martedì 29 giugno 2010

20 attosecondi: il tempo più breve mai misurato.

Fonte: Cordis
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Oltre un secolo fa Albert Einstein risolse un apparente paradosso nella teoria della fotoemissione, descrivendo la luce in quanto composta da particelle, chiamate fotoni, piuttosto che onde. Da allora, la fotoemissione è stata spiegata come un processo nel quale un elettrone è emesso istantaneamente da un atomo dopo che l'atomo assorbe energia da un fotone. Adesso, alcuni fisici finanziati dall'UE hanno mostrato che questo non succede immediatamente. Mentre dimostrava la presenza di un ritardo dopo che il fotone colpisce l'elettrone, il team è riuscito a misurare il tempo più breve mai registrato in natura. Capire meglio queste minuscole interazioni fornisce preziose informazioni su tutti i processi biologici e chimici. I risultati sono stati pubblicati su Science. La ricerca è stata condotta da fisici dell'Istituto Max Planck di ottica quantistica, la Technische Universität München e la Ludwig-Maximilians-Universität München in Germania, che hanno collaborato con fisici provenienti da Austria, Grecia e Arabia Saudita. Il loro lavoro è stato sostenuto dall'UE attraverso una borsa di reintegrazione Marie Curie e una Starting Grant del Consiglio europeo della ricerca (CER). Per rilasciare elettroni dal loro orbitale atomico, sono stati sparati veloci impulsi di luce laser verso atomi neon per meno di quattro femtosecondi (un femtosecondo e un quadrilionesimo di secondo). Gli atomi sono stati colpiti simultaneamente da impulsi ultravioletti estremi, della durata di altri 180 attosecondi (un attosecondo è un quintilione di secondo). I fisici hanno quindi registrato il momento in cui gli elettroni venivano espulsi dall'atomo usando il campo controllato dell'impulso laser sincronizzato come una sorta di "cronografo per attosecondi". Il risultato è stato un ritardo misurabile di circa 20 attosecondi tra il rilascio di un elettrone che occupa l'orbitale 2p e quello dell'elettrone che occupa l'orbitale 2s. La tecnica di misurazione usata dai fisici è la più veloce al mondo. Inoltre, il tempo di 20 attosecondi registrato rappresenta l'intervallo di tempo più breve mai direttamente misurato ad oggi. "Un attosecondo è un miliardesimo di un miliardesimo di secondo, un intervallo di tempo incredibilmente breve," ha spiegato il dott. Reinhard Kienberger dell'Istituto Max Plank di ottica quantistica. "Ma dopo l'eccitazione con la luce, uno degli elettroni lascia l'atomo prima dell'altro. Siamo quindi stati in grado di mostrare che gli elettroni "esitano" brevemente prima di lasciare l'atomo." I membri del team provenienti da Germania, Grecia e Austria hanno determinato che l'esitazione misurava cinque attosecondi. Il motivo per il quale gli elettroni esitano in questa maniera prima di essere emessi è da interpretare. Il dott. Vladislav Yakovlev, anch'egli dell'Istituto Max Planck di ottica quantistica, ha spiegato: "Lo sforzo computativo necessario per creare un modello di un sistema con così tanti elettroni è superiore alla capacità computativa dei supercomputer odierni." Ciononostante i fisici suggeriscono che una causa potrebbe essere l'insieme di interazioni tra elettroni e tra elettroni e il loro nucleo atomico. "Tale interazione elettrone-elettrone potrebbe significare che passa un breve lasso di tempo prima che un elettrone agitato dall'onda di luce incidente venga rilasciato dai suoi compagni elettroni e possa così lasciare l'atomo," ha detto il dott. Martin Schulze dell'Istituto Max Plank di ottica quantistica. Il dott. Ferenc Krausz della Ludwig-Maximilians-Universität München ha evidenziato le implicazioni di ampia portata dei risultati ottenuti dal team: "Queste interazioni che oggi non comprendiamo appieno esercitano un'influenza fondamentale sui movimenti dell'elettrone nelle dimensioni più piccole, che determinano il corso di tutti i processi biologici e chimici, per non parlare della velocità dei microprocessori, che stanno nel cuore dei computer."
Per maggiori informazioni, visitare: Science:
http://www.sciencemag.org/ Technische Universität München: http://portal.mytum.de Istituot Max Planck di ottica quantistica: http://www.mpq.mpg.de/cms/mpq/ Ludwig-Maximilians-Universität München http://www.en.uni-muenchen.de/
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Categoria: Risultati dei progettiFonte: Science; Technische Universität München:Documenti di Riferimento: Schultze, M., et al. (2010) Delay in Photoemission. Nature, pubblicato online il 25 giugno 2010. DOI: 10.1126/science1189401.Acronimi dei Programmi: MS-EL C, MS-A C, MS-D C, FP6-MOBILITY, FP6-STRUCTURING, FRAMEWORK 6C-->Codici di Classificazione per Materia: Coordinamento, cooperazione; Scienze della Terra; Metodi di misurazione; Ricerca scientifica
RCN: 32261

martedì 22 giugno 2010

Il più grande impianto al mondo di desalinizzazione a energia solare, sarà completato nel 2012.

Fonte: ScienzeNews.it
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Un nuovo impianto di purificazione dell'acqua marina sfrutterà le ultime innovazioni nel campo delle tecnologie per l'energia solare e un sistema di filtrazione più efficiente. Il desalinizzatore verrà realizzato in Arabia Saudita, Paese che ricava la maggior parte del fabbisogno di acqua potabile attraverso la rimozione del cloruro di sodio e di altri sali dall'acqua marina.
L'agenzia nazionale per la ricerca (King Abdul Aziz City for Science and Technology – KACST) dell'Arabia Saudita ha pianificato l'uso dell'energia solare, una delle risorse energetiche più abbondati del Paese, per soddisfare il fabbisogno nazionale di acqua potabile. A tale scopo è in fase di costruzione nella città di Al-Khafji il più grande impianto al mondo di desalinizzazione a energia solare, sarà completato nel 2012 e produrrà 30 mila metri cubi di acqua potabile al giorno per soddisfare il fabbisogno di 100 mila persone. In seguito verranno realizzati altri impianti in numerose località dell'Arabia Saudita.
L'impianto userà una nuova tecnologia di celle fotovoltaiche a concentrazione e un sistema innovativo per filtrare l'acqua sviluppato dalla KACST in collaborazione con IBM e con la University of Texas. Il nuovo desalinizzatore otterrà l'energia necessaria per il suo funzionamento da un impianto solare a concentrazione che prevede lenti e specchi per incanalare la luce del sole verso celle solari ultra efficienti. Il processo di conversione della luce solare in elettricità genera molto calore pertanto è necessario un buon impianto di raffreddamento. La soluzione proposta da IBM per disperdere il calore in eccesso prevede l'impiego di una lega di indio e gallio che passa sotto ai chips di silicone, l'uso di questo metallo liquido ha permesso ai ricercatori di concentrare 2300 volte l'energia solare su un dispositivo solare di un centimetro quadrato. Gli impianti di desalinizzazione sfruttano la distillazione per ottenere acqua potabile dall'acqua marina, mentre i nuovi impianti, compreso quello in fase di realizzazione nella città di Al-Khafji, usano l'osmosi inversa che prevede il passaggio forzato dell'acqua marina attraverso una membrana polimerica ottenendo così la separazione dei sali dall'acqua.Per il nuovo impianto di desalinizzazione è stata messa a punto una membrana innovativa, sviluppata da IBM e University of Texas, che consente una osmosi inversa più efficiente dal punto di vista energetico.Le membrane di poliammide attualmente in uso si intasano facilmente con oli e microrganismi, tendono inoltre a rompersi nel tempo a causa del trattamento dell'acqua marina con cloro.La nuova membrana polimerica contiene un materiale usato da IBM per modellare i circuiti di rame sui chips dei computer. Il nuovo materiale contiene composti florurati che, a valori di pH alti, si caricano e preservano la membrana dall'azione del cloro e dello sporco.Il risultato è che l'acqua fluisce molto più rapidamente rispetto alle membrane per osmosi inversa attualmente in uso.La nuova membrana è competitiva anche dal punto di vista della qualità dell'acqua poiché permette di rimuovere il 99,5 % dei sali, risultato analogo a quello delle attuali membrane.Il principale obiettivo del nuovo impianto è riuscire ad ottenere acqua potabile in modo più sostenibile per l'ambiente. L'impianto soddisferà anche la necessità di abbassare i costi della desalinizzazione dell'acqua marina: quasi la metà della spesa è dovuta al costo dell'energia usata nel processo che, nella maggior parte degli impianti attualmente in funzione, viene ottenuta dai combustibili fossili. Sebbene il costo della produzione di energia dagli impianti solari sia ancora molto elevato e superiore al costo dei combustibili fossili in numerosi Paesi, ha senso affrontare adesso questa spesa poiché si rivelerà la soluzione più economica nel prossimo futuro.L'impiego dell'energia solare consentirà la riduzione delle emissioni di gas serra ottenendo così un vantaggio ambientale di enorme valore.

Inizia a svilupparsi un mercato mondiale sia per l'energia mareomotrice sia per l'energia delle onde marine.

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Sono in progetto dieci nuovi impianti che sfrutteranno l'energia mareomotrice e l'energia delle onde marine per generare energia elettrica pulita nel mare a nord della Scozia.
Il governo inglese ha dato il via libera a nuovi e consistenti progetti per l'utilizzo dell'energia rinnovabile dal mare: si tratta di 6 progetti per l'energia delle onde e 4 progetti per l'energia delle maree. Gli impianti verranno realizzati a partire dal 2013 attorno alle isole di Orkney in Scozia e potranno generare energia pari a 1,2 gigawatt.Si tratta di un passo avanti molto importante per l'Inghilterra che fino ad ora ha installato solo impianti sperimentali e di piccole dimensioni. “Le energie rinnovabili sono un settore in rapida crescita” afferma Martin McAdam, amministratore delegato di
Aquamarine Power che, in collaborazione con Scottish and Southern Energy, garantisce energia per 200 megawatt e attualmente rappresenta il principale produttore di energia rinnovabile in Inghilterra.
Le acque che circondano la Scozia sprigionano grandi quantità di energia grazie alla loro posizione geografica strategica: schiacciate tra l'Oceano Atlantico e il Mare del Nord.Le onde che raggiungono le coste delle isole di Orkney sono mediamente alte 2 metri e possono superare i 10 metri. Da queste onde è possibile ricavare energia pari al 15-20% del fabbisogno totale inglese.I dieci impianti scozzesi rientrano in un più ampio progetto dell'European Marine Energy Centre (EMEC) che sovvenziona in parte i lavori.“Inizia a svilupparsi un mercato mondiale sia per l'energia mareomotrice sia per l'energia delle onde marine, questo è il motivo che spinge l'interesse delle grandi compagnie energetiche” afferma Amaan Lafayette, manager presso E.ON, azienda vincitrice di due licenze per la realizzazione dei nuovi impianti in Scozia.I nuovi impianti dovranno dimostrare di poter affrontare una lunga permanenza in acque aperte, si tratta di una sfida molto impegnativa, infatti bisogna tenere presente che numerosi prototipi non hanno retto di fronte alla forza del mare – basta ricordare i prototipi per l'energia mareomotrice installati nell'East River di New York nel 2007 o i generatori della Pelamis Wave Power posti al largo del Portogallo, tra problemi tecnici e turbolenze marine inaspettate entrambi i progetti non sono andati a buon fine.Il direttore dell'EMEC, Neil Kermode, spiega che le tecnologie per lo sfruttamento dell'energia marina sono ancora in fase di sviluppo e dovranno superare numerosi ostacoli prima di diventare completamente operative. Gran parte dei generatori che verranno installati nel mare attorno alle isole di Orkney sono dispositivi di seconda generazione, molto più progrediti e dotati di una migliore tecnologia rispetto ai generatori attuali.Tra le tecnologie per l'energia marina è stato sviluppato Oyster di Aquamarine Power, si tratta di un convertitore idroelettrico di onde marine. Il dispositivo è costituito da un flap messo in moto meccanicamente dalle onde e collegato al fondo marino a circa 10 metri di profondità. L'energia delle onde muove il flap che mette in funzione un pistone idraulico che invia acqua a elevata pressione ad una turbina elettrica posta a riva. Oyster non ha parti mobili o generatori di energia posti in acqua e questo dovrebbe preservare il dispositivo da eventuali danni tecnici causati dalla lunga permanenza in mare.L'azienda ha installato il suo primo prototipo di Oyster lo scorso ottobre ed ora sta realizzando l'impianto su grande scala: un dispositivo dotato di 3 flap che vanno ad alimentare una turbina da 2,5 megawatt. I test sono previsti all'EMEC il prossimo anno.I dispositivi per l'energia mareomotrice che verranno installati nei siti scozzesi usano tutti turbine poste sotto il livello dell'acqua e saranno quindi silenziose e non visibili dalla superficie. Le turbine dell'azienda OpenHydro sfruttano una tecnologia semplice e robusta, saranno poste sul fondale marino senza pericolo per il traffico navale, le turbine di Marine Current Turbines e quelle di Hammerfest Strom assomigliano di più a impianti eolici mossi dalla corrente marina al posto che dal vento. Affinché gli impianti su grande scala possano essere realizzati con un buon margine di sicurezza i costruttori auspicano di poter condurre sufficienti test su dispositivi in scala più piccola con lo scopo di verificare in ogni dettaglio la fattibilità dei singoli progetti.Tutti i dispositivi che verranno installati in Scozia sono molto costosi da realizzare e i costruttori avranno particolari facilitazioni economiche già predisposte dal governo inglese nell'ambito dello sviluppo delle energie rinnovabili nel Paese.Il governo inglese ha recentemente incluso gli impianti per lo sfruttamento dell'energia marina in un ampio piano di valutazione di impatto ambientale volto a tutelare lo sviluppo sostenibile delle coste. Per questo motivo i dieci siti che ospiteranno gli impianti dovranno essere analizzati anche sotto il profilo ambientale. “E' necessario fare una specifica valutazione di impatto ambientale per ognuno dei siti e studiare in modo preciso il tipo di tecnologia più adatta in base alle caratteristiche del singolo sito” spiega Lafayette.L'ESPRI (Electric Power Research Institute) mette in luce che l'energia delle onde marine e delle maree potrebbe soddisfare circa il 10% del fabbisogno energetico degli USA e potrebbe essere ottenuta ad un costo simile a quello sostenuto per gli impianti eolici presenti in numerosi stati americani come Hawaii, California, Oregon e Massachusetts.Sono comunque in fase di valutazione ulteriori aspetti legati alla realizzazione degli impianti marini con l'obiettivo di fornire un quadro esaustivo di questo tipo di tecnologia entro il prossimo anno.Se le nuove tecnologie per il rinnovabile hanno conquistato il mare della Scozia, potranno presto raggiungere ulteriori importanti traguardi in altre aree del Pianeta con nuovi progetti per lo sfruttamento delle onde del mare e delle maree. Proprio come accadde in Danimarca con l'installazione degli impianti eolici che, dagli anni '70 e '80 ad oggi, hanno conquistato posizioni importanti nel mercato energetico mondiale.

giovedì 3 giugno 2010

Preparati DNAzimi, componenti per biocomputer.


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Scienziati finanziati dall'Unione europea sono riusciti a dimostrare la realizzabilità dei componenti destinati a una sorta di "biocomputer", preparando la strada per compiere nuovi progressi tecnologici nel campo della bioingegneria. Gli scienziati, del Dipartimento di chimica dell'Università di Liegi (Belgio) e dell'Istituto di chimica della Università ebraica di Gerusalemme (Israele) hanno illustrato i dettagli del proprio lavoro in un articolo pubblicato sulla rivista Nature Nanotechnology.L'Unione europea ha finanziato la ricerca nell'ambito del progetto MOLOC ("Molecular logic circuits"), al quale sono stati assegnati 2 milioni di euro (dei 2,67 milioni stanziati complessivamente) in riferimento al tema "Tecnologie dell'informazione e della comunicazione" del Settimo programma quadro (7° PQ).Per lo studio, coordinato dal professor Itamar Willner dell'Università ebraica di Gerusalemme, i ricercatori hanno teoricamente sviluppato e dimostrato in modo sperimentale che gli acidi nucleici catalitici artificiali, conosciuti con il nome di DNAzimi, e i loro substrati possono essere utilizzati come piattaforma per le operazioni logiche che costituiscono il fulcro dei processi computazionali.Il lavoro potrebbe rivelarsi utile per lo sviluppo di nuove applicazioni nell'ambito della nanomedicina, per esempio, dove l'effettuazione di operazioni logiche a livello molecolare potrebbe facilitare l'analisi della patologia in corso e stimolare la reazione degli agenti terapeutici."I sistemi biologici in grado di effettuare operazioni computazionali potrebbero essere d'ausilio per la bioingegneria e la nanomedicina. Il DNA (acido deossiribonucleico), come altre biomolecole, è già stato utilizzato come componente attivo all'interno dei circuiti biocomputazionali", scrivono i ricercatori."Tuttavia, affinché i circuiti biocomputazionali possano essere utilizzati in queste applicazioni, è necessario mettere a punto una raccolta di elementi computazionali che provi l'accoppiamento modulare di questi elementi e la scalabilità di un approccio di questo genere.Il team ha creato una piattaforma computazionale basata sul DNA che sfrutta due raccolte di acidi nucleici, una delle quali è costituita da subunità dei DNAzimi. La seconda raccolta, invece, comprende i substrati dei DNAzimi."Dimostriamo che la raccolta dei DNAzimi, progettati e sintetizzati dal team del Professor Willner, consente la realizzazione di un insieme completo di porte logiche che possono essere utilizzate per il calcolo di qualsiasi funzione Booleana" ha spiegato Francoise Remacle dell'Università di Liegi, coordinatrice del progetto MOLOC."Abbiamo anche dimostrato che l'assembramento dinamico [di queste porte] nei circuiti può essere diretto mediante impulsi selettivi. Inoltre, il progetto consente l'amplificazione degli output".Il progetto MOLOC, avviato nel 2008, dovrebbe concludersi al termine del 2010. L'obiettivo dell'iniziativa è progettare e dimostrare la realizzabilità e i vantaggi dei circuiti logici il cui elemento di base è costituito da un'unica molecola (o insiemi di atomi e molecole) che agisce come circuito logico. Questi sistemi si distinguono dai sistemi in cui le molecole svolgono il ruolo di interruttori.Oltre all'Università di Liegi e all'Università ebraica di Gerusalemme, sono partner del progetto MOLOC: l'Istituto di ricerca sullo stato solido (IFF) presso il Forschungszentrum Jülich, l'Istituto Max Planck per l'ottica quantistica, il dipartimento di chimica dell'Università Heinrich-Heine di Düsseldorf, l'Istituto di ottica applicata della Technische Universität Darmstadt (tutti in Germania) e l'Istituto Kavli per le nanoscienze del Politecnico di Delft (Paesi Bassi).