venerdì 17 febbraio 2012

Il primo dispositivo wireless impiantato sottopelle per il rilascio dei medicinali.

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È il primo dispositivo wireless impiantato sottopelle per il rilascio dei medicinali. E ci si può dimenticare quando prendere la pillola.
Presto l’espressione farmacia ambulante non sarà più solo un modo di dire. I pazienti che seguono cure croniche, come avviene per l’osteoporosi, l’ipertensione, la sclerosi multipla, i tumori, e persino nella terapia anticoncezionale, potranno usufruire dell’ impianto sottopelle di un piccolo dispositivo wireless, controllato in remoto e programmato per il rilascio dei medicinali secondo dosi e tempi prestabiliti. Si potrà dire addio alle punture quotidiane. Non sarà più necessario portare sempre con sé le pillole o impostare l’allarme sul telefono per ricordarsi di prenderle. Questo è quanto promettono Robert Langer e Michael Cima, ricercatori del David Koch Institute al Mit di Boston, e Robert Farra, a capo di MicroCHIPS. Il team ha condotto una pionieristica sperimentazione clinica sul primo prototipo di pill-dispenser intelligente, direttamente incorporato nell’organismo.
Lo studio è stato avviato nel gennaio 2011 e ha coinvolto sette donne in Danimarca di età compresa tra i 65 e i 70 anni, alla quali è stato inserito nel basso ventre il microchip, grande quanto un polpastrello, tramite un semplice intervento ambulatoriale in anestesia locale. È stato quindi somministrato un comune farmaco contro l’osteoporosi, che dev’essere abitualmente assunto per via endovenosa ogni giorno. Dopo quattro mesi – hanno riferito gli scienziati in un articolo pubblicato online su Science Translational Medicine e presentato nel corso del congresso annuale dell’ American Association for the Advancement of Science (Aaas), a Vancouver, in Canada – il dispositivo aveva rilasciato dosaggi paragonabili alle iniezioni e a distanza di un anno i benefici sulla densità di massa ossea erano simili al gruppo di confronto. Non erano emersi effetti collaterali negativi, né reazioni da parte del sistema immunitario. Alcune pazienti hanno riferito di essersi quasi scordate di indossare il microchip. 
Il successo arriva a coronamento di 15 anni di esperimenti, da quando verso la metà degli anni Novanta il team del Mit ha iniziato a lavorare sul chip medicale impiantabile. Nel 1999 sono stati pubblicati i primi risultati su Nature e venne fondata l’azienda che ha finanziato lo sviluppo della tecnologia. L’impresa non è stata semplice. Bisognava trovare il modo di sigillare ermeticamente le singole dosi del farmaco in piccoli serbatoi separati, delle dimensioni di una puntura di spillo, facendo in modo che si aprissero in base a un programma pre-impostato o su comando wireless. “ Ciascuno dei minuscoli contenitori è ricoperto da un sottilissimo nano-strato d’oro, che protegge il farmaco anche per anni, impendendone il rilascio”, spiega Langer. “ Quando arriva il segnale wireless l’oro si dissolve, facendo fuoriuscire la medicina direttamente nel circolo sanguigno”. Risolto ingegnosamente questo problema, se n’è posto un altro.
Negli studi preclinici sugli animali i ricercatori hanno notato che intorno al dispositivo si formava una membrana fibrosa di collagene. Il timore era che la membrana potesse ridurre l’assorbimento della medicina, ma fortunatamente questo non si è verificato.
Il dispositivo va ancora perfezionato. Per il momento il segnale wireless funziona solo a distanza di pochi centimetri e c’è spazio per una ventina di dosi farmacologiche. La MicroCHIPS ha annunciato che sta già sviluppando mini-apparecchiature da 400 dosi, per terapie della durata di un anno o più, e sono previste prossimamente altre sperimentazioni cliniche su un numero più ampio di pazienti. “ In futuro si potrebbe avere letteralmente una farmacia su un chip”, afferma Langer.
I benefici per la salute sono notevoli soprattutto per i pazienti affetti da malattie croniche che, trascorso un certo tempo, tendono ad abbandonare la terapia. “ Il microchip eliminerebbe alla radice il problema della compliance , l’aderenza alle cure, spianando la strada alle terapie farmacologiche completamente automatizzate”, aggiunge Cima. Se tutti andrà secondo i piani, il dispositivo potrebbe entrare in commercio già tra cinque anni.

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