Il libro, di 336 pagine, è diviso in quattro parti. Nella prima parte vengono esaminati essenzialmente due tipi di fenomeno che consentono di mettere in evidenza una scansione ritmica del tempo nella storia del nostro pianeta. Il primo di essi riguarda i fenomeni glaciali. Si ritiene comunemente che le glaciazioni, con le loro singole puntate glaciali, siano state prodotte da variazioni cicliche dell’inclinazione dell’asse terrestre rispetto al piano dell’eclittica, con una distribuzione diversa nel tempo della insolazione alle diverse latitudini e con effetti opposti nei due emisferi. Essendo ormai chiaro che nel passato l’insolazione deve avere cambiato la sua intensità nello stesso senso su tutta la superficie terrestre, occorre trovare una nuova spiegazione all’origine delle glaciazioni. Tuttavia la “teoria astronomica” continua a essere largamente condivisa.
Il secondo tipo di fenomeni che viene esaminato riguarda la evoluzione diagenetica dei sedimenti recenti. I risultati ottenuti mettono in dubbio la convinzione che molti avvenimenti abbiano una ripetizione “ciclica” nel senso stretto del termine, nel quale vi è implicita l’aspettativa che vi sia una variazione graduale della intensità delle cause.
Infatti, analizzando i parametri fisici e meccanici dei depositi argillosi degli ultimi 12.500 anni, si è osservato che la consolidazione naturale manifesta episodi discontinui, ciascuno della durata di circa 2500 anni. Questo ha permesso di distinguere dei “livelli”, in ciascuno dei quali umidità, densità, coesione e preconsolidazione assumono valori distinti e pressoché costanti. Il passaggio da un livello all’altro è molto netto.
Questa discontinuità nella evoluzione di un sedimento è evidente anche se osserviamo come cambia la pressione di preconsolidazione nel sedimenti argillosi degli ultimi 5÷6 milioni di anni. Nel Pleistocene emergono tre distinti valori, di circa 5,5, 12 e 20 kg/cm2, che appartengono in modo caratteristico ai tre piani Tirreniano, Siciliano e Calabriano nei quali la serie è comunemente suddivisa. Andando in basso nella successione, nel Pliocene si trovano cinque valori compresi tra 30 e 95÷100 kg/cm2, mentre ancora più in profondità, passando alla parte medio-alta del Messiniano,, la preconsolidazione scende rapidamente prima a 75 e poi a 53 kg/cm2 circa.
Anche in questi casi la transizione tra questi valori tipici dei vari “piani” è molto rapida, e la preconsolidazione tende a rimanere con un valore costante per l’intero spessore di un piano.
In questo modo viene corretta l’interpretazione che viene data comunemente del significato della preconsolidazione di queste argille, la quale sostiene che essa è in relazione esclusiva con il peso dei sedimenti sovrastanti. Poiché le forze elettriche possono produrre gli stessi effetti, si può affermare che in tutti i casi esaminati le forze del campo elettrico della Terra solida devono avere prevalso sulle forze del campo gravitazionale. Queste forze rimarrebbero pressoché costanti durante la deposizione di un piano o un livello, per cambiare poi abbastanza rapidamente quando c’è il passaggio al piano o al livello successivo.
Il secondo tipo di fenomeni che viene esaminato riguarda la evoluzione diagenetica dei sedimenti recenti. I risultati ottenuti mettono in dubbio la convinzione che molti avvenimenti abbiano una ripetizione “ciclica” nel senso stretto del termine, nel quale vi è implicita l’aspettativa che vi sia una variazione graduale della intensità delle cause.
Infatti, analizzando i parametri fisici e meccanici dei depositi argillosi degli ultimi 12.500 anni, si è osservato che la consolidazione naturale manifesta episodi discontinui, ciascuno della durata di circa 2500 anni. Questo ha permesso di distinguere dei “livelli”, in ciascuno dei quali umidità, densità, coesione e preconsolidazione assumono valori distinti e pressoché costanti. Il passaggio da un livello all’altro è molto netto.
Questa discontinuità nella evoluzione di un sedimento è evidente anche se osserviamo come cambia la pressione di preconsolidazione nel sedimenti argillosi degli ultimi 5÷6 milioni di anni. Nel Pleistocene emergono tre distinti valori, di circa 5,5, 12 e 20 kg/cm2, che appartengono in modo caratteristico ai tre piani Tirreniano, Siciliano e Calabriano nei quali la serie è comunemente suddivisa. Andando in basso nella successione, nel Pliocene si trovano cinque valori compresi tra 30 e 95÷100 kg/cm2, mentre ancora più in profondità, passando alla parte medio-alta del Messiniano,, la preconsolidazione scende rapidamente prima a 75 e poi a 53 kg/cm2 circa.
Anche in questi casi la transizione tra questi valori tipici dei vari “piani” è molto rapida, e la preconsolidazione tende a rimanere con un valore costante per l’intero spessore di un piano.
In questo modo viene corretta l’interpretazione che viene data comunemente del significato della preconsolidazione di queste argille, la quale sostiene che essa è in relazione esclusiva con il peso dei sedimenti sovrastanti. Poiché le forze elettriche possono produrre gli stessi effetti, si può affermare che in tutti i casi esaminati le forze del campo elettrico della Terra solida devono avere prevalso sulle forze del campo gravitazionale. Queste forze rimarrebbero pressoché costanti durante la deposizione di un piano o un livello, per cambiare poi abbastanza rapidamente quando c’è il passaggio al piano o al livello successivo.
La seconda parte tratta le variazioni del livello del mare. Queste variazioni sono state sempre difficili da determinare con una certa accuratezza poiché richiedono un riferimento fisso, che a posteriori può essere dato dal centro della terra ma in pratica al momento delle determinazioni è fornito da una terra emersa che sia riconosciuta stabile, ovvero esente da movimenti verticali dovuti a sollevamenti orogenici, bradisismi, subsidenze o compensazioni isostatiche.
L’argomento è pieno di grandi potenzialità dato che esso può fornire informazioni sia sui movimenti, locali o globali, della crosta terrestre sia, secondariamente, sulla quantificazione dei volumi di ghiaccio che si sono accumulati sui continenti.
Partendo da quest’ultimo aspetto, Shackleton e Opdike (1973) ritennero di poter ricostruire indirettamennte le posizioni del livello marino delle ultime centinaia di migliaia di anni determinando il rapporto isotopico dell’ossigeno di gusci di foraminiferi raccolti in carotaggi eseguiti sui fondi oceanici. Essi erano convinti che questo rapporto dipenda dalla quantità di ghiaccio immobilizzato sui continenti durante le espansioni glaciali, diversamente dall’interpretazione data da Emiliani (1955) secondo il quale il rapporto isotopico dell’ossigeno può semplicemente dar conto di come è cambiata la temperatura.
Alcune importanti incongruenze riscontrate nei loro risultati diedero ragione a Emiliani e possono essere spiegate dalla teoria di Gaia di Lovelock. La stessa teoria serve a spiegare il particolare modo in cui sono cambiate la concentrazione di CO2 nell’atmosfera e la temperatura al suolo durante l’Età Industriale.
Il solo modo di superare queste difficoltà era di affidarsi a un metodo diretto per determinare le variazioni del livello del mare. Esso consiste nel misurare la quota, riferita all’attuale livello marino, delle antiche linee di costa, rintracciabili su quasi tutte le terre emerse, che sono generalmente abbinate a terrazzi di abrasione marina. Il Mediterraneo è una regione privilegiata per questo studio, che infatti si è sviluppato qui fin dalla fine del XIX secolo. Due particolari aspetti sono da rilevare. Il primo è che questi terrazzi hanno morfologie fresche, come se fossero stati abbandonati dal mare da poco tempo. Il secondo è che sulle loro superfici si possono trovare fossili di spiaggia che il più delle volte appartenevano a specie caratteristiche di acque più calde dell’attuale. Su questa base è stata distinta la parte più recente del Pleistocene, a cui è stato dato il nome di Tirreniano.
All’inizio dell’applicazione di questo metodo “altimetrico” sono state possibili correlazioni a distanza, come tra Algeria e Francia. Poi, quando il numero delle linee di costa e il numero dei ricercatori che si sono dedicati a questa ricerca è fortemente aumentato, si è fatta risentire una grande difficoltà dovuta al fatto che le misure venivano effettuate con insufficiente precisione, con il risultato che le correlazioni non erano più certe.
Purtroppo, a causa della generalizzata imprecisione delle misure altimetriche delle linee di costa del Tirreniano, aree anche molto prossime tra di loro sono apparse con misure non correlabili, e la conseguenza è stata che sono stati fatti intervenire sistematicamente sollevamenti differenziali a giustificare le diversità.
Applicando questo giudizio a quasi tutte le situazioni, l’ingressione del Tirreniano è stata drasticamente ridimensionata e oggi si ritiene comunemente che essa abbia raggiunto una quota massima di 6 m, inferiore addirittura a quella, di 7 m, che risulta essere stata raggiunta dal mare durante il culmine interglaciale che si è realizzato 4800 anni fa.
Ma se le misure sono eseguite con la dovuta precisione, cioè approssimate a 1 metro, è possibile rilevare corrispondenze anche a grandi distanze. Così, in Italia (Lazio e Calabria), Grecia (isola di Milos), Somalia e isola di Pasqua si può riconoscere l’esistenza, fino a 144 m, di una identica successione di una ventina di linee di costa. In seguito, la stessa successione, fino a 59 m, è stata riconosciuta da altri autori sull’isola di Barbados.
Linee di costa dello stesso genere si riscontrano anche a quote maggiori. Nella zona centrale dell’Appennino esse sono state rintracciate da 122 fino a 2386 m. Bisogna tener conto però che qui sono intervenuti intensi sollevamenti, diversi da zona a zona. Sfruttando il fatto che per ogni zona il sollevamento è risultato uniforme, è stato possibile ricostruire una successione di dislivelli comuni a tutte le varie zone, che rappresentano in maniera inequivocabile i movimenti del mare.
Si è andata delineando così una grande trasgressione del mare, che ha raggiunto la quota massima di 822 m 270 mila anni fa. Ciò significa che in quel momento il mare è ingredito su tutti i continenti sommergendone complessivamente metà delle superfici. Ingressioni di questo ordine di grandezza sono avvenute già nel passato, ma sono state di maggiore durata, per cui hanno lasciato testimonianze molto più consistenti; le più note sono quelle dell’Ordoviciano e del Cenomaniano, di circa 450 e 90 milioni di anni fa.
È da notare che i terrazzi marini rappresentano stazionamenti che il mare ha avuto per periodi relativamente lunghi, ciascuno di oltre 2000 anni, ed emerge sempre di più l’evidenza che la transizione tra l’uno e l’altro stazionamento rappresenta un movimento rapido. Si rivela anche qui dunque il carattere discontinuo rilevato già nella evoluzione dei sedimenti.
L’argomento è pieno di grandi potenzialità dato che esso può fornire informazioni sia sui movimenti, locali o globali, della crosta terrestre sia, secondariamente, sulla quantificazione dei volumi di ghiaccio che si sono accumulati sui continenti.
Partendo da quest’ultimo aspetto, Shackleton e Opdike (1973) ritennero di poter ricostruire indirettamennte le posizioni del livello marino delle ultime centinaia di migliaia di anni determinando il rapporto isotopico dell’ossigeno di gusci di foraminiferi raccolti in carotaggi eseguiti sui fondi oceanici. Essi erano convinti che questo rapporto dipenda dalla quantità di ghiaccio immobilizzato sui continenti durante le espansioni glaciali, diversamente dall’interpretazione data da Emiliani (1955) secondo il quale il rapporto isotopico dell’ossigeno può semplicemente dar conto di come è cambiata la temperatura.
Alcune importanti incongruenze riscontrate nei loro risultati diedero ragione a Emiliani e possono essere spiegate dalla teoria di Gaia di Lovelock. La stessa teoria serve a spiegare il particolare modo in cui sono cambiate la concentrazione di CO2 nell’atmosfera e la temperatura al suolo durante l’Età Industriale.
Il solo modo di superare queste difficoltà era di affidarsi a un metodo diretto per determinare le variazioni del livello del mare. Esso consiste nel misurare la quota, riferita all’attuale livello marino, delle antiche linee di costa, rintracciabili su quasi tutte le terre emerse, che sono generalmente abbinate a terrazzi di abrasione marina. Il Mediterraneo è una regione privilegiata per questo studio, che infatti si è sviluppato qui fin dalla fine del XIX secolo. Due particolari aspetti sono da rilevare. Il primo è che questi terrazzi hanno morfologie fresche, come se fossero stati abbandonati dal mare da poco tempo. Il secondo è che sulle loro superfici si possono trovare fossili di spiaggia che il più delle volte appartenevano a specie caratteristiche di acque più calde dell’attuale. Su questa base è stata distinta la parte più recente del Pleistocene, a cui è stato dato il nome di Tirreniano.
All’inizio dell’applicazione di questo metodo “altimetrico” sono state possibili correlazioni a distanza, come tra Algeria e Francia. Poi, quando il numero delle linee di costa e il numero dei ricercatori che si sono dedicati a questa ricerca è fortemente aumentato, si è fatta risentire una grande difficoltà dovuta al fatto che le misure venivano effettuate con insufficiente precisione, con il risultato che le correlazioni non erano più certe.
Purtroppo, a causa della generalizzata imprecisione delle misure altimetriche delle linee di costa del Tirreniano, aree anche molto prossime tra di loro sono apparse con misure non correlabili, e la conseguenza è stata che sono stati fatti intervenire sistematicamente sollevamenti differenziali a giustificare le diversità.
Applicando questo giudizio a quasi tutte le situazioni, l’ingressione del Tirreniano è stata drasticamente ridimensionata e oggi si ritiene comunemente che essa abbia raggiunto una quota massima di 6 m, inferiore addirittura a quella, di 7 m, che risulta essere stata raggiunta dal mare durante il culmine interglaciale che si è realizzato 4800 anni fa.
Ma se le misure sono eseguite con la dovuta precisione, cioè approssimate a 1 metro, è possibile rilevare corrispondenze anche a grandi distanze. Così, in Italia (Lazio e Calabria), Grecia (isola di Milos), Somalia e isola di Pasqua si può riconoscere l’esistenza, fino a 144 m, di una identica successione di una ventina di linee di costa. In seguito, la stessa successione, fino a 59 m, è stata riconosciuta da altri autori sull’isola di Barbados.
Linee di costa dello stesso genere si riscontrano anche a quote maggiori. Nella zona centrale dell’Appennino esse sono state rintracciate da 122 fino a 2386 m. Bisogna tener conto però che qui sono intervenuti intensi sollevamenti, diversi da zona a zona. Sfruttando il fatto che per ogni zona il sollevamento è risultato uniforme, è stato possibile ricostruire una successione di dislivelli comuni a tutte le varie zone, che rappresentano in maniera inequivocabile i movimenti del mare.
Si è andata delineando così una grande trasgressione del mare, che ha raggiunto la quota massima di 822 m 270 mila anni fa. Ciò significa che in quel momento il mare è ingredito su tutti i continenti sommergendone complessivamente metà delle superfici. Ingressioni di questo ordine di grandezza sono avvenute già nel passato, ma sono state di maggiore durata, per cui hanno lasciato testimonianze molto più consistenti; le più note sono quelle dell’Ordoviciano e del Cenomaniano, di circa 450 e 90 milioni di anni fa.
È da notare che i terrazzi marini rappresentano stazionamenti che il mare ha avuto per periodi relativamente lunghi, ciascuno di oltre 2000 anni, ed emerge sempre di più l’evidenza che la transizione tra l’uno e l’altro stazionamento rappresenta un movimento rapido. Si rivela anche qui dunque il carattere discontinuo rilevato già nella evoluzione dei sedimenti.
Nella terza parte si analizzano singolarmente i periodi, di varia durata, che scandiscono la manifestazione di diversi fenomeni. Il “ciclo” più facilmente inquadrabile – perché ben precisato dagli astronomi – ha un quasi-periodo di circa 41 mila anni. Nelle stratigrafie isotopiche dell’ossigeno si evidenzia il suo multiplo di 123 mila anni, che ha la caratteristica di un superciclo di durata costante. Esso appare formato da 49 cicli minori, della durata di poco più di 2500 anni.
Un ciclo di circa 2500 anni si ritrova più volte nella letteratura geologica poiché ha regolato le espansioni e i ritiri dei ghiacciai di montagna, le variazioni climatiche dell’Europa settentrionale, la composizione faunistica dei foraminiferi, sia di acque superficiali che profonde, usati come indicatori climatici di tutti i mari.
Cicli di questa durata sono alla base non solo di variazioni rapide del livello del mare ma anche dei cambiamenti di preconsolidazione – e di addensamento – dei terreni postglaciali più recenti. Alla fine, imminente, del ciclo attuale, i sedimenti a grana fina degli ultimi 12.500 anni subiranno una rilevante riduzione di spessore e daranno l’avvio a estesi fenomeni di subsidenza, del tutto analoghi a quelli che oltre 2500 anni fa hanno colpito città come Sibari, Veia, Tartesso, Alessandria d’Egitto e molte altre ancora.
Sono stati riconosciuti altri cicli, di durata minore (160 e 10 anni, 6 mesi, 10 giorni, 16 ore, 1 ora, 15 secondi, 1 secondo), evidenziati soprattutto da variazioni spesso ben riconoscibili del livello del mare.
Cicli di durata maggiore, di 0,67, 11, 179 e 2900 milioni di anni, sono alla base di vari fenomeni, che oltre a variazioni del livello del mare e delle temperature, comprendono i grandi eventi glaciali, le estinzioni di massa, la formazione delle montagne e di intense mineralizzazioni.
Una caratteristica di rilievo delle durate dei vari cicli è che ciascun ciclo contiene sempre un numero intero di cicli minori.
Un ciclo di circa 2500 anni si ritrova più volte nella letteratura geologica poiché ha regolato le espansioni e i ritiri dei ghiacciai di montagna, le variazioni climatiche dell’Europa settentrionale, la composizione faunistica dei foraminiferi, sia di acque superficiali che profonde, usati come indicatori climatici di tutti i mari.
Cicli di questa durata sono alla base non solo di variazioni rapide del livello del mare ma anche dei cambiamenti di preconsolidazione – e di addensamento – dei terreni postglaciali più recenti. Alla fine, imminente, del ciclo attuale, i sedimenti a grana fina degli ultimi 12.500 anni subiranno una rilevante riduzione di spessore e daranno l’avvio a estesi fenomeni di subsidenza, del tutto analoghi a quelli che oltre 2500 anni fa hanno colpito città come Sibari, Veia, Tartesso, Alessandria d’Egitto e molte altre ancora.
Sono stati riconosciuti altri cicli, di durata minore (160 e 10 anni, 6 mesi, 10 giorni, 16 ore, 1 ora, 15 secondi, 1 secondo), evidenziati soprattutto da variazioni spesso ben riconoscibili del livello del mare.
Cicli di durata maggiore, di 0,67, 11, 179 e 2900 milioni di anni, sono alla base di vari fenomeni, che oltre a variazioni del livello del mare e delle temperature, comprendono i grandi eventi glaciali, le estinzioni di massa, la formazione delle montagne e di intense mineralizzazioni.
Una caratteristica di rilievo delle durate dei vari cicli è che ciascun ciclo contiene sempre un numero intero di cicli minori.
Nella quarta parte si pone il problema della causa che ha prodotto la grande trasgressione del Tirreniano. Poiché è risultato che i fondi oceanici non si sono approfonditi, bisogna pensare che siano cambiate le aree delle loro superfici e quindi che la Terra abbia cambiato le sue dimensioni. Perché ciò sia possibile occorre supporre che la composizione del nucleo della Terra sia diversa da quella che si ritiene comunemente e che sia intervenuto un drastico cambiamento del coefficiente di gravitazione universale G, normalmente considerato di valore costante.
Anche la formazione del sistema solare è stata riconsiderata, facendola derivare non dall’aggregazione di polveri e gas, come si ritiene comunemente, ma dall’impatto col Sole di frammenti di supernova.
Poiché il Sole e altre stelle mostrano variazioni di luminosità secondo gli stessi ritmi scoperti sulla Terra, si è posto il problema della provenienza delle variazioni di G. Dalle curve di luce di due stelle variabili, Eta Carinae e P Cygni, si è trovato che queste variazioni provengono da una direzione che è la stessa secondo la quale si manifestano sia la anisotropia mostrata dalla densità dell’intero universo rilevabile – la cosiddetta “anomalia nord galattica” – sia la debole ma netta anisotropia che interessa la radiazione cosmica di fondo a microonde.
Certamente legato a questa situazione è il fatto che le galassie tendono a disporsi lungo superfici perpendicolari alla direzione individuata. La più vicina a noi di queste superfici è stata chiamata la “Grande muraglia”. Le altre “muraglie galattiche” sono pressoché equidistanti, con una distanza media pari a circa 180 milioni di anni luce. Tale valore corrisponde a uno dei periodi rilevati sulla Terra se si ammette che le muraglie si siano create per un fenomeno di risonanza di onde gravitazionali, che la teoria della relatività considera viaggiare alla velocità della luce. Poiché è da ritenere che questa precisa distribuzione delle galassie abbia richiesto molto tempo, durante il quale la distanza tra le muraglie è rimasta sempre la stessa, si deve pensare che l’universo non si stia espandendo e che vada accolta l’interpretazione che Hubble dava del redshift cosmologico, dovuto a una perdita di energia della luce sulle grandi distanze.
Anche la formazione del sistema solare è stata riconsiderata, facendola derivare non dall’aggregazione di polveri e gas, come si ritiene comunemente, ma dall’impatto col Sole di frammenti di supernova.
Poiché il Sole e altre stelle mostrano variazioni di luminosità secondo gli stessi ritmi scoperti sulla Terra, si è posto il problema della provenienza delle variazioni di G. Dalle curve di luce di due stelle variabili, Eta Carinae e P Cygni, si è trovato che queste variazioni provengono da una direzione che è la stessa secondo la quale si manifestano sia la anisotropia mostrata dalla densità dell’intero universo rilevabile – la cosiddetta “anomalia nord galattica” – sia la debole ma netta anisotropia che interessa la radiazione cosmica di fondo a microonde.
Certamente legato a questa situazione è il fatto che le galassie tendono a disporsi lungo superfici perpendicolari alla direzione individuata. La più vicina a noi di queste superfici è stata chiamata la “Grande muraglia”. Le altre “muraglie galattiche” sono pressoché equidistanti, con una distanza media pari a circa 180 milioni di anni luce. Tale valore corrisponde a uno dei periodi rilevati sulla Terra se si ammette che le muraglie si siano create per un fenomeno di risonanza di onde gravitazionali, che la teoria della relatività considera viaggiare alla velocità della luce. Poiché è da ritenere che questa precisa distribuzione delle galassie abbia richiesto molto tempo, durante il quale la distanza tra le muraglie è rimasta sempre la stessa, si deve pensare che l’universo non si stia espandendo e che vada accolta l’interpretazione che Hubble dava del redshift cosmologico, dovuto a una perdita di energia della luce sulle grandi distanze.
-----------------------------------------------------------------
Roberto Mortari, 1939, laureato in Scienze geologiche nel 1964 all’Università di Roma La Sapienza con 110/110 e lode con una tesi in Geologia applicata, dal titolo Rilevamento geologico della parte sud-occidentale della tavoletta Montieri, III NO del Foglio 120 della Carta d’Italia, con studio del giacimento di pirite della miniera del Ritorto, relatore Prof . Roberto Signorini.
Ha insegnato Geotecnica dal 1968 al 2007 presso la Facoltà di Scienze della stessa università, dando alle lezioni un’impronta diversa da quelle degli omonimi corsi tenuti presso le facoltà di Ingegneria e di Architettura. Ciò è stato ottenuto curando l’importanza della conoscenza della storia geologica di un terreno ai fini di una ottimale caratterizzazione tecnica dello stesso. In quest’ottica sono stati ottenuti notevoli progressi grazie all’osservazione che le caratteristiche tecniche di un terreno variano nel tempo in modo discontinuo e che, per un medesimo intervallo di tempo, tutti i terreni tendono ad acquisire valori analoghi di vari parametri geotecnici, come la resistenza al taglio non drenata, la umidità, la densità, la preconsolidazione, con una modesta variabilità in funzione delle proprietà fisiche del terreno, come la composizione granulometrica e quella mineralogica.
Dal 1969 al 1985 ha svolto attività professionale in Italia e all’estero per i progetti di un aeroporto, un eliporto, due ferrovie, tre autostrade.
È stato consulente tecnico sia di parte che di ufficio in cause civili e penali.
Si è occupato e ha pubblicato lavori di rilevamento geologico, stratigrafia, variazioni del livello del mare, consolidazione di terreni recenti, subsidenza, frane sottomarine, attività vulcanica, faglie sismogenetiche, sollevamento dell’Appennino, glacialismo, variazioni climatiche, datazioni.
Ha sviluppato dal 1972 un’ampia conoscenza delle variazioni del livello del mare del passato partendo dall’osservazione che tali variazioni devono avere avuto un carattere nettamente discontinuo per avere lasciato tracce di erosione a quote ben distinte e identiche in tutte le parti del pianeta che si possano considerare stabili.
Ha riscontrato discontinuità anche nelle testimonianze dei fenomeni glaciali, che perciò non possono essere spiegati con variazioni continue dell’assetto della Terra rispetto al Sole, come sostiene invece la cosiddetta teoria astronomica.
Ha pubblicato un libro dal titolo “I ritmi segreti dell’Universo”, in cui espone le sue ricerche sui ritmi che si riscontrano in natura sia in vari generi di fenomeni sulla Terra che nelle curve di luce di alcune stelle e che per questo fanno pensare che abbiano la loro origine da variazioni, di varia intensità e frequenza, del coefficiente di gravitazione universale.
Nel 2011 ha scritto “2012 – Dalla profezia maya alle previsioni della scienza”, in cui fa delle previsioni sul tipo di fenomeni che possono essere alla base di questa cosiddetta profezia e sui loro tempi di attuazione. Vi espone inoltre studi fatti sulle mura megalitiche di Pyrgi e Orbetello, che comunemente vengono attribuite al III e IV secolo a.C. e che invece risultano essere rispettivamente di 3 e 5 millenni più antiche.
Ha insegnato Geotecnica dal 1968 al 2007 presso la Facoltà di Scienze della stessa università, dando alle lezioni un’impronta diversa da quelle degli omonimi corsi tenuti presso le facoltà di Ingegneria e di Architettura. Ciò è stato ottenuto curando l’importanza della conoscenza della storia geologica di un terreno ai fini di una ottimale caratterizzazione tecnica dello stesso. In quest’ottica sono stati ottenuti notevoli progressi grazie all’osservazione che le caratteristiche tecniche di un terreno variano nel tempo in modo discontinuo e che, per un medesimo intervallo di tempo, tutti i terreni tendono ad acquisire valori analoghi di vari parametri geotecnici, come la resistenza al taglio non drenata, la umidità, la densità, la preconsolidazione, con una modesta variabilità in funzione delle proprietà fisiche del terreno, come la composizione granulometrica e quella mineralogica.
Dal 1969 al 1985 ha svolto attività professionale in Italia e all’estero per i progetti di un aeroporto, un eliporto, due ferrovie, tre autostrade.
È stato consulente tecnico sia di parte che di ufficio in cause civili e penali.
Si è occupato e ha pubblicato lavori di rilevamento geologico, stratigrafia, variazioni del livello del mare, consolidazione di terreni recenti, subsidenza, frane sottomarine, attività vulcanica, faglie sismogenetiche, sollevamento dell’Appennino, glacialismo, variazioni climatiche, datazioni.
Ha sviluppato dal 1972 un’ampia conoscenza delle variazioni del livello del mare del passato partendo dall’osservazione che tali variazioni devono avere avuto un carattere nettamente discontinuo per avere lasciato tracce di erosione a quote ben distinte e identiche in tutte le parti del pianeta che si possano considerare stabili.
Ha riscontrato discontinuità anche nelle testimonianze dei fenomeni glaciali, che perciò non possono essere spiegati con variazioni continue dell’assetto della Terra rispetto al Sole, come sostiene invece la cosiddetta teoria astronomica.
Ha pubblicato un libro dal titolo “I ritmi segreti dell’Universo”, in cui espone le sue ricerche sui ritmi che si riscontrano in natura sia in vari generi di fenomeni sulla Terra che nelle curve di luce di alcune stelle e che per questo fanno pensare che abbiano la loro origine da variazioni, di varia intensità e frequenza, del coefficiente di gravitazione universale.
Nel 2011 ha scritto “2012 – Dalla profezia maya alle previsioni della scienza”, in cui fa delle previsioni sul tipo di fenomeni che possono essere alla base di questa cosiddetta profezia e sui loro tempi di attuazione. Vi espone inoltre studi fatti sulle mura megalitiche di Pyrgi e Orbetello, che comunemente vengono attribuite al III e IV secolo a.C. e che invece risultano essere rispettivamente di 3 e 5 millenni più antiche.
Nessun commento:
Posta un commento