venerdì 13 novembre 2009

Un'atmosfera di ossigeno nello spazio. Ma è una nana bianca

Fonte: Le Scienze
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I due oggetti scoperti, indicati dalle sigle SDSS 0922+2928 e SDSS 1102+2054, hanno uno spettro caratteristico che conferma i modelli teorici sulla conclusione del ciclo di vita delle stelle massicce.
Un gruppo di astrofisici delle Università di Warwick, nel Regno Unito, e di Kiel, in Germania, ha scoperto due corpi celesti dotati di atmosfere ricche di ossigeno. Con grande sorpresa dei ricercatori, tuttavia, non si tratta di pianeti ma di due stelle, e precisamente di nane bianche.
Battezzate, rispettivamente, con le sigle SDSS 0922+2928 e SDSS 1102+2054, le due stelle distano dalla Terra circa 400 e 220 anni luce e sono ciò che resta di stelle massicce arrivate al termine del loro ciclo evolutivo, che hanno cioè esaurito tutto il loro combustibile nucleare.
Secondo i modelli teorici, le stelle di massa pari a circa 7-10 volte quella del Sole, una volta consumato tutto il proprio idrogeno, l'elio e il carbonio, giungono al termine del proprio ciclo vitale in forma di nane bianche con nuclei molto ricchi di ossigeno oppure diventano supernove e collassano in stelle di neutroni.
Sfortunatamente, la maggior parte delle nane bianche ha un involucro di idrogeno o di elio che, sebbene di massa limitata, è spesso sufficiente a schermare il nucleo dal un'osservazione diretta.
Tuttavia, se un simile nucleo perde il suo involucro di idrogeno residuo è possibile in linea di principio rivelare uno spettro della superficie della nana bianca estremamente ricco di ossigeno.
Grazie all'analisi di un database astronomico dello
Sloan Digital Sky Survey (SDSS), i partecipanti a quest'ultimo studio hanno scoperto due nane bianche con una notevole abbondanza di ossigeno nelle loro atmosfere.
"Queste abbondanze dell'ossigeno implicano che si tratta di nane bianche che mostrano i loro nuclei di ossigeno e neon, e probabilmente discendono dalle più massicce progenitrici di questa classe di stelle”, ha concluso Boris Gänsicke dell'Università di Warwick, coautore dell'articolo apparso sulla rivista "Science". (fc)

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