Fonte: Corriere.it
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Smaltire i rifiuti in maniera alternativa. È quello che hanno pensato gli scienziati ambientali dell’Aeronautica militare degli Stati Uniti, intenti a sperimentare la gassificazione al plasma per evitare ai militari americani di respirare i fumi dei rifiuti incendiati a cielo aperto durante le missioni di guerra. Un modo di trasformare i rifiuti in energia pulita non solo promosso dall’Air Force, ma preso in considerazioni anche da diverse amministrazioni e aziende di New York e del Texas come possibile soluzione di smaltimento. Anche se, per il momento, l’altezza elevata dei costi sembra scoraggiarne la diffusione capillare. Scettica, una parte degli studiosi italiani che, nonostante riconoscano i benefici ambientali dello smaltimento dei rifiuti mediante torce al plasma, per una sua possibile applicazione urbana hanno molto da obiettare. Proponendo metodi alternativi e molto più economici che prevedono, invece della totale dissoluzione, il riutilizzo dei residui.
METODO SPAZIALE - Il sistema per combattere l’inquinamento avallato dall'Air Force, proviene dalla Nasa, che lo ha sviluppato per sulle navicelle spaziali dove la questione dello smaltimento dei rifiuti si presenta come un problema di complicata gestione. E dove, la gassificazione con torcia al plasma per trasformare in gas e dissolvere i legami molecolari dei rifiuti trasformandoli in un arco energetico, poteva essere una buona soluzione.
IL PROCESSO - Per avviare la gassificazione con la torcia al plasma occorre avviare un processo che richiede una temperatura di 5 mila gradi Celsius. Temperatura che permette la dissoluzione dei legami molecolari e la divisione della parte organica da quella inorganica. E di ricavare dalla prima il gas di sintesi (syngas), cioè una miscela in grado di produrre energia elettrica, termica e biocarburante. La parte inorganica, vetrificata, è invece trasformabile in materiale edilizio.
I DUBBI ITALIANI – Meno convinta del metodo stellare la scienza italiana. «Il sistema della torcia al plasma», afferma Stefano Consonni, professore del dipartimento di energia del Politecnico, «è un tormentone ricorrente, di cui si parla da almeno dieci anni. La sua applicazione su larga scala non è sensata. In primo luogo perché si possono gassificare i rifiuti soltanto in piccole quantità. E poi perché il suo utilizzo ha costi altissimi. La gassificazione dei rifiuti è un sistema di nicchia, utile e logica quando si parla di portaaerei oppure grandi navi, ma in un contesto cittadino è fuori discussione».
IL PROBLEMA DEI RESIDUI – A interessare gli studiosi italiani per risolvere l’inquinamento dei rifiuti sono misure diverse di contenimento. «Uno dei problemi principali», spiega Consonni, «riguarda i residui prodotti dagli inceneritori. Sotto i 1.200 gradi, infatti, le ceneri non vetrificano e rilasciano materiali e residui che, a seconda dei rifiuti che si bruciano, possono richiedere un’ulteriore trattamento. Per esempio, in Giappone il processo di vetrificazione delle scorie viene fatto successivamente al loro incenerimento ottenendo materiale riutilizzabile per i fondi stradali. Se riuscissimo anche noi a intervenire sui residui si risparmierebbe un sacco di soldi in discarica, dove le scorie dei rifiuti che rimangano sono considerate rifiuti speciali».
ALTERNATIVE – Non resta a guardare l'Italia dove, per cercare di risolvere questo problema, è stato costituito il centro studi MatER (Materia ed energia da rifiuti), presso il laboratorio Leap e con la collaborazione scientifica del Politecnico di Milano. Polo di ricerca dove non solo si studiano metodi per riclicare i residui, ma si analizzano inceneritori e raccolta differenziata. Tra i numerosi progetti portati avanti da MatER, la potenzialità di recupero dei sottoprodotti degli impianti. In particolare, la parte di ceneri ottenute dalla termovalorizzazione dei rifiuti urbani solidi e dalla granella di vetro data dal trattamento di rifiuti di natura diversa e utilizzabili nella vetroceramica o come materiali isolanti.
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