color: black; text-decoration-line: none;"><span style="box-sizing: border-box; vertical-align: inherit;"><span style="box-sizing: border-box; vertical-align: inherit;">geni</span></span></a><span style="box-sizing: border-box; vertical-align: inherit;"><span style="box-sizing: border-box; vertical-align: inherit;"> meno conosciuti </span><span style="box-sizing: border-box; vertical-align: inherit;">per capire anche come funzionano. </span></span><span style="box-sizing: border-box; vertical-align: inherit;">Per ora, il metodo è stato utilizzato solo su </span><a class="textTag" href="https://phys.org/tags/bacterial+cells/" rel="tag" style="background-color: transparent; border-bottom: 1px dotted rgb(0, 0, 0); box-sizing: border-box; color: black; text-decoration-line: none;"><span style="box-sizing: border-box; vertical-align: inherit;"><span style="box-sizing: border-box; vertical-align: inherit;">cellule batteriche</span></span></a><span style="box-sizing: border-box; vertical-align: inherit;"> , ma alla fine Phillips prevede di poter esaminare anche le cellule eucariotiche (come le cellule umane), che sono più complesse, con una versione modificata del metodo. </span></p></b></span></div>olosciencehttp://www.blogger.com/profile/07007258673266741468noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1907724209682187249.post-30359210478814749562020-10-24T04:34:00.001-07:002020-10-24T04:34:15.599-07:00Serendipità: quando ciò che scopriamo "casualmente", é molto più sorprendente di ciò che stavamo volutamente cercando. <p> </p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><iframe allowfullscreen="" class="BLOG_video_class" height="266" src="https://www.youtube.com/embed/RjTzJMtCtLc" width="320" youtube-src-id="RjTzJMtCtLc"></iframe></div><br /><p></p>olosciencehttp://www.blogger.com/profile/07007258673266741468noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1907724209682187249.post-82546399521278225292020-10-24T02:17:00.001-07:002020-10-24T02:19:30.426-07:00Il cuore dell'evoluzione? Condivisione e altruismo. <p> </p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEglN-L0sEk54YF5R2DXSt0ud5W2lJiRr-xE4kkOaEWu-fn8uq0OvqrVgwuV9cPh6345R-7iUVzyhXZVAKEa4rDiEkJ32Cj_LCTOBeIuMCteStMMPQHphBsr3Jx7Fa8fTs6Fw2V25YI1dd3L/s640/vol.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="426" data-original-width="640" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEglN-L0sEk54YF5R2DXSt0ud5W2lJiRr-xE4kkOaEWu-fn8uq0OvqrVgwuV9cPh6345R-7iUVzyhXZVAKEa4rDiEkJ32Cj_LCTOBeIuMCteStMMPQHphBsr3Jx7Fa8fTs6Fw2V25YI1dd3L/s320/vol.jpg" width="320" /></a></div><div style="text-align: center;">Fonte: <a href="https://espresso.repubblica.it/plus/articoli/2015/08/18/news/l-altruismo-fa-la-forza-1.225338">L'Espresso</a></div><div style="text-align: center;">(Un articolo di Giovanni Sabato)</div><div style="text-align: center;">---------------------------------------</div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: times; font-size: medium;"><b>P<span style="background-color: white;">olemiche e discussioni fin dai tempi di Darwin. Altruismo e condivisione: sono il cuore dell’evoluzione di Homo sapiens? Decisamente sì: senza la cooperazione, la capacità di fare qualcosa a beneficio degli altri, le società animali non esisterebbero. E la nostra non è un’eccezione: dai gesti individuali sporadici alle società fondate proprio sulla cooperazione, l’altruismo è onnipresente in natura.</span></b></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: times; font-size: medium;"><b><span style="background-color: white;">Eppure, la vulgata vorrebbe proprio il contrario: nella lotta evolutiva gli egoisti dovrebbero sopraffare gli altruisti, che, dilapidando le proprie risorse, finiscono con l’estinguersi. Ci siamo allora messi anche noi a caccia di una risposta a questo dilemma che, dicevamo, spacca gli addetti ai lavori da </span><span style="background: rgb(255, 255, 255); border: 0px; margin: 0px; outline: 0px; padding: 0px; vertical-align: baseline;">Charles Darwin</span><span style="background-color: white;"> in poi. E siamo andati a chiedere risposte a un luminare doc: </span><span style="background: rgb(255, 255, 255); border: 0px; margin: 0px; outline: 0px; padding: 0px; vertical-align: baseline;">David Sloan Wilson</span><span style="background-color: white;">, eminente evoluzionista della Università di Binghamton - vicino a New York - autore di decine di pubblicazioni e di libri specialistici, che oggi ha deciso di presentare le sue tesi al grande pubblico in “L’altruismo. La cultura, la genetica e il benessere degli altri” (appena pubblicato da Bollati Boringhieri). E che, di fronte a un dibattito che pare non avere fine, ci rassicura: «La risposta è molto più semplice di quanto non sembri». Ovvero? Serve un passo indietro.</span></b></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: times; font-size: medium;"><b><span style="background-color: white;">Per oltre un secolo gli evoluzionisti hanno negato che l’altruismo esista: comportamenti all’apparenza altruisti sembravano in realtà avere motivazioni egoistiche. Se aiuto un familiare, sto solo aiutando la propagazione dei miei stessi geni, i veri motori dell’evoluzione nell’ottica del “Gene egoista” che ha reso famoso il biologo inglese </span><span style="background: rgb(255, 255, 255); border: 0px; margin: 0px; outline: 0px; padding: 0px; vertical-align: baseline;">Richard Dawkins</span><span style="background-color: white;"> alla fine degli anni Settanta del secolo scorso. Se aiuto un estraneo è perché mi aspetto un contraccambio. E così via.</span></b></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="background-color: white;"><span style="font-family: times; font-size: medium;"><b>Questi meccanismi però, obiettano da allora decine di studiosi, spiegano solo frammenti del variegato panorama dell’altruismo umano e animale. Perché, nei fatti, sia noi umani, sia i cugini primati che un numero infinito di altre specie che popolano il pianeta egoisti proprio non lo sono. Perché? Una risposta esauriente va cercata sempre in prospettiva evoluzionistica, è vero, ma per centrare il bersaglio bisogna allargare lo sguardo. Solo così si pongono le domande giuste, e si possono accantonare ipotesi e quesiti su cui si è affaccendata molta riflessione accademica e filosofica, che sono in realtà marginali.</b></span></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="background-color: white;"><span style="font-family: times; font-size: medium;"><b>A partire dalla domanda principe: cosa ci fa fare quello che facciamo? «Posso scegliere un gesto altruista perché lo trovo giusto, per guadagnarmi il paradiso, per la mia reputazione e per mille altre ragioni. Ma posso anche dire che tanti animali del deserto assumono il colore della sabbia, chi con un pigmento nel pelo, chi con un particolare tegumento e così via; e che, a prescindere da come accada, quel che conta è che li mimetizzi bene, aumentando le loro chance di riprodursi», spiega Wilson.</b></span></span></div><div><div style="text-align: justify;"><b style="font-family: times; font-size: large;"><span style="background-color: white;">Così tutto l’interrogarsi sulle ragioni del comportamento umano e animale, il cercare di distinguere il vero altruismo dal falso, è fuorviante: il punto cruciale è capire come l’altruismo aiuta a lasciare più figli e più geni nella generazione successiva. Che è la vera cifra del successo evolutivo. Per il quale scivola in secondo piano anche il grado di sacrificio richiesto: perdere due minuti per rispondere a un passante, o la vita per spegnere un incendio, sono gesti diversi nella misura, ma non nella natura di fondo: entrambi comportano un costo a vantaggio di un’altra persona.</span></b></div><span style="font-family: times; font-size: medium;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-weight: 700;"><br /></span></div><b><div style="text-align: justify;"><b><span style="background-color: white;">L’altruismo, insomma, non riguarda pensieri ed emozioni, ma azioni. E l’altruismo, nelle azioni che comporta, secondo Wilson, scaturisce dalla competizione fra i gruppi. Quindi, secondo lo studioso americano è sbagliato pensare all’evoluzione come a una competizione fra i geni o fra individui, ma bisogna estenderla a tutti i livelli: geni, cellule e gruppi in cui le varie parti lavorano insieme per una meta comune. E, spiega Wilson: quando diversi gruppi con distinte organizzazioni competono fra loro, quelli con più altruisti funzionano meglio e prosperano di più.</span></b></div></b></span></div><div><div style="text-align: justify;"><b style="font-family: times; font-size: large;"><span style="background-color: white;">È per questo che l’altruismo ha una chance: se la competizione fra i gruppi diviene più importante di quella interna a ciascun gruppo, e si afferma come forza evolutiva dominante, gli altruisti aumentano, nonostante entro ogni gruppo siano favoriti gli egoisti. «All’interno di un gruppo l’egoismo batte l’altruismo. Ma i gruppi altruisti battono i gruppi egoisti. Tutto il resto è commento», sintetizza Wilson.</span></b></div><span style="font-family: times; font-size: medium;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-weight: 700;"><br /></span></div><b><div style="text-align: justify;"><b><span style="background-color: white;">Per quanto convincente ed entusiasmante possa sembrare, tuttavia, l’idea di Wilson, va detto, è assai controversa. Molti biologi restano profondamente scettici su quanto siano i gruppi a guidare l’evoluzione più che gli individui. E gli scienziati litigano senza pietà non risparmiandosi accuse. D’altra parte, perché sorprendersi? In ballo c’è l’identità stessa della specie: il nostro cammino nel mondo è guidato dai geni egoisti o dallo slancio comunitario che ci ha resi quel che siamo?</span></b></div></b></span></div><div><div style="text-align: justify;"><b style="font-family: times; font-size: large;"><span style="background-color: white;">Wilson, tira in ballo mille creature del mondo animale: virus, insetti acquatici... E poi traccia diagrammi e flussi. Per argomentare con chiarezza le sue posizioni. «È una di quelle idee, come la visione copernicana del cosmo, che suscitano enormi resistenze. Ma poi, in retrospettiva, appaiono talmente ovvie che ci si chiede come mai ci sia voluto tanto ad arrivarci», osserva.</span></b></div><span style="font-family: times; font-size: medium;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-weight: 700;"><br /></span></div><b><div style="text-align: justify;"><b><span style="background-color: white;">La selezione naturale che guida l’evoluzione dei gruppi è un fattore così dominante, che il gruppo, organizzato e coeso, si comporta come un singolo organismo. Guardiamo alla storia della vita: così sono nate le nostre cellule, gli organismi pluricellulari, le colonie di insetti sociali come api e formiche che formano più di metà della biomassa di insetti del pianeta. E così hanno preso forma le società umane, che hanno molti tratti del superorganismo.</span></b></div></b></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: times; font-size: medium;"><b><span style="background-color: white;">Naturalmente le nostre comunità non sono alveari e la lotta evolutiva si gioca su altri terreni. Le sue regole, spiega Wilson, sono quelle delineate da </span><span style="background: rgb(255, 255, 255); border: 0px; margin: 0px; outline: 0px; padding: 0px; vertical-align: baseline;">Elinor Ostrom</span><span style="background-color: white;">, la prima donna ad avere vinto un Premio Nobel per l’economia (nel 2009). Cosa c’entra un Nobel per l’economia con le leggi dell’evoluzione? «All’inizio della mia carriera in economia dominava l’idea che “avido è bello”», ha spiegato la studiosa. «Siamo tutti Homo economicus, si sosteneva, atomi che devono pensare solo al proprio tornaconto personale, e la mano invisibile del mercato farà sì che, come per magia, ciò porti al bene comune. Ma più studiavo e più mi accorgevo che era una tesi del tutto infondata, ammantata di un’aura di autorevolezza dalle equazioni matematiche».</span></b></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="background-color: white;"><span style="font-family: times; font-size: medium;"><b>Oggi Wilson riconosce che l’idea della “mano invisibile” è ragionevole: una società può funzionare bene senza che i suoi membri si preoccupino espressamente del benessere comune. Ma si preoccupa, da evoluzionista, di spiegare che questo accade solo in condizioni molto particolari, come quelle individuate da Elinor Ostrom, appunto. È stata lei a dimostrare che i gruppi sono capaci di gestire le risorse comuni senza depredarle, ma solo se rispettano precise condizioni: otto principi che creano un’organizzazione tale da rendere svantaggiosi i comportamenti egoistici individuali, che porterebbero al loro rapido depauperamento, garantendo che le azioni per il bene comune vincano la gara darwiniana. Come?</b></span></span></div><div><div style="text-align: justify;"><b style="font-family: times; font-size: large;"><span style="background-color: white;">Partendo dalla salvaguardia della risorsa, vantaggiosa rispetto allo sfruttamento egoistico indiscriminato, che il gruppo deve saper valutare, come deve valutare perché la si vuole utilizzare. Serve poi saper calibrare i diversi contributi e le ragioni che portano i singoli ad occupare le posizioni d’alto rango, prevenendo disparità ingiustificate. Così come servono scelte collettive e un monitoraggio capace di prevenire lo sfruttamento eccessivo o abusivo. Servono meccanismi che regolino le sanzioni e risolvano rapidamente ed equamente i conflitti. Se il gruppo è parte di un sistema sociale più ampio, tra i gruppi principali deve esistere un adeguato coordinamento. E la comunità si comporterà così come un vero organismo.</span></b></div><span style="font-family: times; font-size: medium;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-weight: 700;"><br /></span></div><b><div style="text-align: justify;"><b><span style="background-color: white;">Nei millenni solo pochissimi modelli sociali, fra i tanti sperimentati, hanno vinto la gara evolutiva perché garantiscono che l’egoismo dei livelli inferiori non distrugga il bene comune. «E l’egoismo individuale sfrenato è pericoloso. Si è imposto in questi decenni a spese della società, non a suo vantaggio, come un cancro prolifera a spese dell’organismo».</span></b></div></b></span></div><div><div style="text-align: justify;"><b style="font-family: times; font-size: large;"><span style="background-color: white;">La visione delle comunità come organismi, invece, ha una lunga storia filosofica e religiosa. Come spiega Wilson: «Oggi ci suona strana, colpa del fatto che dalla metà Novecento ha prevalso un dogma individualista che vuole spiegare tutto in funzione dei comportamenti del singolo, culminato nell’era di Margaret Thatcher che asseriva: “La società non esiste. Esistono gli individui, uomini e donne, ed esistono le famiglie”. Una visione che oggi mostra tutti i suoi limiti, a partire dalla gestione dei beni comuni planetari. Per far funzionare le società dobbiamo cambiare paradigma e tornare a vederle come organismi, ma nella nuova ottica evolutiva».</span></b></div><span style="font-family: times; font-size: medium;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-weight: 700;"><br /></span></div><b><div style="text-align: justify;"><b><span style="background-color: white;">E vedendola da questo punto di vista non sorprende che i meccanismi concreti attraverso i quali prendono forma gli otto principi di Elinor Ostrom siano molto diversi da cultura a cultura: come per i colori mimetici nel deserto, quel che conta è che funzionino. Fino all’estremo. «Se i meccanismi psicologici egoistici sono più efficaci nel promuovere azioni utili agli altri, </span><span style="background-color: white;">ben venga l’egoismo», afferma Wilson.</span></b></div></b></span></div><span style="font-family: times; font-size: medium;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-weight: 700;"><br /></span></div><div style="font-weight: bold; text-align: justify;"><b><span style="background-color: white;">Resta allora da chiedersi: quali sono i meccanismi che funzionano? Risposta: «Sono quelle condizioni che appartengono all’identità e alle culture di Homo sapiens. Sono, ad esempio, il senso della giustizia e la disponibilità a pagare un prezzo per punire chi imbroglia, oltre che a definire le strutture sociali per metterli in atto. Ma solo da pochi decenni alcuni economisti hanno iniziato a studiare come attore economico Homo sapiens anziché l’inesistente Homo economicus».</span></b></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-weight: 700;"><br /></span></div><span style="background-color: white; font-weight: bold;"><div style="text-align: justify;">Perché, in fondo, quel che preme al biologo evoluzionista, è la salvezza della specie che egli vede legata a quella del pianeta. Tanto che gli pare decisamente che la sfida cruciale per l’umanità oggi sia quella di darsi strutture capaci di governare le sfide di livello planetario. Qui non si può più contare sulla selezione: non abbiamo tante umanità che competano ciascuna col suo modello di governance mondiale, per vedere qual è il più adatto a controllare l’egoismo sfrenato di Stati, aziende e altre entità di livello inferiore. «Ma ciò non vuol dire che la sfida non possa essere vinta. Solo che stavolta, con studi teorici e prove su piccola scala, andando per tentativi ed errori, i selezionatori dovremo essere noi».</div></span></span>olosciencehttp://www.blogger.com/profile/07007258673266741468noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1907724209682187249.post-48386033416546639772020-10-24T01:42:00.004-07:002020-10-24T01:42:59.294-07:00Aenigmachanna gollum: il mostruoso pesce con testa di serpente scoperto in India. <p></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgD7L99iNa0TNRD7x_nSDdWxELznyvp5L05YxcJcxBn7ZamwNk3ZmUCBdrVpE82XlOTpmty14wGnjv27UNEurjNU483KCrDhVB6gHR5JOATJTPAOAG0a8BNp5Qe0DqMrO6qXSCNXhyphenhyphenfR1si/s500/pesce.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="282" data-original-width="500" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgD7L99iNa0TNRD7x_nSDdWxELznyvp5L05YxcJcxBn7ZamwNk3ZmUCBdrVpE82XlOTpmty14wGnjv27UNEurjNU483KCrDhVB6gHR5JOATJTPAOAG0a8BNp5Qe0DqMrO6qXSCNXhyphenhyphenfR1si/s320/pesce.jpg" width="320" /></a></div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">Fonte: <a href="https://www.scienzenotizie.it/2020/10/14/aenigmachanna-gollum-il-mostruoso-pesce-con-testa-di-serpente-scoperto-in-india-4040877">Scienzenotizie.it</a></div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">-----------------------------</div><p></p><h4 style="background-color: white; clear: both; font-family: "Open Sans"; font-size: 18px; line-height: 1.2em; margin: 1em 0px 0.5em; overflow-wrap: break-word; padding: 0px;">Si tratta di un’antichissima famiglia di pesci che ha raggiunto l’India con la separazione del subcontinente indiano dal supercontinente Gondwana. </h4><div style="text-align: justify;"><b><span style="font-family: times; font-size: medium;"><span style="background-color: white;">Una nuova famiglia di pesci è stata scoperta da un team di studiosi in una ricerca pubblicata sulla rivista </span><span style="background-color: white; margin: 0px; overflow-wrap: break-word; padding: 0px;">Scientific Reports</span><span style="background-color: white;">. Si tratta di un ”</span><span style="background-color: white; margin: 0px; overflow-wrap: break-word; padding: 0px;">pesce osse</span><span style="background-color: white;">o” che vive tra le rocce sotterranee nella fascia costiera del </span><span style="background-color: white; margin: 0px; overflow-wrap: break-word; padding: 0px;">Ghati occidentale.</span><span style="background-color: white;"> Sono dieci le specie di pesce individuate, prima della scoperta nell’area, con la prima già descritta in uno studio del </span><span style="background-color: white; margin: 0px; overflow-wrap: break-word; padding: 0px;">1950</span><span style="background-color: white;">. La nuova specie, conosciuta con il nome di </span><span style="background-color: white; margin: 0px; overflow-wrap: break-word; padding: 0px;">Aenigmachanna gollum</span><span style="background-color: white;">, deve il suo nome a </span><span style="background-color: white; margin: 0px; overflow-wrap: break-word; padding: 0px;">Gollum</span><span style="background-color: white;">, il personaggio del</span><span style="background-color: white; margin: 0px; overflow-wrap: break-word; padding: 0px;"> Signore degli Anelli</span><span style="background-color: white;"> che si nasconde nelle grotte. La parte anteriore del pesce, almeno nella parte esterna, sembra quella di una </span><span style="background-color: white; margin: 0px; overflow-wrap: break-word; padding: 0px;">testa di serpente</span><span style="background-color: white;">; un particolare affascinante e che ha stuzzicato la curiosità degli appassionati di tutto il mondo. L’identificazione di una nuova specie è dovuta ad una serie di ricerche tomografiche computerizzate, oltre alla classica</span><span style="background-color: white; margin: 0px; overflow-wrap: break-word; padding: 0px;"> indagine genetica</span><span style="background-color: white;">. Attraverso questa serie di studi, gli esperti hanno indivuato varie differenze tra il pesce scoperto nella nuova ricerca con gli altri pesci a “testa di serpente” che compongono la famiglia Channidae. </span></span></b></div><div style="text-align: justify;"><b><span style="font-family: times; font-size: medium;"><span style="background-color: white;">Una delle caratteristiche più sorprendenti della ”nuova” specie è la presenza di una </span><span style="background-color: white; margin: 0px; overflow-wrap: break-word; padding: 0px;">vescica natatoria accorciata,</span><span style="background-color: white;"> in grado di prolungarsi fino al centro del corpo e l’assenza di un organo respiratorio accessorio: “</span><em style="background-color: white; margin: 0px; overflow-wrap: break-word; padding: 0px;">Le difformità morfologiche e genetiche sono sufficienti per giustificare l’indicazione dell’Aenigmachanna gollum ad una nuova famiglia: l’Aenigmachannidae</em><span style="background-color: white;">”. Il pesce si caratterizza per una lunghezza di circa dieci centimetri, ha un </span><span style="background-color: white; margin: 0px; overflow-wrap: break-word; padding: 0px;">corpo snello </span><span style="background-color: white;">e popola le falde acquifere; importanti riserve d’acqua sotterranee dalle quali i locali estraggono l’acqua da oltre sei milioni di pozzi. Secondo le ricerche, la nuova famiglia si è separata, nel corso dell’evoluzione, dagli </span><span style="background-color: white; margin: 0px; overflow-wrap: break-word; padding: 0px;">Channidae </span><span style="background-color: white;">tra 34 e i 109 milioni di anni fa. </span><em style="background-color: white; margin: 0px; overflow-wrap: break-word; padding: 0px;">“E’ probabile che gli Aenigmachannidae siano un lignaggio evolutivo sopravvissuto alla disgregazione del supercontinente Gondwana oltre 100 milioni di anni fa e si sia diretto verso nord insieme al subcontinente dell’India</em><span style="background-color: white;">”, aggiunge l’il team di studiosi che ha sottolineato come il rischio di estinzione della famiglia risulta piuttosto alto per l’attività di estrazione dell’acqua che vede da anni protagoniste le popolazioni locali.</span></span></b></div>olosciencehttp://www.blogger.com/profile/07007258673266741468noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1907724209682187249.post-70248563681901153892020-10-24T01:31:00.003-07:002020-10-24T01:34:33.529-07:00Bioplastica tossica come la normale plastica? Lo suggerisce un nuovo studio.<p> </p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi2gKiMHur1_NJ3UJLjs5qbwSnbvWCfFRYEBnTOHeYbVAHO3dKeqNu1mE683vxxWpQnLODbVUbUXYzjwKqjg6vCgOzWQXXQGeWiQ0B5H1cvV1h_h8N0CwWwro9RNIIRuCzFa6QG2faBfFRu/s1280/bioplastica-1.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="503" data-original-width="1280" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi2gKiMHur1_NJ3UJLjs5qbwSnbvWCfFRYEBnTOHeYbVAHO3dKeqNu1mE683vxxWpQnLODbVUbUXYzjwKqjg6vCgOzWQXXQGeWiQ0B5H1cvV1h_h8N0CwWwro9RNIIRuCzFa6QG2faBfFRu/s320/bioplastica-1.jpg" width="320" /></a></div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">Fonte: <a href="https://notiziescientifiche.it/bioplastica-tossica-come-la-normale-plastica-lo-suggerisce-nuovo-studio/">Notiziescientifiche.it</a></div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">----------------------------------</div><div class="separator" style="clear: both; text-align: justify;"><b><span style="font-family: times;"><span style="background-color: white; font-size: 18px; text-align: start;">Le cosiddette “bioplastiche” già da qualche anno si stanno facendo strada proponendosi come alternativa più “verde” e sostenibile per la normale plastica. Un nuovo studio, pubblicato su </span><em style="background-color: white; border: 0px; font-size: 18px; font-stretch: inherit; font-variant-east-asian: inherit; font-variant-numeric: inherit; line-height: inherit; margin: 0px; padding: 0px; text-align: start; vertical-align: baseline;">Environment International</em><span style="background-color: white; font-size: 18px; text-align: start;">, mostra però che anche le bioplastiche possono rivelarsi tossiche. Anzi la plastica fatta su base biologica, quella biodegradabile, non risulta più sicura delle altre plastiche, come spiega chiaramente Lisa Zimmermann dell’Università tute di Francoforte.</span></span></b></div><p></p><p style="background-color: white; border: 0px; font-size: 18px; font-stretch: inherit; font-variant-east-asian: inherit; font-variant-numeric: inherit; line-height: inherit; margin: 0px 0px 0.5rem; padding: 0px; vertical-align: baseline;"></p><div style="text-align: justify;"><b><span style="font-family: times;">La Zimmermann, che è anche l’autrice principale dello studio, spiega che, durante le analisi che lei il suo team hanno condotto, questi prodotti a base di cellulosa e amido mostravano di poter contenere gran parte delle sostanze chimiche che contengono le plastiche normali. Anzi, in alcune particolari condizioni di laboratorio, innescavano delle reazioni tossiche anche più forti.</span></b></div><b><div style="text-align: justify;"><b><span style="font-family: times;">“Tre su quattro di questi prodotti in plastica contengono sostanze che sappiamo essere pericolose in condizioni di laboratorio, le stesse della plastica convenzionale”, spiega Martin Wagner, un professore del Dipartimento di Biologia dell’Università Norvegese di Scienza e Tecnologia che ha partecipato allo studio.</span></b></div></b><p></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: justify;"><p style="background-color: white; border: 0px; font-size: 18px; font-stretch: inherit; font-variant-east-asian: inherit; font-variant-numeric: inherit; line-height: inherit; margin: 0px 0px 0.5rem; padding: 0px; text-align: start; vertical-align: baseline;"></p><div style="text-align: justify;"><b><span style="font-family: times;">Secondo gli stessi ricercatori, lo studio rappresenta l’indagine più grande realizzata fino ad oggi fatta sulle sostanze chimiche presenti nelle bioplastiche e in tutte quelle plastiche fatte con materiali di origine vegetale. Queste sostanze possono essere tossiche in due modi, come hanno verificato i ricercatori in laboratorio: direttamente per le cellule oppure agendo come “ormoni” e quindi disturbando l’equilibrio di alcune funzioni del corpo.</span></b></div><b><div style="text-align: justify;"><b><span style="font-family: times;">Alcune delle plastiche analizzate contenevano così tanti composti chimici che praticamente risulta impossibile tenere traccia di ogni possibile effetto nocivo sul corpo umano di ogni singolo composto. Quello che è certo è che le conseguenze delle plastiche e delle bioplastiche sul corpo umano non sono ancora definite del tutto, o meglio, non è ancora chiaro quali siano i limiti considerabili come “sicuri” per il corpo.</span></b></div></b><p></p><h2 style="background-color: white; border: 0px; font-family: "Open Sans", Helvetica, Arial, sans-serif; font-size: 1.3rem; font-stretch: inherit; font-variant-east-asian: inherit; font-variant-numeric: inherit; line-height: 1.3; margin: 1em 0px 0.5rem; padding: 0px; text-align: start; vertical-align: baseline;">Approfondimenti</h2><ul style="background-color: white; border: 0px; font-family: "Open Sans", Helvetica, Arial, sans-serif; font-size: 18px; font-stretch: inherit; font-variant-east-asian: inherit; font-variant-numeric: inherit; line-height: inherit; list-style: square; margin: 0px 0px 20px 20px; padding: 0px; text-align: start; vertical-align: baseline;"><li style="border: 0px; font-family: inherit; font-size: inherit; font-stretch: inherit; font-style: inherit; font-variant: inherit; font-weight: inherit; line-height: 1.2em; margin: 0px 0px 5px 1px; padding: 0px; vertical-align: baseline;"><a href="https://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S0160412020320213?via%3Dihub" rel="nofollow" style="border: 0px; color: green; font: inherit; margin: 0px; padding: 0px; text-decoration-line: none; vertical-align: baseline;">Are bioplastics and plant-based materials safer than conventional plastics? In vitro toxicity and chemical composition – ScienceDirect</a> (<a href="https://web.archive.org/web/*/https://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S0160412020320213?via%3Dihub" rel="nofollow" style="border: 0px; color: green; font: inherit; margin: 0px; padding: 0px; text-decoration-line: none; vertical-align: baseline;" title="La pagina non è più disponibile? Cercala su Internet Archive">IA</a>) (DOI: 10.1016/j.envint.2020.106066)</li></ul></div>olosciencehttp://www.blogger.com/profile/07007258673266741468noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1907724209682187249.post-24817186128707106442020-10-23T07:42:00.006-07:002020-10-23T07:44:34.371-07:00Perché alcune persone hanno un’arteria in più nel braccio? <p></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiY7dVbRdzgzydsEs6AWyiQ8oBX25hoOcNfDSjwOAw-LEgwlYurm4KbivlZGi7i1tR3zUt35vOiK2HL_tZZepD1uxEEYR4qP6anpvAFzbAeUOrbXHAXnfDTRy_0rSudAZMFvcYJxXxPQgwm/s696/braccio.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="377" data-original-width="696" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiY7dVbRdzgzydsEs6AWyiQ8oBX25hoOcNfDSjwOAw-LEgwlYurm4KbivlZGi7i1tR3zUt35vOiK2HL_tZZepD1uxEEYR4qP6anpvAFzbAeUOrbXHAXnfDTRy_0rSudAZMFvcYJxXxPQgwm/s320/braccio.jpg" width="320" /></a></div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">Fonte: <a href="https://www.galileonet.it/evolvendo-arteria-piu/">Galileonet.it</a></div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">-------------------------</div><div class="separator" style="clear: both; text-align: justify;"><span style="font-family: times; font-size: medium;"><b><span style="background-color: white; color: #222222; text-align: start;">Oltre alle arterie ulnali e radiali, nelle nostra braccia potrebbe scorrere un’</span><span style="background-color: white; box-sizing: border-box; color: #222222; text-align: start;">arteria</span><span style="background-color: white; color: #222222; text-align: start;"> in più. A raccontarlo sulle pagine del </span><span style="background-color: white; box-sizing: border-box; color: #222222; text-align: start;"><a href="https://onlinelibrary.wiley.com/doi/epdf/10.1111/joa.13224" rel="noreferrer noopener" style="background-color: transparent; box-sizing: border-box; color: #4db2ec; text-decoration-line: none;" target="_blank">Journal of Anatomy</a></span><span style="background-color: white; color: #222222; text-align: start;"> sono stati i ricercatori della Flinders University e della University of Adelaide, che concentrandosi sui cambiamenti anatomici nel corso del tempo hanno osservato come molte persone abbiano un vaso sanguigno in più nel braccio, chiamato </span><span style="background-color: white; box-sizing: border-box; color: #222222; text-align: start;">arteria mediana</span><span style="background-color: white; color: #222222; text-align: start;">, e che in poco tempo questa caratteristica potrebbe diventare sempre più comune. Un tratto che, spiegano i ricercatori, evidenzia come la nostra </span><span style="background-color: white; box-sizing: border-box; color: #222222; text-align: start;">specie</span><span style="background-color: white; color: #222222; text-align: start;"> si stia ancora </span><a href="https://www.galileonet.it/evoluzione-specie-umana-oggi/" rel="noreferrer noopener" style="background-color: white; box-sizing: border-box; color: #4db2ec; text-align: start; text-decoration-line: none;" target="_blank">evolvendo</a><span style="background-color: white; color: #222222; text-align: start;">. </span></b></span></div><div class="separator" style="clear: both; text-align: justify;"><span style="font-family: times; font-size: medium;"><b><span style="background-color: white; color: #222222; text-align: start;">Per capirlo, il team di ricercatori ha per prima cosa esaminato 80 arti di cadaveri (di età compresa tra i 50 e i 100 anni), annotando quante volte era presente l’</span><span style="background-color: white; box-sizing: border-box; color: #222222; text-align: start;">arteria mediana</span><span style="background-color: white; color: #222222; text-align: start;">. Mettendo poi a paragone queste informazioni con i dati disponibili in letteratura, il team ha scoperto che questa caratteristica era tre volte più </span><span style="background-color: white; box-sizing: border-box; color: #222222; text-align: start;">diffusa</span><span style="background-color: white; color: #222222; text-align: start;"> negli adulti di oggi rispetto a quelli vissuti un secolo fa. Sebbene lo studio non sia ancora riuscito a spiegarne il motivo, la presenza dell’arteria mediana potrebbe essere il segnale che le forze dell’</span><span style="background-color: white; box-sizing: border-box; color: #222222; text-align: start;"><a href="https://www.galileonet.it/dna-geni-guida-principianti-barbujiani/" rel="noreferrer noopener" style="background-color: transparent; box-sizing: border-box; color: #4db2ec; text-decoration-line: none;" target="_blank">evoluzione</a></span><span style="background-color: white; color: #222222; text-align: start;"> stiano ancora agendo sulla nostra specie. In altre parole, commentano i ricercatori, la </span><span style="background-color: white; box-sizing: border-box; color: #222222; text-align: start;">selezione naturale</span><span style="background-color: white; color: #222222; text-align: start;"> sta in qualche modo favorendo questa caratteristica, e quindi, le persone che presentano questo vaso sanguigno in più.</span></b></span></div><div class="separator" style="clear: both; text-align: justify;"><span style="font-family: times; font-size: medium;"><b><span style="background-color: white; color: #222222; text-align: start;">L’arteria mediana ovviamente non è del tutto </span><em style="background-color: white; box-sizing: border-box; color: #222222; text-align: start;">nuova</em><span style="background-color: white; color: #222222; text-align: start;">, né apparsa dal nulla. </span></b></span></div><div class="separator" style="clear: both; text-align: justify;"><span style="font-family: times; font-size: medium;"><b><span style="background-color: white; color: #222222; text-align: start;">Questo vaso ha il compito di trasportare il </span><span style="background-color: white; box-sizing: border-box; color: #222222; text-align: start;"><a href="https://www.galileonet.it/cellule-sangue-come-si-rigenerano-staminali-midollo/" rel="noreferrer noopener" style="background-color: transparent; box-sizing: border-box; color: #4db2ec; text-decoration-line: none;" target="_blank">sangue</a></span><span style="background-color: white; color: #222222; text-align: start;"> nel braccio, si forma nelle primissime fasi del nostro sviluppo, per scomparire successivamente ed essere sostituita dalle </span><span style="background-color: white; box-sizing: border-box; color: #222222; text-align: start;">arterie ulnari e radiali</span><span style="background-color: white; color: #222222; text-align: start;">. Dai risultati dello studio, tuttavia, è emerso che l’arteria non scompare più come in passato, ma anzi, sempre più persone la mantengono insieme alle altre arterie dell’avambraccio. “Dal Diciottesimo secolo, gli anatomisti hanno osservato la presenza di questa arteria negli adulti e il nostro studio mostra che è chiaramente in aumento tra la popolazione”, commenta l’autore </span><span style="background-color: white; box-sizing: border-box; color: #222222; text-align: start;">Teghan Lucas</span><span style="background-color: white; color: #222222; text-align: start;">. “Nelle persone nate a metà del 1880 la frequenza era di circa il 10%, mentre in quelle nate alla fine del ventesimo secolo è salita al 30%. Si tratta, quindi, di un aumento significativo in un periodo di tempo abbastanza breve”. </span></b></span></div><div class="separator" style="clear: both; text-align: justify;"><b style="background-color: white; color: #222222; font-family: times; font-size: large;">Sebbene lo studio non sia ancora riuscito a individuare il motivo per cui sempre più persone mantengono in età adulta l’arteria mediana, l’ipotesi principale è che avere un vaso sanguigno in più potrebbe aumentare l’afflusso di sangue nel braccio. Quel che è certo, concludono i ricercatori, è che questo è un altro piccolo segnale, insieme alla ricomparsa dell’osso del ginocchio chiamato <span style="box-sizing: border-box;">fabella</span> o la scomparsa dei <a href="https://www.galileonet.it/staminali-dai-denti-del-giudizio/" rel="noreferrer noopener" style="background-color: transparent; box-sizing: border-box; color: #4db2ec; text-decoration-line: none;" target="_blank"><span style="box-sizing: border-box;">denti del giudizio</span></a>, dell’<span style="box-sizing: border-box;">evoluzione</span>. Secondo le stime dei ricercatori, inoltre, se la tendenza continuerà a questi ritmi, è probabile che in breve tempo aver un’arteria in più diventerà molto comune. “Se questa tendenza continua, la maggior parte delle persone adulte la avrà entro il <span style="box-sizing: border-box;">2100</span>”, conclude l’esperto. </b></div><p></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: justify;"><p style="background-color: white; box-sizing: border-box; color: #222222; font-family: Verdana, Geneva, sans-serif; font-size: 15px; line-height: 1.74; margin-bottom: 26px; margin-top: 0px; overflow-wrap: break-word; text-align: start;">Riferimenti: <a href="https://onlinelibrary.wiley.com/doi/epdf/10.1111/joa.13224" rel="noreferrer noopener" style="background-color: transparent; box-sizing: border-box; color: #4db2ec; text-decoration-line: none;" target="_blank">Journal of Anatomy</a></p></div>olosciencehttp://www.blogger.com/profile/07007258673266741468noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1907724209682187249.post-27226605281823067972020-10-23T07:24:00.002-07:002020-10-23T07:24:12.549-07:00Materiali bidimensionali: nuova sostanza “magica” per controllare bordi spessi solo un atomo.<p></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgSRX0IvytmwHb6AeEFOHLAoDKe9bC1NSQfi7Cef9pBdkxuOijHULP331Xzxa-rYCOh0gIshhUnI4sjLP_vtXlG9OUJoCNjH8I_vYJBsS_GIcVGJOSRMsZ3m027DU6uVF8tiN4DwqN6NIeW/s678/materiali-bidimensionali-bordi.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="381" data-original-width="678" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgSRX0IvytmwHb6AeEFOHLAoDKe9bC1NSQfi7Cef9pBdkxuOijHULP331Xzxa-rYCOh0gIshhUnI4sjLP_vtXlG9OUJoCNjH8I_vYJBsS_GIcVGJOSRMsZ3m027DU6uVF8tiN4DwqN6NIeW/s320/materiali-bidimensionali-bordi.jpg" width="320" /></a></div><div style="text-align: center;">Fonte: <a href="https://notiziescientifiche.it/materiali-bidimensionali-nuova-sostanza-magica-per-controllare-bordi-spessi-solo-un-atomo/">Notiziescientifiche.it</a></div><div style="text-align: center;">----------------------------------</div><div style="text-align: center;"><div style="text-align: justify;"><b><span style="font-family: times;"><span style="background-color: white; font-size: 18px; text-align: start;">Una sostanza chimica “magica” per ottenere un controllo più efficiente e mai avuto prima sui bordi dei cosiddetti materiali bidimensionali è stato sviluppato da un team di ricercatori dell’Università di Tecnologia Chalmers , Svezia. Si parla di un passo avanti importante nel campo in quanto questo nuovo metodo consente praticamente di controllare e poter modificare i bordi di questi materiali spessi solo un atomo in maniera facile e scalabile. </span><span style="background-color: white; font-size: 18px; text-align: start;">Si utilizzano sostanze chimiche ecocompatibili, tra cui il perossido di idrogeno, e solo un livello di riscaldamento moderato, come spiega Battulga Munkhbat, unricercatore del Dipartimento di Fisica della Chalmers e autore principale dello studio.</span></span></b></div><div style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;"><span style="background-color: white; font-size: 18px; text-align: start;"><b><span style="font-family: times;">Come più spesso abbiamo accennato, i materiali sottili quanto un atomo, definiti un po’ erroneamente, se vogliamo, “materiali bidimensionali” , sono già da qualche anno rappresentati come i materiali del futuro. Tra di essi il più noto è sicuramente il grafene ma ci sono anche altri tra cui il bisolfuro di molibdeno, uno suo analogo semiconduttore. </span></b></span><b style="background-color: white; font-size: 18px;"><span style="font-family: times;">I vantaggi dei dispositivi costruiti con questi materiali possono essere moltissimi e sono collegati a varie loro caratteristiche ma questi stessi materiali non si stanno diffondendo per varie ragioni, tra cui ci sono anche i costi legati alla produzione.</span></b></div></div></div><p></p><p style="background-color: white; border: 0px; font-size: 18px; font-stretch: inherit; font-variant-east-asian: inherit; font-variant-numeric: inherit; line-height: inherit; margin: 0px 0px 0.5rem; padding: 0px; vertical-align: baseline;"></p><div style="text-align: justify;"><b><span style="font-family: times;">Una delle ragioni, però, è rappresentata anche da una loro caratteristica intrinseca: i loro bordi sono naturalmente sottilissimi (si parla di uno o due atomi di spessore) e dunque poco controllabili. Si tratta di un problema scientifico non di poco conto tanto che sta rallentando lo stesso progresso relativo ai materiali bidimensionali.</span></b></div><div style="text-align: justify;"><b><span style="font-family: times;">I bordi dei materiali bidimensionali possono esistere in due varianti: a zigzag oppure a poltrona. I primi possono essere sia metallici che ferromagnetici mentre i secondi sono semiconduttori e non magnetici.</span></b></div><div style="text-align: justify;"><b><span style="font-family: times;">I ricercatori hanno scoperto una sostanza chimica che, sotto forma di normale perossido di idrogeno, riesce a rimuovere il materiale indesiderato dai bordi atomo per atomo producendo un bordo nitido a livello atomico. In questo modo si possono creare bordi perfetti nei materiali bidimensionali.</span></b></div><p></p><div style="text-align: center;"><div style="text-align: justify;"><p style="background-color: white; border: 0px; font-size: 18px; font-stretch: inherit; font-variant-east-asian: inherit; font-variant-numeric: inherit; line-height: inherit; margin: 0px 0px 0.5rem; padding: 0px; text-align: justify; vertical-align: baseline;"><b><span style="font-family: times;">“Questo metodo apre possibilità nuove e senza precedenti per i materiali di van der Waals (materiali 2D stratificati). Ora possiamo combinare la fisica dei bordi con la fisica 2D in un unico materiale. Si tratta di uno sviluppo estremamente affascinante”, spiega Timur Shegai, un professore associato di fisica alla Chalmers nonché uno dei responsabili del progetto di studio.</span></b></p><p style="background-color: white; border: 0px; font-size: 18px; font-stretch: inherit; font-variant-east-asian: inherit; font-variant-numeric: inherit; line-height: inherit; margin: 0px 0px 0.5rem; padding: 0px; text-align: justify; vertical-align: baseline;"><b><span style="font-family: times;">Ora i ricercatori hanno creato anche una start-up per offrire più facilmente questa nuova tecnologia ai laboratori e alle aziende high-tech ma intendono sviluppare e migliorare ancora di più questo metodo per rendere i bordi di questi metamateriali ancora più nitidi e ancora più facilmente modificabili.</span></b></p><h2 style="background-color: white; border: 0px; font-family: "Open Sans", Helvetica, Arial, sans-serif; font-size: 1.3rem; font-stretch: inherit; font-variant-east-asian: inherit; font-variant-numeric: inherit; line-height: 1.3; margin: 1em 0px 0.5rem; padding: 0px; text-align: start; vertical-align: baseline;">Approfondimenti</h2><ul style="background-color: white; border: 0px; font-family: "Open Sans", Helvetica, Arial, sans-serif; font-size: 18px; font-stretch: inherit; font-variant-east-asian: inherit; font-variant-numeric: inherit; line-height: inherit; list-style: square; margin: 0px 0px 20px 20px; padding: 0px; text-align: start; vertical-align: baseline;"><li style="border: 0px; font-family: inherit; font-size: inherit; font-stretch: inherit; font-style: inherit; font-variant: inherit; font-weight: inherit; line-height: 1.2em; margin: 0px 0px 5px 1px; padding: 0px; vertical-align: baseline;"><a href="https://www.nature.com/articles/s41467-020-18428-2" rel="nofollow" style="border: 0px; color: green; font: inherit; margin: 0px; padding: 0px; text-decoration-line: none; vertical-align: baseline;">Transition metal dichalcogenide metamaterials with atomic precision | Nature Communications</a> (<a href="https://web.archive.org/web/*/https://www.nature.com/articles/s41467-020-18428-2" rel="nofollow" style="border: 0px; color: green; font: inherit; margin: 0px; padding: 0px; text-decoration-line: none; vertical-align: baseline;" title="La pagina non è più disponibile? Cercala su Internet Archive">IA</a>) (DOI: 10.1038/s41467-020-18428-2 )</li></ul><h2 style="background-color: white; border: 0px; font-family: "Open Sans", Helvetica, Arial, sans-serif; font-size: 1.3rem; font-stretch: inherit; font-variant-east-asian: inherit; font-variant-numeric: inherit; line-height: 1.3; margin: 1em 0px 0.5rem; padding: 0px; text-align: start; vertical-align: baseline;">Articoli correlati</h2><ul style="background-color: white; border: 0px; font-family: "Open Sans", Helvetica, Arial, sans-serif; font-size: 18px; font-stretch: inherit; font-variant-east-asian: inherit; font-variant-numeric: inherit; line-height: inherit; list-style: square; margin: 0px 0px 20px 20px; padding: 0px; text-align: start; vertical-align: baseline;"><li style="border: 0px; font-family: inherit; font-size: inherit; font-stretch: inherit; font-style: inherit; font-variant: inherit; font-weight: inherit; line-height: 1.2em; margin: 0px 0px 5px 1px; padding: 0px; vertical-align: baseline;"><a data-aalisten="1" href="https://notiziescientifiche.it/nanotecnologia-nuova-tecnica-di-nanostrutturazione-potrebbe-rivoluzionare-settore/" style="border: 0px; color: green; font-family: inherit; font-stretch: inherit; font-style: inherit; font-variant: inherit; font-weight: inherit; line-height: inherit; margin: 0px; padding: 0px; text-decoration-line: none; vertical-align: baseline;" title="Un team di ricercatori, in uno studio pubblicato su ACS Nano, spiega di avere raggiunto un interessante risultato per quanto riguarda la nanotecnologia. 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Si tratta delle prime <span style="box-sizing: border-box;">sinapsi artificiali</span>, appena messe a punto dai ricercatori del laboratorio di Tissue Electronics dell’Istituto italiano di tecnologia, in collaborazione con l’università di Eindhoven e l’università di Stanford. Nel loro <a href="https://www.nature.com/articles/s41563-020-0703-y" rel="noreferrer noopener" style="background-color: transparent; box-sizing: border-box; color: #4db2ec; text-decoration-line: none;" target="_blank">studio</a>, appena pubblicato su <span style="box-sizing: border-box;">Nature Materials</span>, i ricercatori sono riusciti a dimostrare come questo primo modello di sinapsi artificiale bioibrida, ovvero composta da un’interfaccia biologica e una <span style="box-sizing: border-box;">piattaforma elettronica</span>, è capace di simulare il comportamento delle <a href="https://www.wired.it/scienza/medicina/2018/08/06/mappa-sinapsi-cervello/" rel="noreferrer noopener" style="background-color: transparent; box-sizing: border-box; color: #4db2ec; text-decoration-line: none;" target="_blank">connessioni nervose</a>, interagendo con le <span style="box-sizing: border-box;">cellule</span>.</b></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><p style="background-color: white; box-sizing: border-box; color: #222222; font-family: Verdana, Geneva, sans-serif; font-size: 15px; line-height: 1.74; margin-bottom: 26px; margin-top: 0px; overflow-wrap: break-word; text-align: justify;"><b>Ricordiamo che, nel <a href="https://www.wired.it/scienza/lab/2019/03/26/cervello-neuroni-eta-adulta/" rel="noreferrer noopener" style="background-color: transparent; box-sizing: border-box; color: #4db2ec; text-decoration-line: none;" target="_blank">sistema nervoso</a>, le <span style="box-sizing: border-box;">sinapsi</span> sono punti di connessione, ovvero hanno il compito di mettere in <a href="https://www.wired.it/scienza/lab/2019/02/18/neuroni-comunicazione-wireless/" rel="noreferrer noopener" style="background-color: transparent; box-sizing: border-box; color: #4db2ec; text-decoration-line: none;" target="_blank">comunicazione</a> il <span style="box-sizing: border-box;">neurone presinaptico</span> con quello <span style="box-sizing: border-box;">postsinaptico</span>, in modo tale da rendere possibile la trasmissione degli impulsi elettrochimici che compongono il segnale nervoso. Per realizzare le <span style="box-sizing: border-box;">sinapsi artificiali</span>, i ricercatori hanno scelto specifiche cellule di ratto in grado di assumere un comportamento simile a quello dei <a href="https://www.wired.it/scienza/medicina/2019/12/04/neuroni-artificiali-alzheimer/" rel="noreferrer noopener" style="background-color: transparent; box-sizing: border-box; color: #4db2ec; text-decoration-line: none;" target="_blank">neuroni</a> presinaptici, ossia quello di emettere il neurotrasmettitore <span style="box-sizing: border-box;">dopamina</span>. Le sinapsi, inoltre, sono caratterizzate dalla cosiddetta <a href="https://www.wired.it/scienza/lab/2018/06/25/regola-fondamentale-plasticita-cerebrale/" rel="noreferrer noopener" style="background-color: transparent; box-sizing: border-box; color: #4db2ec; text-decoration-line: none;" target="_blank"><span style="box-sizing: border-box;">plasticità cerebrale</span></a>, ossia sono in grado di adattarsi in base a cambiamenti dell’ambiente interno e esterno e di mantenere memoria di queste modifiche. Per simulare il <span style="box-sizing: border-box;">neurone postsinaptico</span>, quindi, il team ha realizzato un chip neuromorfico organico capace di conservare, in seguito a una stimolazione elettrica, una sorta di <span style="box-sizing: border-box;">memoria</span>, in un processo simili a quello dell’apprendimento.</b></p><p style="background-color: white; box-sizing: border-box; color: #222222; font-family: Verdana, Geneva, sans-serif; font-size: 15px; line-height: 1.74; margin-bottom: 26px; margin-top: 0px; overflow-wrap: break-word; text-align: justify;"><b>Analizzando le variazioni dell’attività elettrica, i ricercatori hanno osservato che il chip riesce a individuare la <a href="https://www.wired.it/scienza/medicina/2018/03/28/dopamina-alzheimer-memoria/" rel="noreferrer noopener" style="background-color: transparent; box-sizing: border-box; color: #4db2ec; text-decoration-line: none;" target="_blank"><span style="box-sizing: border-box;">dopamina</span></a> rilasciata dalle cellule (quelle che mimano il neurone presinaptico), e di conservare nel tempo lo stato di eccitamento alterato (chiamato appunto effetto memoria), dimostrando di essere riusciti a creare in laboratorio la <span style="box-sizing: border-box;">plasticità sinaptica</span>. “Ѐ la prima volta che un dispositivo elettronico neuromorfico viene direttamente interfacciato con un sistema cellulare per ottenere una piattaforma in grado di riprodurre la plasticità sinaptica a breve e a lungo termine”, spiega <span style="box-sizing: border-box;">Francesca Santoro</span>, coordinatrice del Tissue Electronics dell’Iit. “Prima di questo studio erano stati realizzati sistemi capaci di ricevere stimoli, ma non in grado di eccitarsi e mantenere l’eccitamento a loro volta”.</b></p><p style="background-color: white; box-sizing: border-box; color: #222222; font-family: Verdana, Geneva, sans-serif; font-size: 15px; line-height: 1.74; margin-bottom: 26px; margin-top: 0px; overflow-wrap: break-word; text-align: justify;"><b>I risultati del nuovo studio suggeriscono che la dinamica della connessione offerta dalle <span style="box-sizing: border-box;">sinapsi artificiali</span> è molto vicina a quella che avviene naturalmente tra due <span style="box-sizing: border-box;">neuroni</span> e forniscono, perciò, le basi e le informazioni utili per lo sviluppo di terapie e dispositivi medici sia nell’ambito delle <a href="https://www.wired.it/scienza/medicina/2019/10/01/stimolazione-magnetica-alzheimer-studi/" rel="noreferrer noopener" style="background-color: transparent; box-sizing: border-box; color: #4db2ec; text-decoration-line: none;" target="_blank"><span style="box-sizing: border-box;">malattie neurodegenerative</span></a>, in cui si verifica la perdita di connessione tra neuroni, sia nel caso di amputazioni. Questi dispositivi, infatti, potrebbero ripristinare o sostituire le <span style="box-sizing: border-box;">connessioni neuronali</span> danneggiate oppure, per le amputazioni, fare da ponte tra le terminazioni nervose biologiche preservate e i circuiti delle <a href="https://www.wired.it/attualita/tech/2019/02/05/mano-robotica-impiantata/" rel="noreferrer noopener" style="background-color: transparent; box-sizing: border-box; color: #4db2ec; text-decoration-line: none;" target="_blank">protesi artificiali robotiche</a>.</b></p></div>olosciencehttp://www.blogger.com/profile/07007258673266741468noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1907724209682187249.post-78919782750712658082020-10-22T11:13:00.001-07:002020-10-22T11:13:15.888-07:00Scoperta per caso nuova coppia di ghiandole salivari nella testa umana.<p> </p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhalQWrVVISa6KdZ4c-0rz5MGAFWj7gN1GsI3yU_1qYZbEB6-5DtHqX2WeOHMfEPmlQ8aIZT1yvWpc0CN8RZrzKlIIRzozqva57vyAH4vo4WXBdataLVv18XiZWrz-2UlUW9jVpJTbBnaUq/s678/ghiandole-salivari.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="381" data-original-width="678" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhalQWrVVISa6KdZ4c-0rz5MGAFWj7gN1GsI3yU_1qYZbEB6-5DtHqX2WeOHMfEPmlQ8aIZT1yvWpc0CN8RZrzKlIIRzozqva57vyAH4vo4WXBdataLVv18XiZWrz-2UlUW9jVpJTbBnaUq/s320/ghiandole-salivari.jpg" width="320" /></a></div><div style="text-align: center;">Fonte: <a href="https://notiziescientifiche.it/scoperta-per-caso-nuova-coppia-di-ghiandole-salivari-nella-testa-umana/">Notiziescientifiche.it</a></div><div style="text-align: center;">----------------------------------</div><div style="text-align: center;"><div style="text-align: justify;"><b><span style="font-family: times;"><span style="background-color: white; font-size: 18px; text-align: start;">Un piccolo studio, pubblicato su </span><em style="background-color: white; border: 0px; font-size: 18px; font-stretch: inherit; font-variant-east-asian: inherit; font-variant-numeric: inherit; line-height: inherit; margin: 0px; padding: 0px; text-align: start; vertical-align: baseline;">Radiotherapy and Oncology</em><span style="background-color: white; font-size: 18px; text-align: start;">, mostra che il corpo umano può ancora sorprendere in termini di scoperte anatomiche. Se pensate che ogni angolo o anfratto dell’interno del nostro corpo sia stato già analizzato, decifrato o anche solo scoperto, forse vi sbagliate.</span></span></b></div><span style="background-color: white; font-size: 18px; text-align: start;"><div style="text-align: justify;"><b><span style="font-family: times;">Come rileva il New York Times, che riprende il suddetto studio, un team di scienziati dei Paesi Bassi ha scoperto quello che dovrebbe essere una nuova coppia di ghiandole salivari. Queste ultime si trovano in un angolo nascosto della testa, in un incrocio in cui la cavità nasale si incontra con quella della gola. Questa sorgente del tutto nascosta di saliva sarebbe la prima scoperta di un organo interno del corpo umano (di queste dimensioni) dopo 300 anni quasi.</span></b></div></span></div><p></p><p style="background-color: white; border: 0px; font-size: 18px; font-stretch: inherit; font-variant-east-asian: inherit; font-variant-numeric: inherit; line-height: inherit; margin: 0px 0px 0.5rem; padding: 0px; vertical-align: baseline;"></p><div style="text-align: justify;"><b><span style="font-family: times;">Fino a questa scoperta, infatti, quello che si sapeva era che le coppie di ghiandole salivari all’interno dei nostri corpi erano solo tre: una vicino alle orecchie, una sotto la mascella e un’altra proprio sotto la lingua. Matthijs Valstar, un ricercatore dell’Istituto olandese per la ricerca sul cancro nonché uno degli autori principale dello studio, ritiene invece di aver individuato una quarta coppia.</span></b></div><div style="text-align: justify;"><b><span style="font-family: times;">Lo studio è limitato in quanto ha esaminato una popolazione di soggetti umani molto limitata, come ammette Valerie Fitzhugh, patologa dell’Università Rutgers che interviene sulla New York Times e che non ha partecipato allo studio. In ogni caso se questa scoperta venisse confermata cambierebbe l’approccio che oggi abbiamo riguardo a varie malattie in cui queste ghiandole sono coinvolte.</span></b></div><p></p><div style="text-align: center;"><p style="background-color: white; border: 0px; font-size: 18px; font-stretch: inherit; font-variant-east-asian: inherit; font-variant-numeric: inherit; line-height: inherit; margin: 0px 0px 0.5rem; padding: 0px; text-align: justify; vertical-align: baseline;"><b><span style="font-family: times;">Inizialmente i ricercatori dei Paesi Bassi non sono partiti cercando uno nuovo organo, men che meno un nuovo paio di ghiandole, e quindi sono rimasti loro per primi sorpresi quando hanno scoperto una nuova coppia di sottili ghiandole salivari lunghe circa 5 cm tutt’intorno ai “tubicini” che collegano le orecchie alla gola dopo aver cominciato a sezionare due cadaveri.</span></b></p><p style="background-color: white; border: 0px; font-size: 18px; font-stretch: inherit; font-variant-east-asian: inherit; font-variant-numeric: inherit; line-height: inherit; margin: 0px 0px 0.5rem; padding: 0px; text-align: justify; vertical-align: baseline;"><b><span style="font-family: times;">Questa nuova coppia, la quarta, è ben nascosta e molto poco accessibile e quindi il fatto che non sia stata mai scoperta potrebbe essere giustificabile.</span></b></p><p style="background-color: white; border: 0px; font-size: 18px; font-stretch: inherit; font-variant-east-asian: inherit; font-variant-numeric: inherit; line-height: inherit; margin: 0px 0px 0.5rem; padding: 0px; text-align: justify; vertical-align: baseline;"><b><span style="font-family: times;">Le ghiandole salivari svolgono un ruolo molto importante all’interno del corpo perché producono saliva (complessivamente ne producono più di un litro al giorno in un individuo sano). La stessa saliva serve in primis per lubrificare la bocca ma ha un ruolo importante anche per quanto riguarda l’emissione della voce e la deglutizione. Inoltre vanta anche dei rudimentali poteri curativi (può contrastare i microbi cattivi sulle ferite, per esempio).</span></b></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><span style="font-family: times;"><iframe allowfullscreen="" class="BLOG_video_class" height="266" src="https://www.youtube.com/embed/RHAyoQF09X4" width="320" youtube-src-id="RHAyoQF09X4"></iframe></span></div><div style="text-align: center;"><span style="font-family: times;"><br /></span></div><h2 style="background-color: white; border: 0px; font-size: 1.3rem; font-stretch: inherit; font-variant-east-asian: inherit; font-variant-numeric: inherit; line-height: 1.3; margin: 1em 0px 0.5rem; padding: 0px; text-align: left; vertical-align: baseline;"><span style="font-family: times;">Approfondimenti</span></h2><ul style="background-color: white; border: 0px; font-size: 18px; font-stretch: inherit; font-variant-east-asian: inherit; font-variant-numeric: inherit; line-height: inherit; list-style: square; margin: 0px 0px 20px 20px; padding: 0px; text-align: start; vertical-align: baseline;"><li style="border: 0px; font-size: inherit; font-stretch: inherit; font-style: inherit; font-variant: inherit; font-weight: inherit; line-height: 1.2em; margin: 0px 0px 5px 1px; padding: 0px; text-align: left; vertical-align: baseline;"><span style="font-family: times;"><a href="https://www.nytimes.com/2020/10/19/health/saliva-glands-new-organs.html" rel="nofollow" style="border: 0px; color: green; font-size: inherit; font-stretch: inherit; font-style: inherit; font-variant: inherit; font-weight: inherit; line-height: inherit; margin: 0px; padding: 0px; text-decoration-line: none; vertical-align: baseline;">Doctors May Have Found Secretive New Organs in the Center of Your Head – The New York Times</a> (<a href="https://web.archive.org/web/*/https://www.nytimes.com/2020/10/19/health/saliva-glands-new-organs.html" rel="nofollow" style="border: 0px; color: green; font-size: inherit; font-stretch: inherit; font-style: inherit; font-variant: inherit; font-weight: inherit; line-height: inherit; margin: 0px; padding: 0px; text-decoration-line: none; vertical-align: baseline;" title="La pagina non è più disponibile? Cercala su Internet Archive">IA</a>)</span></li><li style="border: 0px; font-size: inherit; font-stretch: inherit; font-style: inherit; font-variant: inherit; font-weight: inherit; line-height: 1.2em; margin: 0px 0px 5px 1px; padding: 0px; text-align: left; vertical-align: baseline;"><span style="font-family: times;"><a href="https://www.thegreenjournal.com/article/S0167-8140(20)30809-4/fulltext#%20" rel="nofollow" style="border: 0px; color: green; font-size: inherit; font-stretch: inherit; font-style: inherit; font-variant: inherit; font-weight: inherit; line-height: inherit; margin: 0px; padding: 0px; text-decoration-line: none; vertical-align: baseline;">The tubarial salivary glands: A potential new organ at risk for radiotherapy – Radiotherapy and Oncology</a> (<a href="https://web.archive.org/web/*/https://www.thegreenjournal.com/article/S0167-8140(20)30809-4/fulltext#%20" rel="nofollow" style="border: 0px; color: green; font-size: inherit; font-stretch: inherit; font-style: inherit; font-variant: inherit; font-weight: inherit; line-height: inherit; margin: 0px; padding: 0px; text-decoration-line: none; vertical-align: baseline;" title="La pagina non è più disponibile? Cercala su Internet Archive">IA</a>) (DOI: 10.1016/j.radonc.2020.09.034)</span></li></ul><h2 style="background-color: white; border: 0px; font-size: 1.3rem; font-stretch: inherit; font-variant-east-asian: inherit; font-variant-numeric: inherit; line-height: 1.3; margin: 1em 0px 0.5rem; padding: 0px; text-align: left; vertical-align: baseline;"><span style="font-family: times;">Articoli correlati</span></h2><ul style="background-color: white; border: 0px; font-size: 18px; font-stretch: inherit; font-variant-east-asian: inherit; font-variant-numeric: inherit; line-height: inherit; list-style: square; margin: 0px 0px 20px 20px; padding: 0px; text-align: start; vertical-align: baseline;"><li style="border: 0px; font-size: inherit; font-stretch: inherit; font-style: inherit; font-variant: inherit; font-weight: inherit; line-height: 1.2em; margin: 0px 0px 5px 1px; padding: 0px; text-align: left; vertical-align: baseline;"><span style="font-family: times;"><a data-aalisten="1" href="https://notiziescientifiche.it/campioni-di-saliva-auto-prelevati-ottimi-per-rilevare-virus-della-covid-19-secondo-studio/" style="border: 0px; color: green; font-stretch: inherit; font-style: inherit; font-variant: inherit; font-weight: inherit; line-height: inherit; margin: 0px; padding: 0px; text-decoration-line: none; vertical-align: baseline;" title="Secondo uno studio pubblicato sul Journal of Clinical Microbiology e realizzato da ricercatori degli ARUP Laboratories e dell’Università dello Utah, la saliva auto accolta e...
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Georgia A....
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Punteggio di similitudine: 13">Anche semplice parlare può diffondere virus a più di un metro di distanza</a> (29/9/2020)</span></li><li style="border: 0px; font-size: inherit; font-stretch: inherit; font-style: inherit; font-variant: inherit; font-weight: inherit; line-height: 1.2em; margin: 0px 0px 5px 1px; padding: 0px; text-align: left; vertical-align: baseline;"><span style="font-family: times;"><a data-aalisten="1" href="https://notiziescientifiche.it/testa-inclinata-verso-il-basso-suscita-timori-reverenziali-secondo-studio/" style="border: 0px; color: green; font-stretch: inherit; font-style: inherit; font-variant: inherit; font-weight: inherit; line-height: inherit; margin: 0px; padding: 0px; text-decoration-line: none; vertical-align: baseline;" title="Un particolare studio pubblicato su Psychological Science affronta la tematica relativa alle sensazioni che si possono incutere all’interlocutore in base a particolari caratteristiche legate alla...
Tag: Aggressività e irritabilità, Espressioni facciali, Sopracciglia, Testa
Punteggio di similitudine: 12">Testa inclinata verso il basso suscita timori reverenziali secondo studio</a> (17/6/2019) </span></li></ul></div>olosciencehttp://www.blogger.com/profile/07007258673266741468noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1907724209682187249.post-79975503732345090812020-10-22T07:06:00.004-07:002020-10-22T08:03:49.828-07:00Così il cervello interpreta il movimento: craccato il codice (come si comprendono le intenzioni degli altri).<p> </p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg5_A7cjwsYOo64oOcbvtPmuXfHeC_G2jC6YVDGmCCIgVwi7h2JWsn7fvUewpwJ4_CX1Eimi2J6Ist2dPQxsxIrGaQLPQ4_B0tDV0twvuFBI8DzMRId2twwY3z-zWoeFlYywNeXEczLbZ-x/s620/cervello.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="438" data-original-width="620" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg5_A7cjwsYOo64oOcbvtPmuXfHeC_G2jC6YVDGmCCIgVwi7h2JWsn7fvUewpwJ4_CX1Eimi2J6Ist2dPQxsxIrGaQLPQ4_B0tDV0twvuFBI8DzMRId2twwY3z-zWoeFlYywNeXEczLbZ-x/s320/cervello.jpg" width="320" /></a></div><div style="text-align: center;">Fonte: <a href="https://www.ansa.it/canale_scienza_tecnica/notizie/biotech/2020/10/22/cosi-il-cervello-interpreta-il-movimento-craccato-il-codice-_be4caf35-0b11-4449-a4fd-21d79de68e7b.html">ANSA Scienze</a></div><div style="text-align: center;">-----------------------------</div><div style="text-align: justify;"><b><span face="Arial, Helvetica, sans-serif" style="background-color: white; color: #333333; font-size: 16px; text-align: start;">E' stato craccato il codice del movimento: non hanno più segreti le aree del cervello che permettono di comprendere sia il movimento altrui, sia gli elementi che aiutano a comprendere le intenzioni degli altri. La scoperta, pubblicata sulla rivista Current Biology si deve al gruppo multidisciplinare dell'Istituto Italiano di Tecnologia (IIT) che ha riunito esperti di scienze computazionali, neuroscienze e scienze cognitive, con Cristina Becchio e Stefano Panzeri. Alla ricerca ha collaborato il gruppo dell'Università di Bologna diretto dallo psicobiologo Alessio Avenanti.</span><br style="background-color: white; box-sizing: border-box; color: #333333; font-family: Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: 16px; text-align: start;" /><br style="background-color: white; box-sizing: border-box; color: #333333; font-family: Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: 16px; text-align: start;" /><span face="Arial, Helvetica, sans-serif" style="background-color: white; color: #333333; font-size: 16px; text-align: start;">I risultati aprono, da un lato, la via ad applicazioni nella robotica mediante la realizzazione di robot capaci di leggere le intenzioni altrui e, dall'altro, potranno aiutare a capire le difficoltà che le persone con autismo incontrano nel leggere le intenzioni altrui, fornendo una base per future terapie.</span><br style="background-color: white; box-sizing: border-box; color: #333333; font-family: Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: 16px; text-align: start;" /><br style="background-color: white; box-sizing: border-box; color: #333333; font-family: Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: 16px; text-align: start;" /><span face="Arial, Helvetica, sans-serif" style="background-color: white; color: #333333; font-size: 16px; text-align: start;">Modelli matematici applicati all'analisi di centinaia di movimenti hanno permesso di ottenere mappe motorie che permettono di interpretare le variazioni impercettibili nel movimento che possono essere la spia di intenzioni, emozioni, aspettative e decisioni. Per esempio, basta vedere una persona che afferra una bottiglia per prevedere se intende bere o passare la bottiglia ad un'altra persona.</span><br style="background-color: white; box-sizing: border-box; color: #333333; font-family: Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: 16px; text-align: start;" /><br style="background-color: white; box-sizing: border-box; color: #333333; font-family: Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: 16px; text-align: start;" /><span face="Arial, Helvetica, sans-serif" style="background-color: white; color: #333333; font-size: 16px; text-align: start;">Per avere un'idea della complessità della ricerca basti pensare che un gesto come questo è codificato da 64 dimensioni, 16 variabili di movimento in quattro intervalli di tempo. Tecniche non invasive di analisi dell'attività cerebrale hanno poi permesso di identificare nel lobo parietale sinistro l'area cerebrale che legge i movimenti, permettendo di decodificarne le intenzioni.</span><br style="background-color: white; box-sizing: border-box; color: #333333; font-family: Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: 16px; text-align: start;" /><br style="background-color: white; box-sizing: border-box; color: #333333; font-family: Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: 16px; text-align: start;" /><span face="Arial, Helvetica, sans-serif" style="background-color: white; color: #333333; font-size: 16px; text-align: start;">"Ad oggi, il linguaggio motorio delle intenzioni non era noto. Per decifrarlo abbiamo applicato alla cinematica del movimento, ovvero alle caratteristiche spazio-temporali del movimento, strumenti matematici sviluppati per decifrare il codice neurale", osserva Becchio. "Questo approccio - ha aggiunto - ci ha permesso di capire non solo come l'informazione è scritta nel movimento, ma anche come viene letta da chi osserva e quali sono le computazioni coinvolte nel processo di lettura".</span></b></div><p></p>olosciencehttp://www.blogger.com/profile/07007258673266741468noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1907724209682187249.post-85764708767393379862020-10-22T00:19:00.001-07:002020-10-22T00:19:34.318-07:00Un correttore per i futuri computer quantistici: Evita la dispersione di informazioni.<p></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgr9c70yTYNFctD1WmkZKkbMBJ-rhptH91dvX4zqKa7JlsnHqVEtQp4b13YC7x8mZySUn1U1e5TxtO2_OqaD83E9cod73eShsmxuqzFmN-C7_CYDH22i6apDBM9lpp6p2Tx4BiK8d9IlT4K/s620/cq.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="438" data-original-width="620" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgr9c70yTYNFctD1WmkZKkbMBJ-rhptH91dvX4zqKa7JlsnHqVEtQp4b13YC7x8mZySUn1U1e5TxtO2_OqaD83E9cod73eShsmxuqzFmN-C7_CYDH22i6apDBM9lpp6p2Tx4BiK8d9IlT4K/s320/cq.jpg" width="320" /></a></div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">Fonte: <a href="https://www.ansa.it/canale_scienza_tecnica/notizie/fisica_matematica/2020/10/11/un-correttore-per-i-futuri-computer-quantistici_1e5e3041-d40c-4921-a92d-7c8cebe9d703.html">ANSA Scienze</a></div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">---------------------------</div><p></p><p style="background-color: white; border: 0px; box-sizing: border-box; color: #333333; font-family: Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: 16px; font-stretch: inherit; font-variant-east-asian: inherit; font-variant-numeric: inherit; line-height: inherit; margin: 0px 0px 10px; padding: 0px; text-align: justify; vertical-align: baseline;"><b>Arriva il correttore dei <a href="https://www.ansa.it/canale_scienza_tecnica/notizie/tecnologie/2019/10/24/il-computer-quantistico-e-realein-3-minuti-test-da-10.000-anni-_553fd9d7-0af5-4fde-b905-2e4044dbc3f2.html" style="background-color: transparent; border-bottom-color: rgb(151, 153, 154); border-bottom-style: dotted; border-image: initial; border-left-color: initial; border-left-style: initial; border-right-color: initial; border-right-style: initial; border-top-color: initial; border-top-style: initial; border-width: 0px 0px 1px; box-sizing: border-box; color: #178131; font-family: inherit; font-size: inherit; font-stretch: inherit; font-style: inherit; font-variant: inherit; line-height: inherit; margin: 0px; padding: 0px; text-decoration-line: none; vertical-align: baseline;">computer quantistici</a>. Messo a punto con un importante contributo italiano, impedisce la dispersione di informazioni in caso di errori. È presentato nello studio pubblicato sulla rivista Nature dal gruppo coordinato dall’Università austriaca di Innsbruck e dalla l’Università Tecnica tedesca di Aquisgrana, al quale l’Italia partecipa con Davide Vodola, del dipartimento di fisica e astronomia dell’Università di Bologna.</b></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><p style="background-color: white; border: 0px; box-sizing: border-box; color: #333333; font-family: Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: 16px; font-stretch: inherit; font-variant-east-asian: inherit; font-variant-numeric: inherit; line-height: inherit; margin: 0px 0px 10px; padding: 0px; text-align: justify; vertical-align: baseline;"><b><a href="https://www.ansa.it/canale_scienza_tecnica/notizie/tecnologie/2019/09/25/piu-vicini-i-computer-quantistici-_75024e25-b1b2-4980-8e14-64e4604fb9bd.html" style="background-color: transparent; border-bottom-color: rgb(151, 153, 154); border-bottom-style: dotted; border-image: initial; border-left-color: initial; border-left-style: initial; border-right-color: initial; border-right-style: initial; border-top-color: initial; border-top-style: initial; border-width: 0px 0px 1px; box-sizing: border-box; color: #178131; font-family: inherit; font-size: inherit; font-stretch: inherit; font-style: inherit; font-variant: inherit; line-height: inherit; margin: 0px; padding: 0px; text-decoration-line: none; vertical-align: baseline;">Attesi da decenni</a> , i computer quantistici sfruttano le bizzarre proprietà del mondo degli atomi per aumentare le capacità di calcolo. Potrebbero, in teoria, svolgere un compito che a un computer tradizionale richiederebbe un tempo lunghissimo, che può anche andare oltre l’età conosciuta dell’universo.</b></p><p style="background-color: white; border: 0px; box-sizing: border-box; color: #333333; font-family: Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: 16px; font-stretch: inherit; font-variant-east-asian: inherit; font-variant-numeric: inherit; line-height: inherit; margin: 0px 0px 10px; padding: 0px; text-align: justify; vertical-align: baseline;"><b>Ma anche i computer quantistici possono commettere errori. Per questo, spiega Vodola all’ANSA, “abbiamo messo a punto un nuovo protocollo in grado di correggere e proteggere le informazioni quantistiche in caso di errori dovuti alla perdita di qubit”, le unità di informazione di base di questi computer del futuro. “I qubit, infatti, sono molto fragili e soggetti a errori dovuti a interazioni con l’ambiente esterno. Quindi - aggiunge l’esperto - sviluppare un processore quantistico pienamente funzionante rappresenta ancora una grande sfida per gli scienziati di tutto il mondo”.</b></p><p style="background-color: white; border: 0px; box-sizing: border-box; color: #333333; font-family: Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: 16px; font-stretch: inherit; font-variant-east-asian: inherit; font-variant-numeric: inherit; line-height: inherit; margin: 0px 0px 10px; padding: 0px; text-align: justify; vertical-align: baseline;"><b>L’Europa ha lanciato un ambizioso <a href="http://www.ansa.it/scienza/notizie/rubriche/ricerca/2016/04/26/dalleuropa-1-miliardo-per-le-tecnologie-quantistiche-_846de596-7853-4984-9a39-3ba2a2a86640.html" style="background-color: transparent; border-bottom-color: rgb(151, 153, 154); border-bottom-style: dotted; border-image: initial; border-left-color: initial; border-left-style: initial; border-right-color: initial; border-right-style: initial; border-top-color: initial; border-top-style: initial; border-width: 0px 0px 1px; box-sizing: border-box; color: #178131; font-family: inherit; font-size: inherit; font-stretch: inherit; font-style: inherit; font-variant: inherit; line-height: inherit; margin: 0px; padding: 0px; text-decoration-line: none; vertical-align: baseline;">programma sulle tecnologie quantistiche</a> finanziato dalla Commissione Europea con 1 miliardo di euro. L’iniziativa, che richiederà dieci anni di lavoro, vede l’Italia in prima fila con il Consiglio Nazionale delle Ricerche (Cnr). “Il nostro protocollo, provato su un processore quantistico a ioni intrappolati - conclude Vodola - può essere utilizzato anche su altre architetture di qubit e potrà rivelarsi fondamentale per il futuro sviluppo di processori quantistici su larga scala”.</b></p></div>olosciencehttp://www.blogger.com/profile/07007258673266741468noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1907724209682187249.post-48827729419233593372020-10-21T13:54:00.002-07:002020-10-21T13:56:06.973-07:00Ecco come i ricordi duraturi si fissano nel cervello.<p> </p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgGarH9pI3eYfI-2BOna9vzF7YGPFtwAkI5iPJrNPy5L93XXoPqft9-2Qht9UWXGlz8k3fyqcEQcYipTKhlD7cGpgX4G5tNlK2jZH8TE6UmY1Rh79ZGp2WgiNKnMa6Wr-QVzriwQNiLw66K/s560/144401270-f2637bac-d7f2-429f-9da2-964102877728.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="315" data-original-width="560" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgGarH9pI3eYfI-2BOna9vzF7YGPFtwAkI5iPJrNPy5L93XXoPqft9-2Qht9UWXGlz8k3fyqcEQcYipTKhlD7cGpgX4G5tNlK2jZH8TE6UmY1Rh79ZGp2WgiNKnMa6Wr-QVzriwQNiLw66K/s320/144401270-f2637bac-d7f2-429f-9da2-964102877728.jpg" width="320" /></a></div><div style="text-align: center;">Fonte: <a href="https://www.focus.it/comportamento/psicologia/come-si-formano-i-ricordi-duraturi-nel-cervello">Focus</a></div><div style="text-align: center;">----------------</div><div style="text-align: justify;"><b><span style="font-family: times;"><span style="background-color: white; font-size: 18px; text-align: left;">Nel processo che trasforma un ricordo evanescente in una traccia che si conserva nel tempo entrano in gioco almeno due circuiti cerebrali, uno con una funzione eccitatoria e un altro con funzioni inibitorie. Il primo era noto da tempo, il secondo è una nuova scoperta di un gruppo di neuroscienziati della McGill University (Canada), come racconta uno studio su </span><a href="https://dx.doi.org/10.1038/s41586-020-2805-8" style="background-color: white; box-sizing: border-box; color: #0190bc; font-size: 18px; text-align: left; text-decoration-line: none;" title="eIF2α controls memory consolidation via excitatory and somatostatin neurons, articolo originale in inglese"><em>Nature</em></a><span style="background-color: white; font-size: 18px; text-align: left;">.</span></span></b></div><div style="text-align: justify;"><span style="background-color: white; font-size: 18px; text-align: left;"><b><span style="font-family: times;">I neuroni eccitatori sono coinvolti nella creazione del ricordo vero e proprio, quelli inibitori si occupano invece di bloccare il rumore di fondo nel cervello - le tracce meno pertinenti - e permettono al ricordo di consolidarsi. Entrambe le funzioni sono fondamentali se è vero che, come sostengono i ricercatori, manipolando selettivamente l'uno o l'altro circuito è possibile intervenire sulla memoria episodica a lungo termine.</span></b></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="background-color: white; font-size: 18px; text-align: left;"><b><span style="font-family: times;">Il consolidamento della memoria nel cervello richiede la sintesi di nuove proteine da parte delle cellule cerebrali. Non era chiaro però quali fossero le popolazioni di neuroni coinvolte in questa "produzione". Per capirlo, i ricercatori hanno fatto ricorso a topi transgenici in cui specifiche classi di neuroni avevano subito delle modifiche in un percorso molecolare importante per la formazione di ricordi a lungo termine: questa via, chiamata eIF2a, è nota per regolare la sintesi di proteine nei neuroni ed è coinvolta sia nel neurosviluppo sia in alcune malattie neurodegenerative. </span></b></span></div><div style="text-align: justify;"><b><span style="font-family: times;"><span style="background-color: white; font-size: 18px; text-align: left;">Quando gli scienziati hanno stimolato questa modalità di sintesi proteica nei neuroni eccitatori dell'ippocampo (</span><a href="https://www.focus.it/scienza/salute/la-creazione-di-neuroni-nellippocampo-potrebbe-cessare-con-leta-adulta" style="background-color: white; box-sizing: border-box; color: #0190bc; font-size: 18px; text-align: left; text-decoration-line: none;" title="focus.it, la formazione di neuroni nell'ippocampo potrebbe cessare con l'età adulta">una struttura cerebrale cruciale per l'apprendimento e la memoria</a><span style="background-color: white; font-size: 18px; text-align: left;">) hanno ottenuto un potenziamento nella formazione dei ricordi e hanno assistito alla modifica delle </span><a href="https://www.focus.it/scienza/salute/che-cosa-sono-le-sinapsi" style="background-color: white; box-sizing: border-box; color: #0190bc; font-size: 18px; text-align: left; text-decoration-line: none;" title="focus.it, che cosa sono le sinapsi?">sinapsi</a><span style="background-color: white; font-size: 18px; text-align: left;">, gli snodi di comunicazione tra neuroni. Ma lo stesso effetto è stato raggiunto anche quando è stata stimolata la sintesi proteica in una classe di neuroni che possono avere comportamenti inibitori, i neuroni della somatostatina. In questo caso, il rafforzamento del ricordo avveniva grazie alla regolazione della plasticità neuronale, la capacità del cervello di regolare l'intensità delle connessioni tra neuroni, di eliminare alcune poco utili e crearne di nuove.</span></span></b></div><div style="text-align: justify;"><b><span style="font-family: times;"><span style="background-color: white; font-size: 18px; text-align: left;">Per gli autori dello studio, la scoperta di questa nuova popolazione di neuroni coinvolta è per certi versi inaspettata ma anche provvidenziale: potrebbe infatti trattarsi di un nuovo obiettivo per terapie mirate sui ricordi duraturi in condizioni che comportano deficit di memoria a lungo termine, autobiografica (ricordi personali) o semantica (conoscenze generali sul mondo), come </span><a href="https://www.focus.it/speciali/alzheimer" style="background-color: white; box-sizing: border-box; color: #0190bc; font-size: 18px; text-align: left; text-decoration-line: none;" title="focus.it, speciale Alzheimer">l'Alzheimer</a><span style="background-color: white; font-size: 18px; text-align: left;"> o </span><a href="https://www.focus.it/scienza/salute/autismo-questo-sconosciuto" style="background-color: white; box-sizing: border-box; color: #0190bc; font-size: 18px; text-align: left; text-decoration-line: none;" title="focus.it, che cos'è l'autismo">i disturbi dello spettro autistico</a><span style="background-color: white; font-size: 18px; text-align: left;">. Questi ultimi, infatti, possono compromettere alcune operazioni fondamentali per il consolidamento dei ricordi.</span></span></b></div><p></p>olosciencehttp://www.blogger.com/profile/07007258673266741468noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1907724209682187249.post-12878333115423145912020-10-21T13:38:00.004-07:002020-10-21T13:38:48.678-07:00L'intelligenza artificiale progetta cellule mai viste prima. <p></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh41JfVQu5cAsULoA017OZDaJM31ddTFZRx1-WtT_yvoeLr6DnZj5vjCWbhZlQEePJgNPLJ2LOXXIMyt5t8O06vSFMMPN512dkMQStWLuJhsQkkjP8wMvVl_fSjSCBcNkRyDsbi_6CyMimh/s620/IA.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="438" data-original-width="620" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh41JfVQu5cAsULoA017OZDaJM31ddTFZRx1-WtT_yvoeLr6DnZj5vjCWbhZlQEePJgNPLJ2LOXXIMyt5t8O06vSFMMPN512dkMQStWLuJhsQkkjP8wMvVl_fSjSCBcNkRyDsbi_6CyMimh/s320/IA.jpg" width="320" /></a></div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">Fonte:<a href="https://www.ansa.it/canale_scienza_tecnica/notizie/biotech/2020/09/27/lintelligenza-artificiale-progetta-cellule-mai-viste-prima-_50dbc55e-18e1-4be6-89e9-cc0825b1e320.html"> ANSA Scienze</a></div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">---------------------------</div><p></p><p style="background-color: white; border: 0px; box-sizing: border-box; color: #333333; font-family: Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: 16px; font-stretch: inherit; font-variant-east-asian: inherit; font-variant-numeric: inherit; line-height: inherit; margin: 0px 0px 10px; padding: 0px; text-align: justify; vertical-align: baseline;"><b>L'intelligenza artificiale ha imparato a progettare cellule che non esistono in natura: dopo i supercomputer, è la nuova alleata della biologia sintetica, cui promette di mettere il turbo nella riprogettazione di sistemi viventi come lieviti e batteri per numerose applicazioni, dalla produzione di farmaci a quella di biocarburanti. Lo dimostrano due studi pubblicati su Nature Communications dai ricercatori del Lawrence Berkeley National Laboratory negli Stati Uniti.</b></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: justify;"><p style="background-color: white; border: 0px; box-sizing: border-box; color: #333333; font-family: Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: 16px; font-stretch: inherit; font-variant-east-asian: inherit; font-variant-numeric: inherit; line-height: inherit; margin: 0px 0px 10px; padding: 0px; text-align: justify; vertical-align: baseline;"><b>Il loro nuovo algoritmo, chiamato Automated Recommendation Tool (Art), è in grado di prevedere (dopo un minimo addestramento) come certe modifiche del Dna o dei processi biochimici di una cellula possono cambiarne il comportamento, guidando così la sua ingegnerizzazione. "Le possibilità sono rivoluzionarie", spiega il coordinatore dello studio, Hector Garcia Martin. "Ora la bioingegneria è un processo molto lento: sono serviti anni per creare il farmaco antimalarico artemisinina. Se invece sei in grado di creare nuove cellule per un'indicazione specifica in un paio di settimane o mesi, puoi davvero stravolgere quello che puoi fare con la bioingegneria".</b></p><p style="background-color: white; border: 0px; box-sizing: border-box; color: #333333; font-family: Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: 16px; font-stretch: inherit; font-variant-east-asian: inherit; font-variant-numeric: inherit; line-height: inherit; margin: 0px 0px 10px; padding: 0px; text-align: justify; vertical-align: baseline;"><b>Per dimostrare l'utilità del sistema Art, i ricercatori lo hanno usato per ritoccare il metabolismo del lievito e aumentare la sua produzione dell'amminoacido triptofano. In particolare, hanno selezionato cinque geni, ciascuno dei quali controllato da altri geni o meccanismi regolatori, per un totale di quasi 8.000 possibili combinazioni. Grazie alla collaborazione con l'Università tecnica della Danimarca, hanno ottenuto dati sperimentali relativi a 250 combinazioni (pari al 3% di quelle possibili) che sono stati usati per addestrare l'intelligenza artificiale: così l'algoritmo ha imparato quale amminoacido viene prodotto in base ai geni accesi nella cellula. Usando un procedimento statistico, l'algoritmo ha poi dedotto come le restanti 7.000 e più combinazioni possono influire sulla produzione di triptofano, indicando la strada per aumentarla fino al 106%.</b></p></div>olosciencehttp://www.blogger.com/profile/07007258673266741468noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1907724209682187249.post-52461203582784740062020-10-21T13:28:00.002-07:002020-10-21T13:28:38.074-07:00Scoperto il primo materiale superconduttore a temperatura ambiente.<p> </p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEim0AYtIZ-f0f7-hIxIjnE81Tz6lU42TbHIcqI77phvdjMMsjr4SVzesEQa1mF8yOWja6VRUIEY5mULX-6CXJuKpwk7cDGjpnWYUCLZaup6LobhPgO5Kjw6JoYEEUZ3Mvpde34I7Ro0SjzM/s620/super.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="438" data-original-width="620" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEim0AYtIZ-f0f7-hIxIjnE81Tz6lU42TbHIcqI77phvdjMMsjr4SVzesEQa1mF8yOWja6VRUIEY5mULX-6CXJuKpwk7cDGjpnWYUCLZaup6LobhPgO5Kjw6JoYEEUZ3Mvpde34I7Ro0SjzM/s320/super.jpg" width="320" /></a></div><div style="text-align: center;">Fonte: <a href="https://www.ansa.it/canale_scienza_tecnica/notizie/energia/2020/10/19/sempre-piu-vicino-il-santo-graal-dellefficienza-energetica-_478adee4-8dc8-43a1-a755-36e1a2565fc7.html">ANSA Scienze</a></div><div style="text-align: center;">---------------------------</div><p></p><p style="background-color: white; border: 0px; box-sizing: border-box; color: #333333; font-family: Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: 16px; font-stretch: inherit; font-variant-east-asian: inherit; font-variant-numeric: inherit; line-height: inherit; margin: 0px 0px 10px; padding: 0px; text-align: justify; vertical-align: baseline;"><b>Dopo oltre un secolo di ricerche, sembra finalmente a portata di mano il 'Santo Graal' dell'efficienza energetica: è stato infatti trovato il primo materiale superconduttore a temperatura ambiente, capace di far fluire l'elettricità senza alcuna resistenza e dunque senza sprechi. Sebbene funzioni solo a pressioni elevatissime, potrebbe aprire la strada ad altri materiali superconduttori più facili da produrre e usare su larga scala, per dare vita a una vera e propria rivoluzione per la tecnologia e l'elettronica. Per questo la scoperta, fatta dai ricercatori delle università di Rochester e Nevada, ha conquistato la copertina di Nature.</b></p><div style="text-align: justify;"><p style="background-color: white; border: 0px; box-sizing: border-box; color: #333333; font-family: Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: 16px; font-stretch: inherit; font-variant-east-asian: inherit; font-variant-numeric: inherit; line-height: inherit; margin: 0px 0px 10px; padding: 0px; text-align: justify; vertical-align: baseline;"><b>Le ricadute potrebbero spaziare dalle reti elettriche per la distribuzione dell'energia ai computer, dai macchinari per la risonanza magnetica fino ai treni a levitazione magnetica. "E' una svolta rivoluzionaria", commenta Ashkan Salamat dell'Università del Nevada a Las Vegas. "La scoperta è nuova e la tecnologia è agli albori, ma le possibilità sono infinite".</b></p><p style="background-color: white; border: 0px; box-sizing: border-box; color: #333333; font-family: Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: 16px; font-stretch: inherit; font-variant-east-asian: inherit; font-variant-numeric: inherit; line-height: inherit; margin: 0px 0px 10px; padding: 0px; text-align: justify; vertical-align: baseline;"><b>Il fenomeno della superconduttività è stato osservato per la prima volta nel 1911, ma finora è stato possibile solo a temperature bassissime (prossime a 273 gradi sotto zero) e dunque proibitive per un utilizzo nel mondo reale. Nel 1968, però, è stato teorizzato che l'idrogeno metallico (possibile a pressioni molto elevate) avrebbe potuto rappresentare la chiave di volta.</b></p><p style="background-color: white; border: 0px; box-sizing: border-box; color: #333333; font-family: Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: 16px; font-stretch: inherit; font-variant-east-asian: inherit; font-variant-numeric: inherit; line-height: inherit; margin: 0px 0px 10px; padding: 0px; text-align: justify; vertical-align: baseline;"><b>Oltre 50 anni dopo, i ricercatori coordinati dal fisico Ranga Dias dell'Università di Rochester hanno provato a risolvere questo enigma combinando l'idrogeno con carbonio e zolfo in una cella a incudine di diamante, uno strumento usato per studiare minuscole quantità di materiali a pressioni elevatissime. Sono così riusciti a osservare il fenomeno della superconduttività a una temperatura di 15 gradi, ma a una pressione che è pari a oltre due milioni di volte quella atmosferica. Il prossimo passo sarà quello di provare a stabilizzare il materiale a pressioni inferiori.</b></p></div>olosciencehttp://www.blogger.com/profile/07007258673266741468noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1907724209682187249.post-51455705644881613602020-10-21T13:19:00.004-07:002020-10-22T11:31:00.167-07:00I biosensori stampati direttamente sulla pelle (registrano tutti i parametri biologici).<p> </p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEist5CZ5rnt_pHZZ6JC4QDeLh9VP_fCAZEHQfQUvd4aXLfnBpz2-2lHeQ9xEgzXtawVGBuQqXtok-xTAuU9cBQIVsf-7uvDv_GVNTd8c_Y-TmVQpVWXnU4Ys971MDkDsRkiI8wPmj3VSAcu/s620/mano.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="438" data-original-width="620" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEist5CZ5rnt_pHZZ6JC4QDeLh9VP_fCAZEHQfQUvd4aXLfnBpz2-2lHeQ9xEgzXtawVGBuQqXtok-xTAuU9cBQIVsf-7uvDv_GVNTd8c_Y-TmVQpVWXnU4Ys971MDkDsRkiI8wPmj3VSAcu/s320/mano.jpg" width="320" /></a></div><div style="text-align: center;">Fonte: <a href="https://www.focus.it/tecnologia/innovazione/sensori-indossabili-i-tatuaggi-del-futuro">Focus.it</a></div><div style="text-align: center;">---------------------------</div><p></p><div style="background-color: white; border: 0px; box-sizing: border-box; color: #333333; font-size: 16px; font-stretch: inherit; font-variant-east-asian: inherit; font-variant-numeric: inherit; line-height: inherit; margin: 0px 0px 10px; padding: 0px; text-align: justify; vertical-align: baseline;"><span style="font-family: times;"><b><span style="color: black; font-size: 18px;">Immaginate di poter stampare direttamente sulla vostra pelle tatuaggi hi-tech che tengono monitorati i vostri parametri vitali e vi avvisano se qualcosa non va: fantascienza? Non per un team di ricercatori della Pennsylvania State University, che ha progettato sensori indossabili che possono essere applicati direttamente sulla pelle. I risultati dello studio, </span><a href="https://pubs.acs.org/doi/10.1021/acsami.0c11479" style="box-sizing: border-box; color: #0190bc; font-size: 18px; text-decoration-line: none;" title="Wearable Circuits Sintered at Room Temperature Directly on the Skin Surface for Health Monitoring (inglese)">pubblicati su <em>ACS Applied Materials & Interfaces</em></a><span style="color: black; font-size: 18px;">, descrivono questa tecnologia innovativa, che non richiede alte temperature per "fondere" il sensore con il materiale su cui viene applicato – in questo caso, la nostra pelle. <br /></span></b><b><span style="color: black; font-size: 18px;">Fino ad oggi, per essere applicati su un materiale (tessuto o carta, ad esempio), i sensori dovevano passare attraverso un processo di </span><a href="https://it.wikipedia.org/wiki/Sinterizzazione" style="box-sizing: border-box; color: #0190bc; font-size: 18px; text-decoration-line: none;">sinterizzazione</a><span style="color: black; font-size: 18px;">, una lavorazione con cui si ottiene un oggetto collocando polvere di materiale in uno stampo, che richiede alte temperature: le nanoparticelle d'argento del sensore venivano unite tra loro a una temperatura di circa 300 °C, troppo alta per poter effettuare il processo sulla pelle. «Per superare questa limitazione», spiega Huanyu Cheng, capo dello studio, «abbiamo provato a inserire uno strato ausiliario di nanoparticelle, qualcosa che non danneggiasse la pelle e aiutasse il materiale a sinterizzare a una temperatura più bassa». Tuttavia, con lo strato aggiuntivo, le nanoparticelle d'argento sinterizzavano a una temperatura di 100 °C: inferiore a quella iniziale, ma ancora insufficiente per evitare di bruciare la pelle.<br /></span></b><b><span style="color: black; font-size: 18px;">I ricercatori hanno quindi cambiato la formula dello strato ausiliario, ricorrendo a ingredienti già conosciuti dal nostro corpo come l'alcol polivinilico (utilizzato nelle maschere cosmetiche per il viso) e il carbonato di calcio (contenuto nei gusci delle uova). Con questo nuovo strato, il sensore può essere stampato </span><span style="box-sizing: border-box; color: black; font-size: 18px;">a temperatura ambiente direttamente sulla pelle</span><span style="color: black; font-size: 18px;">, utilizzando solo un phon ad aria fredda per asciugare l'acqua utilizzata come solvente nell'inchiostro.<br /></span></b><span style="color: black; font-size: 18px;"><b>Questi sensori aiuterebbero non solo a monitorare la propria temperatura corporea, l'ossigenazione sanguigna e la performance cardiaca, ma, se correttemente programmati, potrebbero consentire anche di rilevare i sintomi della CoViD-19. «Il sensore è ecologico, e può essere rimosso con una semplice doccia calda», spiega Cheng. Inoltre può essere riciclato, e la sua rimozione non danneggia né la pelle, né il dispositivo stesso. </b></span></span></div>olosciencehttp://www.blogger.com/profile/07007258673266741468noreply@blogger.com0