sabato 10 luglio 2010

Una volta Venere era abitabile?

Fonte: Cordis
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Oggi, Venere corrisponde alla nostra idea dell'Inferno: temperature 2 o 3 volte superiori a quelle di un forno, un'atmosfera nociva e una pressione superficiale circa 100 volte quella della Terra - e quindi pochissima acqua. In passato però il pianeta potrebbe essere stato molto più simile alla nostra Terra e potrebbe aver avuto persino oceani. A quattro anni dall'inzio della missione europea Venus Express, gli scienziati stanno svelando i misteri di questo pianeta. Venere è il pianeta più vicino alla Terra. Le sue dimensioni e la sua massa sono paragonabili con quelle del nostro pianeta e si è formato in un periodo simile e a partire da materiali simili. Venere però adesso è completamente diversa. "Capire l'evoluzione di Venere dovrebbe aiutarci a capire non solo l'evoluzione della Terra ma forse anche dei sistemi planetari (al di fuori del sistema solare)," ha detto il dott. Colin Wilson dell'Università di Oxford nel Regno Unito. L'Agenzia spaziale europea (ESA) ha lanciato la missione Venus Express per svelare i misteri del piccolo pianeta nel novembre del 2005. Arrivato ad aprile 2006, il satellite esamina Venus già da quattro anni. "Venus Express continua a costituire una ricca fonte di dati e informazioni" e la conferenza di quest'anno (tenutasi a giugno ad Aussois, Francia) ha contribuito a svelare alcune delle più interessanti scoperte fatte finora, secondo Håkam Svedhem, uno degli scienziati del progetto Venus Express. Venus Express ha fornito ai ricercatori un quadro completo della struttura, la composizione e le dinamiche del pianeta, nonché immagini mai viste prima della Venus Monitoring Camera. "La composizione basilare di Venere è molto simile a quella della Terra," ha spiegato il dott. Svedhem, tranne che per l'acqua che è abbondante sulla Terra e praticamente inesistente su Venere. Miliardi di anni fa però Venere aveva probabilmente molta più acqua e i dati del Venus Express hanno confermato che il pianeta ha perso grandi quantità di acqua nello spazio a causa delle radiazioni ultraviolette del Sole. "Tutto fa pensare che in passato ci fossero grandi quantità di acqua su Venere," ha sottolineato il dott. Wilson. Ma questo non significa necessariamente che ci fossero oceani sulla sua superficie. Il dott. Eric Chassefière, esperto di pianeti presso l'Université Paris-Sud in Francia, ha sviluppato un modello computerizzato che suggerisce che l'acqua si trovasse per lo più nell'atmosfera del pianeta e non sulla sua superficie e che fosse esistita solamente nelle prime fasi della vita di Venere. È difficile verificare questa ipostesi. Il dott. Chassefière crede che ulteriori modelli, insieme ad altri dati provenienti da Venus Express, aiuteranno gli scienziati a capire l'evoluzione del pianeta. In passato, sia la Russia che gli Stati Uniti hanno inviato veicoli spaziali sul nostro vicino; gli scienziati hanno poi messo da parte Venere per circa dieci anni fino al lancio di nuove imprese spaziali. Le prossime missioni forniranno più dati e contribuiranno a svelare i misteri di Venere. In particolare la missione giapponese Akatsuki dovrebbe raggiungere Venere a dicembre 2010. Osserverà il pianeta da un'orbita diversa e fornirà informazioni complementari a quelle apportate da Venus Express.
Per maggiori informazioni, visitare: Missione Venus Express dell'Agenzia spaziale europea
http://sci.esa.int/science-e/www/area/index.cfm?fareaid=64 Venus climate orbiter Akatsuki della JAXA (Japan Aerospace Exploration Agency): http://www.jaxa.jp/projects/sat/planet_c/index_e.html
ARTICOLI CORRELATI: 30270, 31972
Categoria: VarieFonte: ESADocumenti di Riferimento: Sulla base di informazioni fornite dall'ESACodici di Classificazione per Materia: Coordinamento, cooperazione; Scienze della Terra; Ricerca scientifica; Ricerca spaziale e satellitare
RCN: 32307

Scoperti due anticorpi che neutralizzano il 90 per cento dei ceppi di Hiv.

Fonte: Le Scienze
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La scoperta e l'analisi strutturale che spiega come operano sono importanti per lo sviluppo di un vaccino preventivo di uso globale.
Grazie a una nuova tecnica di analisi, un gruppo di ricercatori del National Institute of Allergy and Infectious Diseases (NIAID) dei National Institutes of Health diretti da John R. Mascola è riuscito a identificare nel sangue di soggetti infettati dall'Hiv due anticorpi naturali, chiamati VRC01 e VRC02, che sono in grado di neutralizzare più ceppi di Hiv, il 91 per cento circa, e con più efficacia rispetto agli anticorpi finora noti.La determinazione della struttura a livello atomico di uno di essi, VRC01, ha permesso di definire anche il modo in cui l'anticorpo svolge la propria azione. La scoperta è illustrata in due articoli pubblicati sulla rivista Science (Structural Basis for Broad and Potent Neutralization of HIV-1 by Antibody VRC01 e Rational Design of Envelope Surface Identifies Broadly Neutralizing Human Monoclonal Antibodies to HIV-1)."La scoperta di questi anticorpi neutralizzanti che combattono l'Hiv e l'analisi strutturale che spiega come operano rappresentano importanti progressi che potranno accelerare gli sforzi per trovare un vaccino preventivo per l'Hiv di uso globale", ha commentato Anthony S. Fauci, M.D., direttore del NIAID. "Inoltre la tecnica utilizzata dal team per trovare questi anticorpi rappresenta un nuova strategia che potrebbe essete utilizzata per progettare vaccini contro molte altre patologie."L'identificazione di tipi di anticorpi in grado di neutralizzare i diversi ceppi dell'Hiv è estremamente difficile perché il virus modifica in continuazione le proteine di superficie, rendendosi irriconoscibile al sistema immunitario e dando origine a una straordinaria varietà di ceppi. VRC01 e VRC02 si legano però al sito di legame CD4 del virus - quello che permette a esso di legarsi ai linfociti e invaderli - che prioprio per questo non può variare così rapidamente. "Gli anticorpi attaccano una parte del virus che praticamente non varia, e ciò spiega perché sono in grado di neutralizzare uno spettro così ampio di ceppi del virus", ha detto Mascola.

giovedì 8 luglio 2010

Scienziati europei cercano di sfondare la barriera della capacità di immagazzinamento dati.

Fonte: Cordis
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La possibilità di conservare enormi quantità di documenti, foto, video e musica sui nostri computer e altri gadget è il risultato di enormi progressi della tecnologia nel corso degli anni. Alcuni scienziati del progetto finanziato dall'UE TERAMAGSTOR ("Terabit magnetic storage technologies") hanno adesso in programma di allargare ulteriormente i confini con un hard disk con una capacità immagazinamento di un terabit per pollice quadrato (1 Tbit/in2). Il progetto è stato finanziato con 3,45 Mio EUR dal Tema "Tecnologie dell'informazione e della comunicazione" (TIC) del Settimo programma quadro (7° PQ) dell'UE. Il progetto TERMAGSTOR succede all'originale progetto MAFIN ("Magnetic films on nanospheres: innovative concept for storage media"), che era stato finanziato con 1,3 Mio EUR dall'Area tematica "Tecnologie della società dell'informazione" (TIC) del Sesto programma quadro (6? PQ) dell'UE. Per sviluppare il loro concetto, i ricercatori TERAMAGSTOR hanno usato minuscole nanosfere magnetizzate, che con 25 nanometri di diametro sono più grandi dei tradizionali grani ma più piccole delle cellule di immagazinamento normali. Secondo il team, il vantaggio offerto dall'uso di queste nanosfere consiste nel fatto che esse si autoassemblano in una matrice normale, il che potrebbe tenere bassi i costi. Le nanosfere sono state poi mescolate con una soluzione a base di alcool che è stata messa sul substrato. Per far si che queste particelle rimanessero al loro posto, gli scienziati hanno aggiunto una pellicola magnetica (una lega ferro-platino che ha suscitato non poco interesse nel settore industriale) sulla superficie per formare una specie di "calotta" magnetica. Questa calotta agisce effettivamente come un magnete (con un polo nord e un polo sud), e la matrice può essere usata come congegno di immagazinamento. Andrebbe notato che, visto che sfere separate da 25 nanometri equivalgono a una densità di immagazinamento di 1 terabit (1000 gigabit) per pollice quadrato, il team di MAFIN ha pensato che lo stesso metodo con sfere più piccole potrebbe generare densità fino a 6 volte maggiori. A parte il mezzo di registrazione in sè, i ricercatori hanno anche studiato le tecniche di registrazione (hanno scoperto che bisognerà operare delle modifiche al ferro-platino in modo che le informazioni possano essere registrate e lette facilmente) e hanno sperimentato l'uso di un sonda a punta magnetica (in sostituzione della tradizionale testina di registrazione) per magnetizzare e leggere ognuna delle nanosfere. A differenza degli hard disk di oggi che registrano le informazioni su uno strato ferromagnetico fatto di grani, l'obiettivo di MAFIN era quello di sviluppare un nuovo mezzo di registrazione magnetica per applicazioni di immagazinamento magnetico a densità ultra alta. TERMAGSTOR si è basato sui risultati del progetto proof-of-concept per progettare, fabbricare e testare futuri mezzi di immagazinamento magnetici perpendicolari con una densità areale (la densità di un oggetto bidimensionale) maggiore di 1 Tbit/in2. Chimici, fisici, ingegneri e scienziati dei materiali di nove istituti europei hanno cominciato a lavorare su TERAMAGSTOR nel 2008, sotto la guida di Demokritos, il Centro nazionale di ricerca scientifica in Grecia. L'approccio del team si basa sullo sviluppo di pellicole avanzate usando tecniche provenienti dalla nanotecnologia, una delle tecnologie di produzione fondamentale del 21° secolo. Nell'ambito di MAFIN, lo scopo era quello di costruire una superficie di registrazione comprensiva di cellule magnetiche create per lo scopo e di produrre queste nanostrutture a costi bassi e su larga scala. Il progetto triennale TERMAGSTOR si concluderà ad aprile 2011.
Per maggiori informazioni, visitare: TERAMAGSTOR:
http://www.teramagstor.eu/ MAFIN: http://idefix.physik.uni-konstanz.de/MAFIN/ ICT Results: http://cordis.europa.eu/ictresults/index.cfm
Categoria: ProgettiFonte: ICT ResultsDocumenti di Riferimento: Sulla base di informazioni fornite da ICT ResultsAcronimi dei Programmi: FP6-INTEGRATING, FP6-IST, FRAMEWORK 6C, FP7, FP7-COOPERATION, FP7-ICT, FUTURE RESEARCH-->Codici di Classificazione per Materia: Coordinamento, cooperazione; Applicazioni della tecnologia dell'informazione e della comunica; Elaborazione dati, Sistemi di informazione; Ricerca scientifica
RCN: 32298

Nuovo microscopio cattura straordinarie immagini dello sviluppo degli animali.

Fonte: Cordis
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Per comprendere a fondo le complesse fasi che caratterizzano lo sviluppo di un embrione, osservarle non è certo sufficiente. Tuttavia, anche i normali microscopi non consentono di osservare facilmente questi dettagli, che oltre ad essere molto piccoli e complessi variano a grande velocità. I nuovi progressi tecnici permettono di "catturare" in video lo sviluppo dei moscerini della frutta e di osservare le fasi di formazione degli occhi e del mesencefalo del Danio rerio. Il team che ha perfezionato questo metodo, composto da scienziati tedeschi e statunitensi, ha presentato il suo lavoro sulla rivista Nature Methods. La trasformazione di una cellula in animale è un processo estremamente complesso e rapido. La cellula, infatti, si divide in decine di migliaia di nuove cellule con grande velocità. Queste cellule si muovono poi all'interno dell'embrione e si sviluppano in organi diversi. L'elaborazione dell'immagine e l'analisi dei dati automatizzati, per esempio, consentono agli scienziati di seguire il comportamento delle cellule già dai primi giorni di sviluppo del Danio rerio. Tuttavia, il successo di questi approcci dipende dalla potenza del microscopio. "I campioni non-trasparenti (opachi) come quelli dei moscerini della frutta diffondono luce. Questo fa in modo che il microscopio catturi sia immagini a fuoco che immagini non a fuoco. Informazioni di buona e di cattiva qualità, potremmo dire", ha spiegato Ernst Stelzer, scienziato presso lo European Molecular Biology Laboratory (EMBL) e coautore dello studio. "La nostra nuova tecnica ci consente di scegliere tra questi due tipi di informazioni". Un paio di anni fa, gli scienziati che hanno lavorato allo sviluppo di questa tecnica erano già riusciti a sviluppare un nuovo microscopio in grado di sfruttare fluorescenza e raggi laser molto sottili. Gli scienziati hanno ora affinato il metodo utilizzato, migliorando qualità dell'immagine e contrasto mediante la scelta di illuminare i campioni con una serie di strisce e non con un fascio di luce omogeneo. Questo ha permesso loro di catturare immagini di fasi diverse dell'illuminazione. Un computer ha poi affiancato queste immagini eliminando gli effetti della diffusione della luce e creando quindi un'immagine estremamente accurata. Gli scienziati hanno utilizzato questo approccio da diverse angolazioni, ottenendo due risultati importanti. Per prima cosa hanno ottenuto circa 1 milione di immagini relative ai primi tre giorni di sviluppo del Danio rerio da diverse angolazioni e hanno girato dei filmati che riprendono i movimenti delle cellule che mostrano chiaramente la formazione degli occhi e del mesencefalo. Poi, nonostante l'embrione del moscerino della frutta sia opaco, sono riusciti a riprodurre alcuni straordinari video in 3D in time-lapse che mostrano chiaramente le dinamiche cellulari dello sviluppo. Gli scienziati sono riusciti ad ottenere questi risultati senza esporre i campioni a una luce eccessiva che avrebbe potuto danneggiarli. Le immagini, oltre ad essere di straordinario interesse, saranno molto utili agli scienziati. Potranno, infatti, essere utilizzate per effettuare analisi computazionali dei movimenti e della divisione cellulare e per creare un modello per la mappatura e il confronto dell'espressione genica all'interno di un organismo. Il dottor Stelzer ha sottolineato che questo nuovo metodo "ci permette di analizzare organismi fino ad oggi poco studiati proprio per le loro 'poco fortunate' proprietà ottiche". Allo studio, coordinato dai ricercatori della sede di Heidelberg del Laboratorio europeo di biologia molecolare (EMBL), hanno contribuito in modo determinante anche ricercatori dell'Università di Heidelberg, del Politecnico di Karlsruhe e della Goethe Universität, come anche scienziati dell'Howard Hughes Medical Institute e dello Sloan-Kettering Institute, entrambi con sede negli Stati Uniti.
Per maggiori informazioni, visitare: Nature Methods:
http://www.nature.com/nmeth/index.html EMBL Heidelberg: http://www.embl.de/
ARTICOLI CORRELATI: 29966, 30923
Categoria: VarieFonte: Nature Methods; EMBLDocumenti di Riferimento: Kelle, P.J., et al. (2010) Fast, high-contrast imaging of animal development with scanned light sheet-based structured-illumination microscopy. Nature Methods, pubblicato online il 4 luglio. DOI: 10.1038/nmeth.1476.Acronimi dei Programmi: MS-D C-->Codici di Classificazione per Materia: Coordinamento, cooperazione; Innovazione, trasferimento di tecnologie; Tecnologia dei materiali ; Metodi di misurazione; Ricerca scientifica
RCN: 32296