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Spetta sempre alla fisica il compito di fare luce tra le cose non ancora chiarite che sono nell’aria. Perché nessuno sembra ancora sapere neppure dove materialmente stiamo andando e quando saremo certi di essere arrivati. Ed è ora di dirlo.
Nell’ottobre prossimo, Lhc si metterà dunque di nuovo in moto. Sono mesi e mesi che diecimila fisici e ingegneri, e metà del mondo, aspettano questa occasione: verificare le cose come stanno, conoscere e fare conoscere i fatti, non le chiacchiere i pettegolezzi le fantasie dei media, tipo buchi neri che divorano la Terra. E tutto anche per ridare una reputazione alla fisica dopo che, per causa di un esperimento cominciato male, se l’era vista un po’ rovinata.
Sono le 11,20 del mattino e i responsabili dell’avveniristica operazione, riuniti in una sala controllo, ricevono la notizia dell’incidente: un’esplosione, una fiammata, il pavimento di uno dei 1232 cilindri metallici di Lhc ha ceduto, una fuga di elio liquido rende l’aria irrespirabile. Forti l’emozione e la delusione dei presenti, tutti piuttosto euforici per i buoni risultati fino al momento ottenuti. Fra loro c’è anche una giovane signora, Fabiola Gianotti, che adesso, seduta a una scrivania del suo laboratorio, commenta quel difficile momento con una bella voce quasi da ragazzina e l’aria un po’ scanzonata di chi sa passare immediatamente dal ricordo all’azione: «Nessun dramma. Siamo fisici e sappiamo che l’errore è sempre da mettere in conto. Ci si rimbocca le maniche e si riparte subito».
La fisica europea ha dunque oggi una specie di Milite Ignoto che si chiama Fabiola Gianotti. Ignoto per modo di dire, beninteso. Non c’è istituto di ricerca, di casa nostra o straniero, non c’è comitato scientifico internazionale, non c’è studioso della materia che ne ignori il nome, l’attività, il valore. Ma la gran massa del pubblico non la conosce anche perché non fa nulla per farsi conoscere. Non è scontrosa, ma sta in disparte. Finché ci riesce.
Laureata in fisica delle particelle all’Università di Milano, dottorato di ricerca in fisica subnucleare, membro del Comitato supervisore del “Fermilab” di Chicago (il più importante laboratorio di ricerca Usa) e del Consiglio nazionale delle ricerche francese, immaginavo di trovare in lei una di quelle severe e autoritarie docenti universitarie che si esprimono con parole e concetti comprensibili a pochi. Tutto il contrario. Ha l’aria e i modi della “ragazza della porta accanto”, i capelli scompigliati, il fisico scattante di una sportiva che va sempre di corsa, più che della scienziata immersa nei calcoli. Eppure col talento che ha potrebbe permettersi qualunque cosa, senza aver l’aria di abusare. Mettetele sul naso un paio di occhialini cerchiati d’oro e avrete il più perfetto tipo di manager all’americana, di quelli che ti pianificano in un lampo il lavoro di migliaia di tecnici. Non le manca nemmeno, a tratti, una sfumatura di freddezza, come debbono averla, penso, simili grandi capi, anche se è chiaro che per lei è come un paio di scarpe strette, prima te le levi dai piedi meglio stai.
«Benino», si schermisce con malizia, senza mostrarsi né compiaciuta né infastidita, sebbene l’interesse che la sua nomina ha suscitato confermi che si tratta di un fatto piuttosto eccezionale, anzi unico. «Ma vede», continua senza prendere fiato come se nella domanda ci fosse una trappola incorporata, «per andare avanti, oltre a passione entusiasmo fantasia, serve soprattutto molta umiltà. Come diceva Newton, quello che conosciamo è una goccia d’acqua, quello che non conosciamo, un mare. Me lo ripeto sempre».
Quando lei non è qui, al Cern, a poca strada dal lago di Ginevra, in questo suo ufficio nella sala di controllo di Atlas fra prati alberi giardini con vista del monte Bianco e delle montagne del Giura, che è situato esattamente sopra il rivelatore Atlas - sottoterra nel tunnel di Lhc, alto come una casa di sei piani e pesante come la Torre Eiffel - dove vive? E quando non lavora con fasci di protoni e adroni, cosa fa?
«Ore e ore tra jogging, nuoto e musica. Sono diplomata al Conservatorio di Milano, suono il pianoforte, musica classica, Schubert, Chopin, Bach. Mi piace leggere, specialmente Thomas Eliot, quello di “Assassinio nella cattedrale”, e Flaiano. Mi diverte cucinare, organizzare cene con gli amici. Le torte al cioccolato e alla crema sono la mia specialità. In un certo senso anche la pasticceria è una scienza esatta perché gli ingredienti vanno calcolati con precisione, come in laboratorio. Dove abito? Qui vicino, in una casa molto graziosa che guarda sul lago».
Dunque un’esistenza che non si riassume affatto nella sua eccezionale carriera, anche perché scopri in fretta, è lei a confessarlo, che questa primadonna della ricerca nucleare ha una doppia vita perfetta, dove l’eleganza dell’abbigliamento e lo shopping hanno un posto di primo piano, e le belle scarpe, quelle che costano un occhio, rappresentano per lei una specie di attrazione fatale. Ne ha moltissime, di ogni tipo. Suo fratello, ingegnere, la chiama Imelda Marcos.
Mentre sollecito risposte le guardo le mani. Sono lunghe e molto belle. Ma credo che nessuno le abbia mai viste ferme perché scommetto che non lo sono neanche quando dorme. Mani che sanno lavorare, da usare con l’istintiva abilità della donna e del fisico. I fisici infatti operano personalmente pure sui macchinari più complicati, non hanno bisogno di tecnici, o di operai. Tali e quali Fermi e Segrè, Rasetti e Amaldi, nel mitico Istituto di via Panisperna.
Un’altra mia curiosità. In due parole, qual è il primo obiettivo che lei si propone di raggiungere con questo superimpianto Lhc, che è un po’ anche una sua creatura considerato che lei ha contribuito a farlo nascere, a cominciare dalla progettazione e costruzione del calorimetro di Atlas?
«Io credo che questo esperimento possa segnare una svolta nella ricostruzione della grande avventura dell’Universo e che darà soluzioni e spiegazioni a problemi e interrogativi fondamentali relativi alla struttura della materia, all’origine della massa, alla composizione del Cosmo. Atlas e Cms (l’altro grande progetto, coordinato dall’indiano Tejinder Virdee) cercheranno di risolvere misteri del tipo: i quark sono costituenti elementari della materia o sono a loro volta costituiti da altre particelle? Esiste il bosone di Higgs, cosiddetto di Dio, la particella ipotizzata per spiegare il fatto che particelle elementari possiedono una massa? Di cosa è fatta la materia oscura, che rappresenta il 20% dell’universo, e di cui non sappiamo niente? Soprattutto vogliamo scoprire la particella supersimmetrica che può spiegare questo mistero».
Senza apparente fatica, puntuale come un orologio svizzero, ogni giorno alle 7,30 Fabiola Gianotti è al lavoro nel suo ufficio o nella sala controllo di Atlas, oppure nell’anello sotterraneo di Lhc, dove si battono i denti perché la temperatura è polare (all’interno dei 1232 cilindri metallici è prossima allo zero assoluto, -271 Centigradi), pronta a affrontare enormi, eterni enigmi scientifici da togliere il fiato. E spesso si è già macinata un’ora di jogging. Perché, uno si chiede, qualche star di cinema o tivù, di quelle che giudicano la puntualità incompatibile col prestigio, non è lì a vederla? La lezione gioverebbe.
«L’unica conferma della validità di un’idea è l’esperimento», ha scritto il grande fisico americano Richard Feynemann. Nel mondo di oggi la forza di questo concetto ha lasciato sulla scienza un’impronta profonda e ora, con Lhc, si presenta la migliore occasione: quella di potere finalmente “toccare con mano” autentici misteri universali.
La ipotetica formazione di buchi neri all’interno di Lhc, voragini capaci di inghiottire la Terra, sarà un rischio probabile? chiedo.
«È una paura ridicola. Per un evento così sarebbe necessaria una quantità enorme di energia che non potrà mai essere ottenuta in nessun esperimento artificiale. E c’è da dire che nello spazio si registrano continue collisioni, circa diecimila al secondo, da cui si sprigionano energie miliardi di volte superiori a quelle che otterremo noi, e finora nessuna ha mai provocato catastrofi».
Quali risultati prevede, o spera, da Lhc?
«Verificare se in natura esistono altre forze oltre a quelle che conosciamo, scoprire nuove particelle elementari, studiare l’infinitamente piccolo per poter capire l’infinitamente grande. In particolare, ricercare e individuare le particelle supersimmetriche anche perché una di queste, il “neutralino” ammesso che esista, oppure qualcosa di equivalente, potrebbe spiegarci la materia oscura, di cui non sappiamo niente. Le nostre attuali conoscenze dell’Universo sono poche. Ci risulta che solo il 5% è composto degli atomi che conosciamo, mente il 20% è materia oscura e il 75% energia oscura. I rivelatori Atlas e Cms cercheranno di risolvere incognite di questo tipo, mentre il rivelatore LhcB, coordinato dal fisico russo Andrei Golutvin, indagherà sul perché c’è così poca antimateria nel nostro universo e il rivelatore Alice, diretto dal tedesco Jurgen Schukraft, studierà le caratteristiche di un particolare stato di materia: il plasma di quark e gluoni, le particelle che tengono uniti i quark».
Difficile uguagliare il taglio nitido e chiaro delle spiegazioni. Non fa pesare la eccezionale preparazione fisicomatematica, e la sua modestia, non sappiamo fino a che punto sincera, ti fa spesso venir voglia di ringraziarla.
I fatti parlano chiaro, diceva il solito beninformato: le scienze esatte sono per i cervelli maschili! Fabiola Gianotti è la dimostrazione del contrario. E che un grande scienziato può sempre arrivare primo, anche se è donna. Anche se è interamente “fatto in casa”, figlia com’è di un geologo piemontese e di una laureata in lettere siciliana, cresciuta e educata a Milano da illustri maestri italiani (Mandelli, Di Lella, Fiorini) nella scuola di fisica di via Celoria. «Non è seconda a nessuna, almeno in Europa», sottolinea. Poi con la consueta calma e l’istintivo ottimismo aggiunge: «Stiamo consolidando l’acceleratore Lhc in tutte le sue giunture. Entro ottobre ripartiamo. I primi giri dei fasci di protoni erano andati benissimo. Quindi una doccia fredda, ma è passata».
E già Fabiola Gianotti pensa alla costruzione di un altro acceleratore elettrone-positrone, una macchina di grandissima potenza e precisione per approfondire le nuove conoscenze che Lhc fornirà.
17. Fabiola Gianotti, LHC Collisions, épisode 17
by lhc_collisions