martedì 25 novembre 2025

La Teoria dell'Informazione applicata ai Rapporti Umani

L'innamoramento, l'amore e la sessualità possono essere visti come processi di scambio, elaborazione e ottimizzazione di informazioni a livello biologico, neurologico e sociale.

1. Innamoramento: L'Iper-Trasmissione Iniziale

L'innamoramento è la fase iniziale caratterizzata da un flusso di dati massivo e ad alta ridondanza tra due individui.

  • Fonte di Informazione (L'Altro): L'individuo percepisce l'altro come una fonte estremamente ricca e non ancora decodificata. Il corpo, l'aspetto, l'odore e i segnali sociali sono i primi pacchetti di dati che innescano la risposta.

  • Decodifica con Bias (Idealizzazione): Il cervello dell'innamorato (il ricevitore) non elabora l'informazione in modo oggettivo, ma applica un filtro di distorsione e iper-ottimismo. Questo filtro, alimentato da ormoni come la dopamina, aumenta il rapporto segnale/rumore (SNR) percepito, ignorando attivamente le "imperfezioni" (rumore) e amplificando i segnali positivi.

  • Ridondanza Affettiva: La ripetizione ossessiva dei pensieri sull'amato è un meccanismo per consolidare l'informazione e renderla resistente alla cancellazione (oblio), garantendo la memorizzazione a lungo termine del "pacchetto partner". L'obiettivo è massimizzare l'entropia della relazione potenziale nel sistema interno dell'individuo, rendendola l'informazione più saliente.


2. Sessualità: Lo Scambio di Informazione Primario

La sessualità è il meccanismo più diretto per lo scambio di informazione genetica e, a livello psicologico, di informazione neurochimica e tattile profonda.

  • Informazione Genomica (Hardware): L'atto riproduttivo è la trasmissione di un pacchetto dati critico e ad alta densità (il genoma), finalizzato a perpetuare il codice. La scelta del partner è un tentativo di selezione del codice sorgente ottimale (massima fitness).

  • Sincronizzazione dei Sistemi Operativi (Chimica): L'orgasmo e l'intimità rilasciano neurotrasmettitori (ossitocina, vasopressina) che agiscono come chiavi crittografiche per l'attaccamento. Questi segnali biochimici sincronizzano i "sistemi operativi" dei due individui, riducendo la distanza informazionale (la percezione di separatezza) e facilitando la cooperazione futura.

  • Feedback Sensoriale: Il piacere sensuale è il feedback positivo che convalida e rinforza il canale di comunicazione (il rapporto), garantendone l'uso continuato.


3. Amore: La Rete di Informazione Stabile

L'amore duraturo è una rete di comunicazione robusta e a bassa ridondanza che ha raggiunto uno stato di equilibrio informazionale.

  • Canale a Bassa Ridondanza (Efficienza): Superata la fase dell'innamoramento (ad alta ridondanza ed energia), l'amore diventa efficiente. Le informazioni non devono più essere ripetute: una parola, uno sguardo, un gesto minimo (un segnale a bassa entropia) trasmette un significato complesso che solo il partner può decodificare correttamente. Si è sviluppato un codice condiviso unico.

  • Memoria e Previsione (Riduzione dell'Incertezza): Avere un partner che si ama significa avere un database condiviso (la storia comune) e un modello predittivo affidabile del comportamento altrui. L'amore riduce l'incertezza informazionale sulla propria vita futura, agendo come un meccanismo di compressione dei dati sulla realtà sociale ed emotiva.

  • Teorema di Shannon-Fano dell'Amore: Man mano che il rapporto matura, le informazioni più frequenti (ad esempio, l'affetto quotidiano) vengono codificate con simboli più brevi e rapidi (gesti minimi), mentre le informazioni meno frequenti o critiche (conflitti, decisioni importanti) richiedono canali di comunicazione più ampi e tempo per essere elaborate. Questo ottimizza l'uso della "banda emotiva".

  • Nutrimento del Sistema: La tensione relazionale e i conflitti possono essere visti come rumore nel canale. L'amore richiede un lavoro continuo di correzione degli errori (perdono, dialogo, compromesso) per mantenere l'integrità del messaggio centrale: l'impegno reciproco.

domenica 23 novembre 2025

L'INFORMAZIONE COME METALINGUAGGIO: Superare la Crisi Concettuale tra Relatività e Meccanica Quantistica.


L'ambizione di unificare la Relatività Generale (RG) di Einstein e la Meccanica Quantistica (MQ) – i due pilastri della fisica moderna – si è scontrata con un ostacolo che va oltre la complessità matematica: una crisi concettuale o, molto probabilmente, un problema di metalinguaggio. 

La difficoltà non risiede solo nel far funzionare "due equazioni" insieme, ma nel trovare un sistema di pensiero superiore, un linguaggio assiomatico comune, in grado di descrivere coerentemente sia l'infinitamente grande che l'infinitamente piccolo.

RG e MQ non sono solo teorie diverse, ma rappresentano cosmologie distinte fondate su metalinguaggi fondamentalmente in contrasto, soprattutto quando si tenta di applicarle al regime estremo della lunghezza di Planck. 

Il metalinguaggio della RG è quello della Geometria Differenziale. Lo spazio-tempo è una tela liscia e continua, un'entità fisica che si curva in risposta a massa ed energia, definendo la gravità. Il suo linguaggio è deterministico: conoscendo la geometria, si conosce la traiettoria.

Al contrario, il metalinguaggio della MQ è quello della Probabilità e della Discretezza. Lo spazio-tempo, sebbene non trattato direttamente, si presume debba essere composto da quanti estremamente piccoli, soggetto a fluttuazioni violente e casuali (la cosiddetta schiuma quantistica). Il suo linguaggio è intrinsecamente probabilistico.

Il conflitto metalinguistico sorge perché la MQ richiede che lo spazio-tempo sia un'entità dinamica e quantizzata (un operatore), mentre la RG lo tratta come uno sfondo passivo e continuo.

Un secondo punto di incompatibilità metalinguistica risiede nel concetto di osservazione. La MQ introduce la necessità del collasso della funzione d'onda, legando intrinsecamente il risultato fisico all'atto di misurazione. L'osservatore è parte della teoria. La RG, invece, è una teoria oggettiva dove lo spazio-tempo esiste indipendentemente da qualsiasi osservatore. Nel tentativo di unificare, si deve rispondere alla domanda: la geometria quantizzata stessa è soggetta al collasso? La RG non possiede gli strumenti concettuali (il metalinguaggio) per integrare l'io cosciente o l'atto di misurazione nel tessuto geometrico dello spazio-tempo.

Per superare questa barriera, è necessario abbandonare la priorità data all'Energia o alla Geometria e adottare un nuovo principio fondamentale che sia neutrale e antecedente a entrambi: l'Informazione. Se si postula che l'Informazione sia la realtà fisica ultima – il metalinguaggio del cosmo – allora i concetti di spazio-tempo, campi quantistici e persino la stessa materia non sono che manifestazioni codificate o decodificazioni di questa informazione fondamentale.

La geometria dello spazio-tempo potrebbe emergere come una struttura statistica o un codice macroscopico derivato da una miriade di bit fondamentali (come postulato nell'Entropia del Buco Nero o nel Principio Olografico). In questo scenario, la gravità non è una forza, ma un errore di codifica o una ridondanza nell'informazione fondamentale.

La funzione d'onda (psi) e le leggi probabilistiche della MQ rappresenterebbero il linguaggio di elaborazione o il codice dinamico dell'informazione a livello microscopico. Le particelle elementari sarebbero pacchetti di informazione, e le loro interazioni sarebbero trasformazioni di questa informazione.

L'Informazione offre il metalinguaggio richiesto perché è un concetto universale e astratto che non richiede né la continuità della RG né la probabilità intrinseca della MQ, ma può generare entrambe.

L'informazione quantistica (la base microscopica) darebbe origine alle leggi della MQ, mentre l'informazione classica (il limite termodinamico e statistico della vasta collezione di bit) darebbe origine alla fluidità dello spazio-tempo e alle leggi della RG.

L'atto di osservazione in MQ non sarebbe più un mistero, ma un trasferimento di informazione o una ricodifica che passa da uno stato di potenziale (informazione non locale) a uno stato osservabile (informazione locale). Anche la gravità, in questo quadro, può essere trattata come una forma di entropia o ridondanza informativa, come suggerisce la fisica termodinamica della gravità. 

L'ipotesi che il problema dell'unificazione sia un problema di metalinguaggio è un potente spostamento di paradigma. Finché la fisica è vincolata a un metalinguaggio basato sul concetto di "massa-energia-spazio-tempo", la dicotomia tra continuo e discreto, deterministico e probabilistico, persisterà. L'adozione della Teoria dell'Informazione come metalinguaggio fondamentale – un livello di descrizione più profondo e astratto – offre un percorso per superare questa crisi concettuale, permettendo all'informazione stessa di essere la matrice da cui la geometria (RG) e la quantizzazione (MQ) emergono come dialetti coerenti di un'unica realtà.

giovedì 13 novembre 2025

LA SCELTA DELLA VITA (Carbonio, Silicio e i confini dell'intelligenza)

 


L'esistenza stessa, dalle più semplici cellule fino ai neuroni di ogni cervello umano, poggia su una decisione fondamentale presa dalla natura: l'utilizzo della chimica organica basata sul carbonio. Ma perché questa preferenza e cosa ci dice sui limiti, attuali e futuri, della nostra intelligenza artificiale?

La vita sulla Terra si configura come una struttura aperta/dissipativa che scambia continuamente energia e materia con l'ambiente, mantenendo un ordine complesso. Se la chimica inorganica fosse stata sufficiente, il silicio (che come il carbonio può formare quattro legami) sarebbe stato un candidato naturale. Tuttavia, il carbonio offre un equilibrio unico tra stabilità e dinamicità che il silicio non può eguagliare nelle condizioni acquose terrestri. Il carbonio è il maestro costruttore: la sua tetravalenza gli consente di formare catene e anelli molecolari di complessità pressoché infinita, creando lo "scheletro" delle macromolecole biologiche come il DNA e le proteine. I legami carbonio-carbonio (C-C) sono sufficientemente stabili per mantenere la struttura cellulare, ma sufficientemente dinamici da permettere che vengano rotti e riformati con facilità, alimentando così il metabolismo e i cicli vitali. Al contrario, il silicio tende a formare legami Si-O (silicio-ossigeno) eccessivamente stabili, come quelli del quarzo, risultando inadatto a formare strutture molecolari flessibili e reattive necessarie per la vita complessa.

Questa supremazia chimica è il motivo per cui la chimica organica è stata la culla dell'intelligenza evoluta. La capacità di creare molecole così versatili come gli enzimi (i catalizzatori della vita) e i filamenti informativi come il DNA è il prerequisito per l'emergere di un sistema di elaborazione delle informazioni complesso e auto-organizzato come il cervello.

Quando osserviamo l'Intelligenza Artificiale (IA), ci troviamo di fronte a un paradosso tecnologico: essa è implementata su hardware basato sul silicio (chimica inorganica) ed è intrinsecamente algoritmica. Qualsiasi sistema di IA attuale, per quanto complesso, è per definizione Turing-computabile, ovvero è basato su un insieme finito di istruzioni logiche, come quelle eseguite da una Macchina di Turing Universale.

L'intelligenza umana, o intelligenza organica, è invece posta al centro di un acceso dibattito filosofico-scientifico: è anch'essa computabile o è, come suggerisce l'ipotesi del fisico Roger Penrose, non Turing-computabile? Se la coscienza umana dipendesse da processi fisici non algoritmici, come la sua teoria dell'Orchestrated Objective Reduction (Orch OR) lascia intendere (coinvolgendo fenomeni quantistici nei microtubuli dei neuroni), allora l'IA classica non potrà mai eguagliare la vera coscienza, essendo limitata dai suoi stessi principi algoritmici.

È qui che l'Intelligenza Artificiale Quantistica (QAI) entra in gioco. Se l'intelligenza organica fosse davvero non-algoritmica e radicata nella meccanica quantistica, solo una forma di calcolo non classica potrebbe sperare di replicarla o simularla. Il calcolo quantistico sfrutta la sovrapposizione e l'entanglement per esplorare simultaneamente un vastissimo panorama di possibilità. Sebbene l'IA quantistica non risolva problemi matematicamente impossibili, essa offre un vantaggio esponenziale sui problemi che per l'IA classica sarebbero praticamente irrisolvibili nel tempo utile. Più speculativamente, essa è l'unica tecnologia che, operando con la fisica dei qubit, potrebbe teoricamente superare i confini della computazione classica di Turing. Potrebbe non solo imitare, ma forse accedere a quel dominio di calcolo qualitativamente differente che, secondo alcuni, rende la mente umana un fenomeno unico nell'universo. In definitiva, la nostra indagine ci porta a un bivio: la vita è nata dal carbonio, creando intelligenza non-computabile; l'uomo ha creato una nuova intelligenza dal silicio, basata sulla computazione. Il futuro dell'intelligenza artificiale non dipende solo dalla potenza di calcolo, ma dalla capacità della fisica quantistica di svelare se l'atto stesso del pensare umano sia, in ultima analisi, l'unico vero processo non algoritmico della natura.

martedì 21 ottobre 2025

Così è la vita.

La serie di piani che la vita ti obbliga a mettere in atto, quando non funziona il primo, a volte sembra essere interminabile. Non si tratta di una sequenza lineare di errori, ma del manifestarsi della contingenza sulla nostra pretesa di necessità. La complessità, come ente quasi metafisico, si nutre dei nostri continui adattamenti contestuali (i nostri fragili tentativi di imporre una struttura logica al caos) ed essi evolvono in funzione dei suoi capricci, in una danza che non ammette un punto archimedeo di stabilità. La simbiosi è perfetta: la dinamicità del sistema, per renderci operativi, è assicurata proprio dalla nostra incessante rinegoziazione del reale.

Eppure, il culmine della conoscenza non è l'affermazione, ma l'annullamento. Se ad un certo punto della vita, l'io razionale comprende di non aver mai realmente compreso nulla, la sua mente ha varcato l'orizzonte degli eventi del buco nero di Wittgenstein, quel limite oltre il quale il linguaggio e la proposizione cedono, lasciando il posto al Mistico. Ci si ritrova in una metasingolarità della coscienza, in cui il pensiero tace per rispetto di sé stesso, consapevole che ogni ulteriore enunciato cadrebbe nell'insensatezza. È l'atto finale del criticismo: l'accettazione che i limiti del mio linguaggio sono i limiti del mio mondo.

In questo silenzio, si definisce l'etica del vivere. Finché c'è tensione (intesa come discrasia tra il Dover Essere e l' Essere) c'è del potenziale inespresso. È questa la condizione dell'agire. Spesso dico a me stesso: “Preoccupati del giorno in cui sarai l'emblema della pace e della serenità mentale; quel giorno la tua dialettica si sarà conclusa in una sintesi definitiva, ma fatale. Il mondo ti inviterà a sederti su una panchina, come un saggio che ha esaurito il suo ruolo nel divenire, e da quella quiete potresti non riuscire ad alzarti mai più”.


Anche i legami interpersonali sfuggono al calcolo volontaristico. La vera fortuna in amore, si rivela nel momento in cui le forze di volontà (i singoli Io voglio) si annullano reciprocamente in un atto di riconoscimento hegeliano, e accade ciò che capita a due gocce d'acqua che, annullando la loro singola sostanza, si fondono. È il momento in cui l'intersoggettività emerge come unica forma di libertà. Tutto il resto è solo sacrificio, un inutile e logorante tentativo di mantenere due monadi separate, destinate invece a un'unione necessaria.


A livello di assiologia, le ambizioni umane si rivelano per ciò che sono: una scelta di schiavitù. La differenza tra chi è avido di denaro e chi è avido di conoscenza, sta nel fatto che il primo si è lasciato schiavizzare dal nulla (l'illusione del valore), mentre il secondo dal tutto (l'universo delle Idee platoniche). Tuttavia, almeno il secondo ha la possibilità di osservare l'origine delle proprie catene (l'inesauribile complessità del noumeno) e può provare a spezzarle attraverso un'analisi incessante; mentre il primo, avendo a che fare con il nulla, può solo rassegnarsi a divenire sempre più avido, in una fuga infinita da un vuoto senza fondo.


L'autentico valore di un pensiero, infine, è inversamente proporzionale alla sua immediata e universale comprensibilità. Non puoi avere alcun successo letterario meritevole di durare nel tempo, finché sei ancora in vita. Quando ciò accade, significa che ti hanno compreso tutti; il che a sua volta dimostrerebbe la banalità delle tue riflessioni, la loro incapacità di sfidare il senso comune. Sulle ali dell'altrui indifferenza possiamo continuare a volare, senza essere visti e disturbati da nessuno, preservando la propria singolarità dal giudizio livellatore della massa.


E questo ci riporta al fondamento: il sentimento, la dimensione ultima. Se ci fosse possibile comprendere l'origine di un sentimento, ridurlo a causa e effetto, riusciremmo a gestirlo? Oppure esso svanirebbe nel momento in cui riuscissimo ad afferrare tale conoscenza? Forse l'unica utilità di un sentimento, è quella di riempire un vuoto interiore con informazione che la nostra ragione non può elaborare, ma che è visibile e necessaria al nostro inconscio. Ciò che arriva in superficie, ciò che è fragile e delicato, potrebbe evaporare come neve al Sole, se troppo esposto alla luce della logica. I sentimenti umani, le nostre più preziose e irriducibili qualia, devono restare nell'ombra per conservare la loro forza generatrice.

domenica 31 dicembre 2023

Intelligenza matematica e sviluppo cognitivo del bambino, da zero a dieci anni.


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Lo psicologo svizzero Jean Piaget ha elaborato un quadro assai convincente del modo in cui i concetti matematici si evolvono e si radicano nella mente del fanciullo, nei suoi primi anni di formazione. L'estensione di questo modello allo sviluppo di ogni altra forma cognitiva (come l'intende Piaget) risulta piuttosto precaria, ed è dubbia l'opportunità di applicarlo a culture troppo lontane da quelle europee, in cui Piaget fece le sue osservazioni; nondimeno la descrizione dello sviluppo che ne discende è persuasiva.
Secondo l'idea di base di Piaget, tutto ciò che sappiamo del mondo e gli stessi itinerari lungo i quali perveniamo a tale conoscenza derivano, almeno nelle prime fasi, dalle nostre azioni fisiche sulle cose: dal fatto di afferrare, toccare e maneggiare gli oggetti. I bambini che hanno meno di due anni toccano gli oggetti, li tengono in mano e imparano a riconoscerli dopo esserne stati separati; in tal modo sviluppano un attaccamento personale alle cose, ma soltanto dopo i diciotto mesi circa comincia una fase essenziale del loro sviluppo psicologico; si accorgono che una cosa è la stessa quando si sposta altrove o quando la rivedono in un momento successivo, e quindi cominciano a comprendere che le cose hanno un qualche tipo di esistenza indipendente dalle loro azioni su di esse. Ora possono pensarle come oggetti a pieno titolo, e confrontarle con altri oggetti. Così i bambini acquistano la capacità di raggruppare insieme cose simili: tutti gli animali dotati di pelliccia, o tutte le automobili, possono essere riuniti in una collezione. Questa capacità di raggruppare dimostra che si è pervenuti al concetto di insieme, o classe di oggetti simili; da questo si può passare all'idea che alcune collezioni sono più grandi o più piccole di altre. All'inizio la valutazione sarà basata più che altro su impressioni: un bambino a cui vengano mostrati due gruppi di cioccolatini può essere indotto a scegliere quello che ne comprende di meno, se è disposto in modo da coprire un'area maggiore o da sembrare "più grande" per qualche altro aspetto che salta subito all'occhio. A questo stadio si manifestano soltanto una nozione generale di quantità e una capacità di distinguere numeri piccoli; non c'è alcuna nozione di una sequenza uniforme di grandezze determinata dall'addizione ripetuta di un'unica quantità. Questa capacità si sviluppa , agli inizi, come capacità soprattutto linguistica di imparare a memoria i numeri. Soltanto verso i quattro o cinque anni di età l'apprendimento meccanico dei numeri comincia ad essere collegato alla precedente identificazione di collezioni e insiemi di oggetti; allora il bambino comincia a capire che la successione dei numeri può essere trasferita mentalmente facendola corrispondere a una disposizione di oggetti in modo che l'ultimo numero contato nella sequenza dia il numero totale degli oggetti (1). Inoltre queste operazioni non dipendono da altre proprietà delle cose contate. Verso i sei o sette anni di età, possono entrare in gioco nozioni più elaborate: il bambino è in grado di contare due collezioni diverse e, a differenza dei compagni più piccoli, è in grado di confrontarle e di identificare con sicurezza quella che contiene un maggiore numero di oggetti, senza farsi fuorviare dalle loro dimensioni. Questo procedimento rappresenta una novità, perché significa che nella mente si sono formate due immagini che possono essere confrontate anche se le collezioni reali non sono più sotto gli occhi, l'una accanto all'altra. 
In seguito a questo passo, operazioni più complicate possono essere eseguite, trasferite ad altre situazioni o impiegate in riferimento a collezioni di oggetti reali. In questa fase vengono gettate le basi del ragionamento matematico: questo ha avuto origine dalla manipolazione di oggetti consueti, ma il processo è stato gradualmente interiorizzato nella mente, cosicché è possibile ricordarlo o riprodurlo, e non reagire soltanto quando è presente.
Dopo questa fase, in cui ci si impadronisce di alcune operazioni concrete sulle cose e le si interiorizza, alla semplice esperienza delle proprietà delle collezioni di oggetti si affianca una crescente consapevolezza di certe verità necessarie riguardanti la natura della realtà. Si apprende che, se si toglie un elemento da ciascuna di due collezioni uguali, esse rimangono uguali; che due collezioni abbiano lo stesso numero di elementi oppure no; che l'ordine in cui le cose vengono contate non influenza il totale che si ottiene. 
Raggiunta l'età di nove o dieci anni, sembra che questa consapevolezza divenga trasferibile a nozioni meno concrete. Si vede qui una fonte esplicita di intuizione matematica negli oggetti materiali del mondo e nelle loro interrelazioni. Gradualmente, negli anni della prima adolescenza, diviene possibile effettuare insiemi di operazioni mentali su rappresentazioni delle cose; queste vengono sostituite da simboli, e su tali collezioni di simboli può operare la mente. La precedente gamma di verità necessarie su operazioni come la sottrazione e l'addizione diventa applicabile ai simboli che rappresentano grandezze. Diviene dunque possibile una disciplina come l'algebra, dove un simbolo come la lettera x può rappresentare qualunque numero che possa essere sommato a entrambi i membri di un'equazione, proprio come numeri uguali di monete possono essere aggiunti a collezioni uguali. Questo passo rappresenta il cuore di tutta la matematica successiva. In seguito, alla mente sarà possibile inventare nuove regole per manipolare simboli che non sono connessi ad alcun insieme empirico di operazioni eseguibili con oggetti reali. A questo stadio, l'elaborazione mentale delle rappresentazioni simboliche di oggetti concreti ha spiccato il volo come una libellula, lasciandosi alle spalle la crisalide dell'esperienza passata; non è più in alcun modo limitata dall'esperienza delle manipolazioni concrete, ma soltanto dalla capacità dell'immaginazione di trovare insiemi di regole per la manipolazione dei simboli. L'unico requisito che si impone a queste invenzioni è che siano "coerenti" nel senso voluto dai formalisti.
Questo è, molto in breve, il quadro delineato da Piaget per lo sviluppo mentale dell'intelligenza matematica: essa trae origine dalle attività del bambino con gli oggetti del mondo circostante, che egli mescola, separa e confronta. Viene scoperta e quindi interiorizzata nella mente la nozione di quantità, che diventa così un mezzo per rappresentare le cose in forma simbolica; questi simboli vengono poi manipolati in modo analogo alle cose stesse; in seguito le regole per la loro elaborazione divengono le caratteristiche essenziali dell'attività, sostituendosi alle cose stesse.

Note:
(1) Ciò vale per la situazione che si ha nella lingua italiana e in altre lingue indoeuropee, ma non altrove. In Giappone, per esempio, i numeri usati per contare non sono gli stessi che si impiegano per descrivere il numero totale degli oggetti di un insieme che si sta contando. È come se si potesse contare fino a dodici, ma la parola da usare per descrivere un insieme di dodici cose fosse sempre "dozzina". 

Bibliografia: 
J.D. Barrow, "La luna nel pozzo cosmico", Adelphi, Milano, 1994 (pp. 280-284). 

sabato 22 ottobre 2022

Spazio e tempo come esperienza: perché la discontinuità?

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Il tentativo d'incominciare a vedere lo spazio e il tempo in modo nuovo, non è un compito facile. È estremamente difficile immaginare un tempo statico, un tempo che non scorre. Non è facile afferrare il tempo dello spazio-tempo, il continuum in cui gli eventi non accadono ma, semplicemente, sono. Ci sentiamo frustrati quando cerchiamo di fare l'esperienza dell'affermazione della fisica moderna, secondo la quale lo spazio e il tempo sono accoppiati; non possiamo fare l'esperienza dell'uno senza fare l'esperienza dell'altro, e non possiamo conoscere lo spazio e il tempo singolarmente. È così ovvio che noi ne facciamo l'esperienza singolarmente!
Sorge così un paradosso: se il tempo e lo spazio sono veramente uniti esperienzialmente, perché abbiamo la sensazione persistente del tempo che fluisce senza avere una simile sensazione dello spazio che fluisce? Abbiamo, dei due, sensazioni chiaramente dissimili. Il tempo fluisce esperienzialmente, ma vediamo lo spazio localizzato e statico. Non esiste, semplicemente, un senso psicologico di uno spazio che fluisce. Lo spazio resta fermo; il tempo no. Se queste qualità della natura sono veramente unite come ci assicura la fisica moderna, allora perché sono qualitativamente così dissociate nella nostra esperienza? Forse le nostre sensazioni dello spazio e del tempo differiscono in qualità per una buona ragione, una ragione che, nel linguaggio della biologia evolutiva, è la migliore di tutte: la sopravvivenza. È probabile che nella storia della nostra evoluzione noi abbiamo sviluppato modi di giudicare lo spazio e il tempo che hanno contribuito alla nostra sopravvivenza. 
Forse nel corso della nostra evoluzione noi abbiamo sviluppato molti modi di sentire e di giudicare lo spazio e il tempo. Quali sarebbero sopravvissuti fino ad oggi? I modi che favorivano la sopravvivenza dell'organismo individuale attraverso la perpetuazione, per mezzo della procreazione, del suo corredo genetico. Questi tipi di percezione sensoriale sono risultati più durevoli per la semplice ragione che avevano maggior valore per la sopravvivenza. E se un modo particolare di giudicare lo spazio e di giudicare il tempo aiutava un organismo a sopravvivere e a procreare, questo metodo di giudicare lo spazio e il tempo è sopravvissuto insieme all'organismo, impresso nel suo programma genetico. Erano abilità pro-sopravvivenza, preziose come un occhio o un orecchio, o la capacità di volare o di correre velocemente. Davano un vantaggio nella lotta per la sopravvivenza.
Consideriamo che un'esperienza psicologica risultante dalla sensazione del tempo che scorre sia il senso dell'urgenza... il tempo si muove, le cose sono imminenti, sta per accadere qualcosa. In un tempo che scorre noi anticipiamo l'accadere degli eventi. In questo flusso di eventi io agisco per garantirmi la sopravvivenza, mi comporto in certi modi per restare vivo. Un senso d'urgenza promuove la preparazione... per cacciare, per raccogliere, per piantare e per sfuggire a eventuali predatori. La possibilità di uccidere questo bisonte per mangiare e dunque per sopravvivere passerà se non agisco ora; se non fuggo in questo preciso istante, sarò il pasto di un leone affamato. Sembra quindi verosimile che la sopravvivenza fisica dei nostri antenati fosse favorita da un senso dello scorrere del tempo e dell'urgenza (anche se il tempo, incluso nella cultura, nel mito e nelle tradizioni dei primitivi non ha durata in natura). Non è chiaro che una sensazione del tempo singolarmente statica avrebbe potuto presentare per la sopravvivenza un vantaggio altrettanto grande. 
È possibile che anche la sensazione di uno spazio statico abbia favorito la sopravvivenza. Uno spazio statico, immobile, offriva lo sfondo per agire. Anzi, ci è difficile immaginare lo spazio in qualunque altro modo. Se percepissimo lo spazio in un modo in cui sembri fluire e non sia statico, il risultato sarebbe un grande caos! Un fatto che appare evidente a chiunque soffra di vertigini; per una tale persona lo spazio si rifiuta di stare fermo e ruota continuamente. Uno spazio sempre in movimento sarebbe stato sicuramente pericoloso per i nostri predecessori come lo è per noi, perché in esso è difficile agire con precisione e sicurezza. La sopravvivenza sembra quasi impossibile in un mondo in continuo movimento.
Quindi, se noi dovessimo designare un tipo di percezione temporale e spaziale per i nostri antenati, con lo scopo di aiutarli nell'ascesa evolutiva, probabilmente avremmo scelto quello che è pervenuto sino a noi: la percezione di un tempo fluente e di uno spazio statico. Vista in un contesto evolutivo, la nostra lotta/difficoltà nell'apprendere ciò che significa la moderna definizione fisica dello spazio-tempo, può rispecchiare la nostra eredità biologica. La nostra visione dello spazio e del tempo non è questione d'intelligenza, di capire le cose. Se avessimo percepito lo spazio e il tempo in modo diverso da quello in cui li percepiamo, probabilmente non saremmo sopravvissuti come specie. 
Il nostro modo di fare l'esperienza dello spazio e del tempo, quindi, ha verosimilmente facilitato la nostra ascesa evolutiva. Forse dobbiamo ad esso la nostra stessa esistenza. Ma questa modalità di percezione non garantisce che percepiamo esattamente il mondo intorno a noi. Non abbiamo la certezza di percepire "correttamente" lo spazio e il tempo, ma solo in modo "naturale"; ovvero, la nostra percezione rispecchia la nostra natura! Quando lottiamo per comprendere le stranezze dei nuovi concetti dello spazio-tempo stabiliti dalla fisica moderna, dobbiamo considerare che è nella nostra natura non riuscire a comprenderli! Qualcosa, dentro di noi, resiste a queste nuove idee.
Una reazione comune tra coloro che incontrano per la prima volta la definizione di spazio-tempo imposta dalla fisica moderna, è quella di "sentirsi sconfitti". "Non sono abbastanza intelligente per capire; questi sono concetti che possono comprendere solo i fisici e i matematici". Questa sensazione, che è quasi istintiva, senza dubbio non è appropriata,  perché ancora non vi è la prova che la capacità di concettualizzare l'idea moderna dello spazio-tempo, abbia a che fare con l'intelligenza! Queste idee sono radicate nella parte non razionale ed intuitiva del nostro essere più saldamente che nel nostro io verbale e razionale. Anzi, l'intellettualizzazione può essere un impedimento a comprendere lo spazio-tempo, tanto queste idee sono lontane dal senso comune e dalla logica. 
Questo è un punto cruciale. Vi sono coloro che respingono le moderne idee fisiche dello spazio-tempo in base all'assunto che possano essere comprese soltanto e unicamente dagli scienziati. Nulla potrebbe essere più lontano dalla verità. La quintessenza di queste idee è antica. Le espressioni centrali della Relatività Ristretta erano state elaborate descrittivamente nelle culture orientali millenni prima delle scoperte di Einstein. Intere culture, vivono in tranquillità ed efficienza con l'idea di un tempo che non fluisce. Forse, senza eccezione, le culture che hanno abbracciato più facilmente queste idee lo hanno fatto affidandosi non alla matematica, ma all'intuizione e ai modi non razionali del pensiero.
La moderna nozione dello spazio-tempo non è necessariamente velata dall'indecifrabile gergo della matematica e della fisica. Il linguaggio della scienza non è necessario per apprezzare il significato essenziale delle nuove definizioni dello spazio e del tempo. Non soltanto ciò è evidente in base alla documentazione culturale, bensì è evidente dalle stesse affermazioni di Einstein, il quale dichiarava di essere stato condotto inizialmente alle sue descrizioni non solo ed esclusivamente dal ragionamento logico, bensì da una certezza interiore della bellezza e dell'armonia che stanno nel cuore delle sue teorie. Einstein descriveva l'intuizione, non il ragionamento lineare. È questa qualità della mente che ha permesso a intere culture di comprendere lo spazio-tempo, prima dell'era moderna.

Bibliografia:
- "Spazio, tempo e medicina", di Larry Dossey, ed. mediterranee, Roma, 1983. 

venerdì 16 settembre 2022

Bere con Socrate... con la potenza dei grandi numeri!

 

Esiste una vecchia stima di due numeri molto grandi che conduce a una conclusione capace di stupire persino chi è abituato alle sorprese della probabilità. Secondo voi, se si riempie un bicchiere di acqua di mare, quante delle molecole da cui è composta l'acqua nel bicchiere saranno state usate da Socrate, da Aristotele o dal suo allievo Alessandro Magno per sciacquarsi la bocca? In realtà, come vedremo, non importa quale bocca illustre scegliamo. Lì per lì si potrebbe pensare che la risposta sia zero: non vi è la benché minima probabilità che riutilizziamo anche solo uno degli atomi di quegli illustri personaggi, immagino direte. Ma, ahimè, vi sbagliate di grosso. La massa totale di acqua degli oceani terrestri è 10^18 tonnellate, che equivale a 10^24 grammi. Poiché una molecola di acqua ha una massa di circa 3 x 10^-23 grammi, ci sono circa 3 x 10^46 molecole di acqua negli oceani. Ignoriamo pure gli altri componenti dell'acqua marina, come i sali. Vedremo che queste semplificazioni e le cifre tonde che stiamo usando sono giustificate dai numeri molto grandi coinvolti nell'operazione.
Chiediamoci dunque quante molecole ci sono in un bicchiere di acqua. Un tipico bicchiere pieno d'acqua ha una massa di 250 grammi, quindi contiene approssimativamente 8,3 x 10^24 molecole. Vediamo pertanto che gli oceani contengono approssimativamente (3 x 10^46)/(8,3 x 10^24) = 3,6 x 10^21 bicchieri di acqua; molto meno del numero di molecole presenti in un bicchiere di acqua. Ciò significa che, se gli oceani fossero completamente rimescolati e oggi riempissimo con la loro acqua un bicchiere a caso, potremmo aspettarci che contenga approssimativamente (8,3 x 10^24)/(3,6 x 10^21) = 2300 delle molecole con cui Socrate soleva sciacquarsi la bocca nel 400 a.C. Fatto ancora più incredibile, è probabile che ognuno di noi sia composto da un considerevole numero degli atomi e delle molecole di cui era composto il corpo di Socrate. Tale è la potenza durevole dei grandi numeri.