lunedì 16 agosto 2010

Un orologio atomico di nuova generazione il cui elemento chiave potrebbe essere il Torio-229.

Fonte: Cordis
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Alcuni scienziati europei stanno per dedicare completamente il loro impegno allo sviluppo di un orologio atomico nucleare, dispositivo che rappresenterà un importante passo avanti rispetto agli orologi atomici attualmente in uso. Un impegno, questo, reso possibile grazie ai fondi (1,3 milioni di euro) messi a disposizione mediante una borsa "starting" di durata quinquennale dal Consiglio europeo della ricerca (CER) a Thorsten Schumm, dell'Istituto per la fisica atomica e subatomica del Politecnico di Vienna (Austria). I fondi del CER si aggiungono a un riconoscimento START assegnato al dott. Schumm dal Fondo austriaco per la ricerca a fine 2009. Il fulcro del progetto è rappresentato dall'isotopo radioattivo torio-229. Gli atomi sono costituiti da nuclei attorniati da una nube di elettroni. Nella maggior parte degli atomi, la quantità di energia necessaria a provocare dei cambiamenti (quale lo stato di eccitazione, per esempio) nel nucleo e nelle nubi elettroniche differiscono di diversi ordini di magnitudo. Proprio per questo motivo, gli scienziati che studiano i diversi componenti dell'atomo ricorrono a strumenti diversi. Gli scienziati attivi nell'ambito della fisica atomica, per esempio, per l'analisi delle nubi elettroniche utilizzano perlopiù laser, mentre i ricercatori che si occupano di fisica atomica per lo studio del nucleo ricorrono agli acceleratori di particella. Il torio-229 si distingue poiché il suo stato di eccitazione del nucleo è innescato da un'energia particolarmente ridotta. "Potrebbe essere possibile indurre lo stato di eccitazione in un nucleo atomico utilizzando la luce (laser)!", scrivono i ricercatori sul loro sito Internet. "L'obiettivo del progetto è individuare e caratterizzare questa transizione nucleare a bassa energia e renderla accessibile per studi e applicazioni di grande rilievo". Nello specifico, il dott. Schumm spera, insieme ai suoi colleghi, di poter sfruttare queste particolari proprietà del nucleo del torio-229 per la costruzione di un orologio atomico nucleare. Attualmente, il secondo viene definito come 9.192.631.770 oscillazioni di un'onda luminosa. Questo provoca alcune variazioni specifiche all'interno della nube elettronica di un atomo di cesio: una caratteristica, questa, sfruttata negli orologi atomici utilizzati per definire i parametri temporali in uso. Tuttavia, le transizioni elettroniche sono estremamente sensibili ai campi magnetici ed elettrici ed è per questo che gli orologi atomici sono dotati di strutture schermanti complesse. Inoltre, poiché le misurazioni devono essere effettuate senza considerare le cause che le determinano, la prossima generazione di orologi atomici dovrà basarsi sui satelliti. Un orologio atomico nucleare creato sulla base del torio-229 riuscirebbe a raggirare questo tipo di problemi. "Gli ioni di torio possono essere inseriti nei cristalli UV [ultravioletti] trasparenti", spiegano i ricercatori. "Inoltre la tecnologia sottovuoto, ingombrante e complessa, attualmente necessaria per gli orologi atomici potrebbe essere sostituita da un singolo cristallo a temperatura ambiente stimolato con atomi di torio-229". Se il team riuscisse nel suo intento, l'orologio atomico nucleare che ne risulterebbe potrebbe migliorare sensibilmente l'accuratezza dei nostri standard temporali. Il dott. Schumm ha già iniziato a costituire la sua équipe di lavoro e sono stati avviati i lavori per la costruzione di un laboratorio all'avanguardia che possa soddisfare gli standard elevati richiesti per poter utilizzare il laser (per farlo la temperatura deve essere estremamente stabile e le vibrazioni devono essere molto ridotte) e gli standard di radioprotezione. Il laboratorio dovrebbe essere pronto per il prossimo ottobre. Secondo il team, l'Istituto per la fisica atomica e subatomica èn uno dei pochi posti al mondo in cui la fisica nucleare e delle particelle può essere unita con la spettroscopia al laser di precisione. "Questo ambiente è davvero unico e dimostra l'impegno del Politecnico di Vienna per questo progetto", ha commentato il dott. Schumm.
Per maggiori informazioni, visitare: Sito web del progetto Thorium:
http://www.thorium.at/ Politecnico di Vienna http://www.tuwien.ac.at/ Consiglio europeo della ricerca (CER): http://erc.europa.eu/
Categoria: ProgettiFonte: Politecnico di ViennaDocumenti di Riferimento: Sulla base di informazioni fornite dal Politecnico di ViennaAcronimi dei Programmi: MS-A C, FP7, FP7-IDEAS, FUTURE RESEARCH-->Codici di Classificazione per Materia: Coordinamento, cooperazione; Tecnologia dei materiali ; Ricerca scientifica; Altre tecnologie
RCN: 32427

domenica 15 agosto 2010

I rifiuti come carburante per i robot autonomi: Von Neumann aveva visto giusto ...alla fine si auto-replicheranno!

Fonte: Cordis
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Come dice il proverbio, l'immondizia di un uomo è il tesoro di un altro. In questo caso, l'immondizia in questione è usata da un robot per creare energia per il prorpio funzionamento. Negli ultimi anni, il team di scienziati finanziati dall'UE che sta dietro alle serie EcoBot (I, II, III) di robot ha generato energia alimentando la macchina con rifiuti e materie prime. Adesso hanno in mente di ricavare energia dall'urina per lo stesso scopo. Il progetto EcoBot-III ha ricevuto 320.000 euro di finanziamenti nell'ambito del Sesto programma quadro (6° PQ) dell'UE. Il dott. Ioannis Leropoulos, il professor John Greenman, il professor Chris Melhuish e altri ricercatori del Bristol Robotics Laboratory (BRL) nel Regno Unito si sono occupati di una serie di esperimenti condotti nell'ambito di EcoBot I, II, III. Il loro particolare metodo consisteva nel creare un apparato digerente artificiale per il robot. Questo "intestino" è stato progettato intorno a una nuova tecnologia di pila a combustibile microbiologica (microbial fuel cell o MFC), che attinge a colture batteriche per decomporre il "cibo" e generare energia. "Nel corso degli anni abbiamo alimentato le MFC con frutta guasta, erba tagliata, gusci di gamberi e mosche morte nel tentativo di studiare diversi tipi di materiali di scarto da usare come fonte di alimentazione per le MFC, ha spiegato il dott. Ieropoulos. "Abbiamo cercato di trovare i migliori materiali di scarto in grado di creare una maggiore quantità di energia." L'accesso all'energia è uno dei maggiori ostacoli all'uso di robot autonomi, in particolare nelle zone inaccessibili. Gli scienziati credono che un robot, per essere effettivamente autonomo, non solo deve usare la propria energia in modo saggio ma deve anche essere in grado di generare energia a partire dall'ambiente che lo circonda. Questo significa essere in grado di cercare, raccogliere e digerire i materiali di scarto per ripristinare le proprie riserve di energie. Il che a sua volta, ha il potenziale per contribuire significativamente alla questione della gestione dei rifiuti. L'ultima sfida che sta alla base dell'attuale impegno del team riguarda l'uso dell'urina per le MFC. Il dott. Leropoulos ha spiegato che l'urina è ricca di nitrogeno e possiede cloruro, potassio, bilirubina e altri composti - i quali la rendono ideale per le MFC. I test preliminari hanno già dimostrato che è un materiale di scarto molto efficiente. Il primo passo per i ricercatori consiste nel fare in modo che le MFC lavorino insieme in una serie di pile legate in un flusso continuo detto "catasta". Una catasta di MFC legate tra loro è più efficiente e produce più energia rispetto alla stessa quantità di MFC prese singolarmente. Il team sta lavorando per produrre un prototipo di orinatoio portatile che userebbe urina per produrre energia a partire da pile a combustibile. Sebbene il progetto sia nella sua fase iniziale, gli scienziati credono che una macchina di questo tipo potrebbe essere usata per eventi all'aperto come concerti. I ricercatori si sono già assicurati l'interesse dell'azienda Ecoprod Technique, con sede nel Regno Unito, che produce orinatoi senz'acqua. Marcus Rose dell'Ecoprod ha definito questa collaborazione interessante e preziosa per l'azienda: "Abbiamo parlato con i ricercatori che dicono che questo prodotto è l'unico tipo perfettamente adatto per completare questa ricerca. Siamo impazienti di dare il nostro contributo a questo progetto unico.” Nell'ambito del progetto EcoBot, i ricercatori stanno attualmente esplorando la possibilità di usare la tecnologia di produzione di energia delle MFC sott'acqua. L'apparecchio funzionerebbe come una forra artificiale nella quale l'ossigeno verrebbe usato in un catodo acquoso e la materia organica come biomassa. "I progressi in questo campo danno un contributo significativo alle sfide che dobbiamo affrontare oggi in termini di produzione di energia e smaltimento dei rifiuti," ha concluso il dott. Ieropoulos. "Speriamo che questa ricerca contribuirà a cambiare il nostro modo di pensare riguardo l'energia e i rifiuti umani." EcoBot I e EcoBot II sono stati sviluppati nel 2002 e nel 2004 rispettivamente.
Per maggiori informazioni, visitare: EcoBot:
http://www.brl.ac.uk/projects/ecobot/index.html Bristol Robotics Laboratory: http://www.brl.ac.uk/index.html University of Bristol: http://www.bris.ac.uk/ University of the West of England: http://www.uwe.ac.uk/
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Categoria: Risultati dei progettiFonte: Bristol Robotics LaboratoryDocumenti di Riferimento: Sulla base di informazioni fornite dal Bristol Robotics LaboratoryAcronimi dei Programmi: FRAMEWORK 6C, MS-UK C-->Codici di Classificazione per Materia: Biotecnologia; Coordinamento, cooperazione; Altri temi relativi all'energia; Robotica ; Fonti di energia rinnovabile; Ricerca scientifica; Gestione dei rifiuti
RCN: 32423

Metà della popolazione mondiale corre il rischio di contrarre la malaria.

Fonte: Cordis
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Nel Regno Unito alcuni ricercatori hanno dimostrato che, se venisse attuato un programma d'intervento capillare, gli strumenti attualmente disponibili per combattere la malaria potrebbero ridurre in maniera significativa l'incidenza della forma maligna della malattia in alcune regioni dell'Africa. I risultati dello studio, pubblicati sulla rivista Public Library of Science (PLoS) Medicine, rappresentano le conclusioni del progetto TRANSMALARIABLOC ("Blocking malaria transmission by vaccines, drugs and immune mosquitoes: efficacy assessment and targets") che ha ricevuto finanziamenti per 3 milioni di euro in riferimento alla tematica dedicata alla salute del Settimo programma quadro (7°PQ). Nel corso del decennio scorso c'è stato un considerevole impegno per ridurre la trasmissione di questa malattia in Africa. Tuttavia, è difficile determinare con esattezza l'efficacia degli interventi specifici. Sebbene numerosi paesi abbiano riferito di una diminuzione dei casi di trasmissione della malaria, questa patologia, che ha esisto mortale, continua a rappresentare un problema molto grave. Secondo lo studio, metà della popolazione mondiale corre il rischio di contrarre la malaria, una malattia, questa, che costa annualmente la vita a quasi un milione di persone solo nell'Africa sub-sahariana. Il Plasmodium falciparum, il protozoo parassita della specie Plasmodium che causa la malaria negli esseri umani, viene trasmesso dalle zanzare Anopheles, insetti che pungono (e iniettano i parassiti mortali) soprattutto nelle ore serali. Con l'ausilio di un modello di simulazione avanzato, i ricercatori sono riusciti a dimostrare che l'uso capillare e prolungato di zanzariere impregnate di insetticida unito alle terapie di combinazione con i derivati dell'artemisinina (ACT) permette di ridurre la presenza dei parassiti fino all'1% nelle zone caratterizzate da una trasmissione della malaria da lieve e moderata che vedono le zanzare prediligere gli ambienti chiusi. Il modello di simulazione individuale contemplava tre specie di zanzare e la prevalenza del P. falciparum (malaria maligna) in 34 regioni africane con livelli di trasmissione del parassita malarico diversi. I ricercatori hanno esaminato gli effetti dell'adozione delle terapie ATC, dell'adozione di zanzariere impregnate di insetticidi, del costante utilizzo delle stesse, del trattamento con insetticidi degli ambienti interni (indoor residual spraying), della stagione, del monitoraggio di massa e del trattamento di aree con livelli di trasmissione lievi, moderati ed elevati. Gli scienziati hanno inoltre analizzato gli effetti potenziali di un eventuale vaccino. I risultati hanno dimostrato che le aree caratterizzate da livelli di trasmissione da lievi a moderati potrebbero beneficiare in misura significativa di intervento, ma che nelle zone con livelli di trasmissione elevati o che vedono le zanzare colpire soprattutto all'aria aperta sono necessari urgentemente nuovi strumenti. Considerata la serie di strumenti oggi a disposizione, affermano gli autori, è irrealistico pensare che la larga diffusione dei parassiti possa scendere sotto l'1% nelle aree in cui i livelli di trasmissione sono elevati. I nuovi interventi dovrebbero riguardare le zanzare che vivono negli ambienti esterni, in modo particolare quelle della specie Anopheles arabiensis. Il processo di trasmissione della malaria è estremamente complesso e vi sono ancora alcuni punti oscuri. Il nuovo modello rappresenta solo una semplificazione, mettono in guardia gli autori, e non devono essere interpretati come previsioni con un elevato margine di certezza. "Il nostro modello rappresenta necessariamente la semplificazione di dinamiche molto complesse che sono alla base della trasmissione e del controllo della malaria. Per questo i risultati numerici devono essere interpretati come dati intuitivi relativi a scenari potenziali e non come previsioni certe di quanto può accadere in una data area", si legge nello studio. I ricercatori TRANSMALARIABLOC stanno valutando alcuni strumenti sviluppati in base alle ultime conoscenze acquisite sulla biologia dei parassiti e delle zanzare. Il progetto auspica la creazione di un ambiente nuovo dedicato alla ricerca sulla trasmissione della malaria.
Per maggiori informazioni, visitare: London School of Hygiene & Tropical Medicine:
http://www.lshtm.ac.uk/ Per consultare TransMalariaBloc su Europa, fare clic: qui
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Categoria: Risultati dei progettiFonte: Public Library of ScienceDocumenti di Riferimento: Griffin, J.T., et al. (2010) Reducing Plasmodium falciparum malaria transmission in Africa: a model-based evaluation of intervention strategies. PLoS Medicine 7:e1000324. DOI: 10.1371/journal.pmed.1000324.Acronimi dei Programmi: MS-UK C, FP7, FP7-COOPERATION, FP7-HEALTH, FUTURE RESEARCH-->Codici di Classificazione per Materia: Coordinamento, cooperazione; Servizi/prestazioni sanitarie ; Medicina, sanità; Sviluppo regionale; Ricerca scientifica; Aspetti sociali
RCN: 32418