lunedì 30 settembre 2013

Batterie al sale (cloruro di sodio), per accumulare energia solare.

La batteria SoNick (Fiamm)
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Arriva dall'umile sale da cucina, l'NaCl (cloruro di sodio) opportunamente miscelato con nichel, una soluzione ai problemi energetici dei prossimi anni. L'idea è tanto semplice, quanto ingegnosa: «generare energia grazie alla luce del sole e poi accumularla con batterie al sale». Ed è quanto sta mettendo in atto Fiamm. La società di origine vicentina, fondata nel 1942 che oggi occupa 3300 dipendenti in 60 Paesi del mondo, famosa per la produzione di batterie e sistemi elettronici per auto.

BATTERIE AL SALE - «Stiamo lavorando a questi nuovi dispositivi di accumulazione dal 2005», precisa Nicola Cosciani Ceo di Fiamm Energy Storage Solutions, «le batterie al sale offrono nuove opportunità per lo stoccaggio di energia». Risolvendo così il problema presente nelle fonti rinnovabili, come gli impianti fotovoltaici ed eolici: «Quello della produzione discontinua, legata a variazioni climatiche e all'alternanza giorno, notte». Grazie a questa innovativa tecnologia si creano isole energetiche autonome, efficienti dal punto di vista energetico perché consentono di gestire in modo autonomo e «verde» quanto prodotto.

ZERO EMISSIONI - Gli accumulatori SoNick, in gergo tecnico si chiamano «sodio cloruro di nichel», presentano le dimensioni di una batteria tradizionale, ma con notevole capacità di immagazzinamento e soprattutto con un basso impatto ambientale. «Zero emissioni, assenza di prodotti pericolosi e tossici e materiali cento per cento riciclabili come acciaio inox, nickel, ferro, sale e ceramica», continua Cosciani, «fanno di questi accumulatori la soluzione ideale per progetti abbinati alle rinnovabili».

ISOLA ENERGETICA - La prima isola energetica europea Fiamm Energy Oasis con batterie al sale, è installata da giugno 2011 nello stabilimento Fiamm di Almisano (Vicenza). Produce energia da celle fotovoltaiche per circa 200 mila kWh sufficiente al fabbisogno annuo di 40-50 famiglie. L'impianto, realizzato in collaborazione con Galileia, spin-off dell'università di Padova, Terni Energia Spa ed Elettronica Santerno (gruppo Carraro) prevede che il sistema di accumulo modulare con batterie al sale immagazzini il 40% dell'energia prodotta e la renda disponibile quando richiesto. L'isola di Almisano consente una riduzione delle emissioni di CO2 pari a 106 tonnellate annue.

IN GUYANA - Non solo. Fiamm si è da poco aggiudicata un importante commessa con Ansaldo Sistemi Industriali nella Guyana francese. Si chiama Toucan Project, già in fase di realizzazione sarà consegnato chiavi in mano entro luglio 2014. Fiamm fornirà cinque unità container per un totale di 288 accumulatori, in grado di offrire una capacita di immagazzinamento di 4.500 kWh. Il sistema energetico sarà collegato ai pannelli fotovoltaici dell'impianto di Montsinery, nell'entroterra. «L'obiettivo è immagazzinare l'energia diurna, per rilasciarla poi nelle ore notturne coprendo il fabbisogno di migliaia di famiglie». La tecnologia delle batterie al sale viene impiegata con successo anche nel settore della trazione elettrica. Nel nostro Paese, l'azienda vicentina che fattura 540 milioni di euro, equipaggia già i veicoli Iveco.
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Un articolo di:
Umberto Torelli  

sabato 28 settembre 2013

Carlo M. Cipolla e le leggi fondamentali della stupidità umana.

Carlo Cipolla (Pavia, 15 agosto 1922Pavia, 5 settembre 2000)
Fonte: Wikipedia
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Carlo Cipolla è stato uno storico italiano, specializzato in storia economica. Ha insegnato in Italia e negli Stati Uniti.
Cipolla si divertì ad "approfondire" il tema della stupidità umana formulando la famosa teoria della stupidità, enunciata nel suo arguto libello intitolato The Basic Laws of Human Stupidity (stampato per la prima volta nel 1976 come regalo di Natale per gli amici) poi pubblicato in italiano nel 1988 come Allegro ma non troppo (Il Mulino, 1988, ISBN 8815019804) e tradotto in almeno 13 lingue. Questo volume riunisce, insieme al saggio sulla teoria della stupidità, un altro libriccino stampato dalla stessa casa editrice nel 1973, sempre in inglese e sempre come regalo natalizio. La prima vera edizione inglese arriva soltanto nel 2011.
Essa vede gli stupidi come un gruppo di gran lunga più potente delle maggiori organizzazioni come le mafie o le lobby industriali, non organizzato e senza ordinamento, vertici o statuto, ma che tuttavia riesce ad operare con incredibile coordinazione ed efficacia.
Nello stesso libro si trovano le cinque leggi fondamentali della stupidità:
  • Prima Legge Fondamentale: Sempre e inevitabilmente ognuno di noi sottovaluta il numero di individui stupidi in circolazione.
  • Seconda Legge Fondamentale: La probabilità che una certa persona sia stupida è indipendente da qualsiasi altra caratteristica della persona stessa.
  • Terza (ed aurea) Legge Fondamentale: Una persona stupida è una persona che causa un danno ad un'altra persona o gruppo di persone senza nel contempo realizzare alcun vantaggio per sé od addirittura subendo una perdita.
  • Quarta Legge Fondamentale: Le persone non stupide sottovalutano sempre il potenziale nocivo delle persone stupide. In particolare i non stupidi dimenticano costantemente che in qualsiasi momento e luogo, ed in qualunque circostanza, trattare e/o associarsi con individui stupidi si dimostra infallibilmente un costosissimo errore.
  • Quinta Legge Fondamentale: La persona stupida è il tipo di persona più pericoloso che esista.
Corollario: Lo stupido è più pericoloso del bandito.
Come si vede dalla terza legge, Cipolla individua due fattori da considerare per indagare il comportamento umano:
  • Danni o vantaggi che l'individuo procura a se stesso
  • Danni o vantaggi che l'individuo procura agli altri
Creando un grafico col primo fattore sull'asse delle ascisse e il secondo sull'asse delle ordinate si ottengono quindi quattro gruppi di persone:
  • Intelligenti (in alto a destra): fanno il proprio vantaggio e quello degli altri
  • Sprovveduti (in alto a sinistra): danneggiano se stessi e avvantaggiano gli altri
  • Banditi (in basso a destra): danneggiano gli altri per trarne vantaggio
  • Stupidi (in basso a sinistra): danneggiano gli altri e se stessi

mercoledì 25 settembre 2013

Costruito il primo computer senza silicio, ottenuto con le nanotecnologie.

Fonte: ANSA Scienze
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Il primo computer senza silicio diventa realtà: le sue componenti sono state realizzate utilizzando le nanotecnologie e sono interamente fatte con nanotubi di carbonio, il materiale 'tuttofare' che apre le porte ad una miniaturizzazione finora inimmaginabile. Il prototipo, cui la rivista Nature dedica la copertina, funziona con transistor mille volte più piccoli di quelli in commercio ed è stato realizzato da un gruppo di ricercatori dell'Università di Stanford.

Dalla nascita dell'elettronica, la ricerca tecnologica ha permesso una graduale ma rapida riduzione delle dimensioni dei transistor, i 'mattoni' principali dei microprocessori. Questa corsa alla miniaturizzazione, parallelamente ad un miglioramento delle prestazioni, si sta però sempre più avvicinando al 'capolinea'.

Il limite invalicabile è infatti rappresentato dalle dimensioni stesse del silicio, il materiale che costituisce i transistor utilizzati per i computer. Proprio per questo è partita da anni la corsa alla ricerca nel settore delle nanotecnologia per sviluppare valide alternative all'uso di questo materiale. Sfruttando le enormi potenzialità offerte dai nanotubi di carbonio, costituiti da un foglio di singoli atomi di carbonio piegato a formare un 'tubo', i ricercatori statunitensi sono riusciti a realizzare un intero computer.

Riuscendo a superare una serie di ostacoli tecnici, i ricercatori sono riusciti a sfruttare i nanotubi per realizzare transistor di appena 8 millesimi di millimetro (micrometri), il diametro di un globulo rosso. I nanodispositivi sono stati realizzati prendendo a modello un tipo di transistor molto semplice e oggi considerato desueto. Una volta realizzati i 'mattoni', i ricercatori hanno poi disegnato l'intero computer nel modo più semplice possibile, creando così un elaboratore in grado di lavorare con un unico bit, contro i 64 bit dei processori moderni. Seppur estremamente semplice, il ''nanocomputer'' è in grado di far 'girare' un sistema operativo e ha la capacità di eseguire più di un'operazione simultaneamente. Ovviamente le sue prestazioni non possono essere paragonate a quelle dei pc più moderni, ma le potenzialità della tecnica potrebbero essere enormi.

Il computer costruito sfruttando le nanotecnologie è il più complesso dispositivo funzionante con un'elettronica basata sul carbonio e considerando i progressi che stanno avvenendo nel settore, concludono i ricercatori, queste tecnologie potrebbero aprire la strada a nuovi dispositivi elettronici.

Gli atomi in gabbia che producono elettricità.

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Produrre energia elettrica recuperando il calore di motori, elettrodomestici e rifiuti industriali. È la sfida che vede protagonisti i materiali termoelettrici, in grado di generare elettricità se usati come “ponte” tra un oggetto caldo e uno freddo. E che potrebbe essere arrivata a un punto di svolta grazie al lavoro degli scienziati della Vienna University of Technology, che hanno scoperto una nuova tipologia di materiali termoelettrici dal rendimento molto maggiore rispetto a quelli utilizzati oggi. Il “trucco”, spiegano i ricercatori sulle pagine di Nature Materials, sta nella struttura cristallina del materiale, all'interno della quale sono “intrappolati” degli atomi di cerio. Il loro continuo “sferragliare” contro le sbarre della gabbia magnetica in cui sono confinati sarebbe respnsabile delle proprietà eccezionalmente favorevoli del materiale.
In gergo scientifico, strutture come queste sono dette clatrati. “Hanno proprietà termiche davvero notevoli”, racconta Silke Bühler-Paschen, uno degli autori del lavoro. “Il loro comportamento dipende dall'interazione tra gli atomi intrappolati e la gabbia che li cirdonda. Abbiamo pensato al cerio perché le suo proprietà magnetica prometteva un'interazione particolarmente interessante”. Il problema sta nel fatto che, almeno finora, confinare questo tipo di atomi era molto difficile. L'équipe di Bühler-Paschen ci è riuscita utilizzando una sofisticata e innovativa tecnica di crescita dei cristalli in un forno a specchi. Tutto ha funzionato alla perfezione: alla fine del procedimento, gli scienziati hanno ottenuto una cristallo in bario, oro e silicio in cui era possibile incapsulare singoli atomi di cerio.
A questo punto, i ricercatori ne hanno testato le proprietà termoelettriche. “Il moto termico degli elettroni nel materiale dipende dalla temperatura”, continua Bühler-Paschen. “Quando un materiale termoelettrico è usato per connettere un oggetto caldo a uno freddo, gli elettroni tendono a diffondere da una parte all'altra: per questa ragione si crea una differenza di potenziale e inizia a scorrere la corrente”. Gli esperimenti hanno mostrato che gli atomi di cerio aumentano del 50% il termopotere del materiale; inoltre, la conduttività termica dei clatrati è molto bassa, il che rende più semplice mantenere costante la differenza di temperatura tra i due oggetti.
L'équipe di Vienna cercherà ora di riprodurre questo effetto con altri tipi di clatrati, sostituendo l'oro con materiali più economici per rendere il materiale più appetibile dal punto di vista commerciale. E “ci sono buone speranze”, affermano gli scienziati, “che clatrati di questo tipo possano essere utilizzati in futuro per trasformare il calore dei rifiuti industriali, ma non solo, in preziosa energia elettrica”.
Riferimenti: Nature Materials doi:10.1038/nmat3756
Credits immagine: TU Vienna

Spiegato l’anello di elettroni ultra-relativistici intorno alla Terra.

Rappresentazione artistica delle fasce di Van Allen. (Credit: NASA/Goddard Space Flight Center).
Fonte: Gaianews.it
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Molto tempo è passato da quando, nel 1958, la  sonda Explorer ha scoperto le Fasce di Van Allen. Da allora gli scienziati hanno tentato di spiegare la natura di queste fasce che circondano la Terra paragonandole a due grandi ciambelle di particelle molto cariche composte da elettroni ad alta energia (per l’anello esterno) e da elettroni ad alta energia e ioni positivi (per l’anello interno). 
A febbraio di quest’anno è stata pubblicata una ricerca sulla presenza di un terzo anello, fino a poco tempo prima sconosciuto, molto più ristretto e situato tra il primo e il secondo anello, con una vita di circa 1 mese. Dopo mesi di indagini, un gruppo di scienziati dell’Università della California, Los Angeles, ha finalmente reso pubblico un modello teorico in grado di spiegare con successo di che cosa si trattava. I risultati sono stati pubblicati in un articolo su Nature Physics il 22 settembre 2013. 
Comprendere la natura di queste fasce di radiazione, la loro struttura e genesi e le cause che ne determinano i rigonfiamenti e restringimenti nel tempo (radiazioni solari escluse) è parte integrante di uno studio più ampio concernente la natura stessa del clima e dello spazio che circonda il nostro pianeta. Il clima spaziale può, tra le altre cose, causare complicazioni nei sistemi elettronici di bordo dei satelliti da cui dipendono i nostri sistemi di comunicazione e le nostre future missioni nello spazio.
Un “nuovo” modello teorico? Gli scienziati hanno dimostrato che le particelle estremamente energetiche che compongono questo terzo anello, conosciute in gergo come elettroni ultra-relativistici, sono governati da una fisica differente da quella che spiega le fasce di Van Allen. Il motivo? La terza cintura si estende tra i 1.000 e i 50.000 km sopra la superficie terrestre ed è piena di elettroni che hanno una peculiarità: si muovono a velocità prossime a quella della luce. “Nel passato, gli scienziati avevano ritenuto che tutti gli elettroni intorno alla Terra si comportassero fisicamente allo stesso modo” ha spiegato Yuri Shprits, geofisico dell’UCLA. “Solo ora stiamo scoprendo che le cinture sono fatte di popolazioni differenti, guidate da processi fisici differenti, e per questo stiamo lavorando alla  la creazione di modelli globali che possono ricostruire ciò che sta accadendo a tutti i livelli”. 
Gli elettroni ultra-relativistici che compongono questo terzo anello non sono del tutto assenti negli altri due, ma sono i più pericolosi perché possono facilmente penetrare anche gli scudi più resistenti di cui i nostri sistemi di comunicazione sono dotati. “La loro velocità è prossima a quella della luce, e l’energia del loro moto è svariate volte più grande dell’energia contenuta nella loro massa quando sono a riposo” ha spiegato Dmitry Subottin, coautore della ricerca. “La distinzione tra il comportamento degli elettroni ultra-relativistici e quelli ad energia più basse è stata la chiave di questo nuovo studio”.
Le fasce/cinghie hanno una diversa composizione e obbediscono a “fisiche” diverse. Confrontando le simulazioni al computer valide per le fasce di Van Allen, Yuri Shprits ed il suo team hanno scoperto che i dati non erano coerenti con il comportamento di questi elettroni ultra-relativistici. In dettaglio, ciò che diverge radicalmente dai modelli è il modo in cui queste particelle possono essere accelerate. Il meccanismo dipende da un fascio di onde o, meglio, dal plasma che si è formato tra le fasce. Le onde di plasma prodotte dagli ioni che tipicamente non influenzano gli elettroni più energetici avevano iniziato a spingere via gli elettroni dell’anello esterno fino a quasi il margine interno. Solo un piccolo anello di elettroni ultra-relativistici era sopravvissuto a questa tempesta. Questi residui hanno dato vita al terzo anello.
Dopo la tempesta, si è espansa intorno alla Terra una bolla fredda di plasma. Gli scienziati ritengono che la sua funzione sia quella di proteggere le particelle nell’anello ristretto dall’impatto delle onde ioniche, permettendo all’anello di persistere per più tempo. Il team di ricercatori ha anche mostrato che le pulsazioni elettromagnetiche a frequenze molto basse che si pensa siano tipiche nell’accelerazione e rallentamento degli elettroni nelle singole cinture, non hanno avuto alcuna influenza su questi elettroni ultra-relativistici. Le fasce di Van Allen “non possono più essere considerate come una massa singola consistente di elettroni. Si comportano secondo la loro diversa energia e reagiscono in vari modi ai disturbi presenti nello spazio.” ha spiegato Yuri Shprits.
La teoria è in accordo con osservazioni precedenti. Un recente articolo pubblicato nella rivista Geophysical Review Letters il 28 Luglio 2013 ha fornito spiegazioni simili per la persistenza nel tempo del terzo anello. Richard Thorne, primo autore di questa ricerca, ha usato i dati provenienti dalla missione THEMIS della NASA per comprendere quanto tempo la sfera di plasma sarebbe restata in vita. ”Maggiore è l’energia più lungo è il tempo di vita”, ha precisato Richard Thorne. “I nostri modelli mostrano che, se non succede nulla che perturba le fasce di radiazione, gli elettroni più energetici possono rimanere in vita per 100 giorni. Nel 2013 la tempesta di settembre ha spazzato via l’anello dopo circa un mese, le particelle nell’anello sarebbero decadute come avevamo previsto”. 
A differenza dello studio di Yuri Shprits, il precedente modello di Richard Thorne non spiega la natura dell’anello esterno, né i motivi per cui si sia impoverito di particelle in così poco tempo. Restano ancora numerose domande su ciascuna delle fasce: ” gli elettroni ultra-relativistici del terzo anello hanno così tanta energia che sono guidati da processi fisici molto diversi tra loro; integrare le informazioni che spiegano non solo l’osservazione dell’inusuale longevo anello centrale, ma renderle coerenti con un modello esplicativo globale significa aprire una nuova area di ricerca per le particelle ultra – relativistiche”, conclude Yuri Shprits.

martedì 24 settembre 2013

SONDE SPAZIALI. In viaggio tra i segreti del cosmo (ebook gratuito).

(clicca QUI per il download!)
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Negli ultimi dieci anni, la mole di informazioni (sia a carattere scientifico che di altro genere) accumulatesi online e disponibili per chiunque abbia interesse a raccoglierle (per diletto, oppure per delle ricerche finalizzate alla divulgazione scientifica), ha ormai raggiunto dei livelli esponenziali. Se dunque il vero obiettivo, per un autore che si occupi solo ed esclusivamente di divulgazione scientifica, è quello di trasmettere (attraverso delle dettagliate, nonché opportunamente selezionate e verificate, raccolte di informazioni tecnico-scientifiche) in modo puramente oggettivo e cronologico (dunque ordinatamente), ciò che il web può offrire solo in modo “casuale” (e spesso anche senza garanzie di attendibilità delle informazioni), allora diviene necessario appoggiarsi alle fonti più affidabili ed autorevoli presenti oggigiorno in quello spazio virtuale accessibile a milioni di persone, chiamato Internet.
E questo è proprio ciò che io ho fatto per la“composizione” di questo libro. Il presente volume, è dunque il frutto di un lavoro di ricerca, valutazione, verifica di correttezza ,“scrematura” e disposizione cronologica, delle informazioni relative all’argomento trattato, tratte prevalentemente dal web dal sito ufficiale della NASA, dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF), dell’Agenzia Spaziale Italiana (ASI), di quella europea (ESA) e non da ultimo, dall’Enciclopedia Libera Wikipedia (la cui affidabilità ed attendibilità delle informazioni in essa contenute, da me utilizzate spesso per la stesura della presente opera, sono state sempre da parte mia attentamente e scrupolosamente verificate attraverso un confronto con i documenti e gli articoli originali, menzionati ed utilizzati dalla stessa Enciclopedia Libera per la realizzazione dei testi).
Lo scopo di questo volume, è dunque quello di fornire un supporto cartaceo (preconfezionato e quindi …“pronto-uso”) ricco di informazioni ordinate e ponderatamente selezionate, a tutti coloro che per motivi di tempo o semplicemente per pura pigrizia, preferiscono evitare dei lunghi e faticosi lavori di ricerca online, sui loro argomenti preferiti. Considerata la natura della presente opera, essa (per questioni di copyright) in formato digitale (eBook), è quindi disponibile gratuitamente sul sito web dell’editore. Per quanto riguarda il contenuto del libro, come già il titolo lascia intuire, l’argomento centrale attorno al quale ruotano altre tematiche (altresì importanti ma molto meno approfondite nel testo), è rivolto esclusivamente verso i programmi (o missioni) spaziali.
Ma sono solo alcune (probabilmente le più importanti, per ciò che sono state in grado di apportare, in termini di nuove conoscenze in ambito scientifico), le missioni esposte e descritte nel libro, a volte con dovizia di particolari, durante il lungo excursus sui modelli, gli obiettivi e le funzioni fondamentali delle sonde spaziali che hanno caratterizzato e rivoluzionato il campo della ricerca astronomica in questi ultimi quattro-cinque decenni di storia. Ma lo scopo di questa breve opera, a carattere estremamente introduttivo (in relazione all’argomento trattato), era proprio questo; ovvero fornire al lettore appassionato di tali tematiche, qualche spunto per visualizzare meglio la direzione in cui l’ingegneria aerospaziale si sta muovendo, in quest’epoca (tra la fine degli anni novanta ed oggi) di grande fervore scientifico e tecnologico.
Se tra le ultime pagine del presente volume, qualche lettore quindi riuscirà in tale intento (ammesso che sia anche il suo obiettivo), sappia che il merito non è affatto del sottoscritto, bensì di quelle persone che ogni giorno, dietro le quinte (…a volte riconoscibili solo da un nickname), lavorano instancabilmente affinché tutti possano accedere liberamente all’informazione (sia essa di natura scientifica, filosofica, poetica o di qualsiasi altro genere), e farne possibilmente buon uso; poiché, come giustamente intuì Seneca già duemila anni fa: “occorre essere servi del sapere, per essere veramente liberi”.
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Fausto Intilla
Cadenazzo, 22 settembre 2013


Computer "viventi", fatti di circuiti e molecole biologiche!

Fonte: ANSA Scienze
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Nel prossimo futuro si prospettano due rivoluzioni tecnologiche che sanno di fantascienza: quella dei computer 'viventi', fatti di circuiti e molecole biologiche, e quella dell'internet 'degli oggetti', un web che permetterà a macchine e apparecchiature di comunicare tra loro in maniera istantanea per semplificarci la vita, regolando il traffico delle città o sorvegliando gli anziani a distanza. E' questa la previsione di Federico Faggin, l'inventore del primo microprocessore. Vive e lavora da decenni negli Stati Uniti, dove è stato uno dei 'motori' della californiana Silicon Valleym è in Italia per ricevere il premio Galileo 2000 dedicato agli innovatori.

Transistor sempre più piccoli grazie ai nuovi materiali come il grafene, chip ancora più sottili e sovrapposti come una millefoglie: la corsa alla miniaturizzazione continuerà senza sosta, anche se rallenterà un po' il passo. Ma la vera rivoluzione inizierà fra una cinquantina di anni, quando le strade dell'informatica e della biologia si incroceranno. ''Si apriranno grandi possibilità ancora inimmaginabili quando si utilizzerà la biologia nei sistemi informatici - spiega Faggin - basti pensare alle potenzialità di un semplice organismo unicellulare come il protozoo che, pur essendo privo di sistema nervoso, ha una enorme capacità di processamento delle informazioni. Potremo avere potenti computer quantistici che usano molecole simili al Dna ma dotate di basi diverse, per evitare una contaminazione con i veri esseri viventi''.

Basterà invece attendere ancora un paio di decenni per vedere compiuta un'altra rivoluzione che sta muovendo ora i suoi primi passi, quella dell'internet degli oggetti. ''Avremo veicoli, oggetti di casa, sensori nelle fabbriche, che saranno capaci di comunicare fra loro ad alta velocità per eseguire in maniera automatica dei compiti'', afferma il fisico italiano. ''Le possibili applicazioni sono ancora impensabili, ma potranno andare dalla guida automatica dei veicoli nel traffico all'assistenza da remoto degli anziani che vivono soli''.

lunedì 23 settembre 2013

Alghe dallo spazio? Gli scienziati non ci credono.

Parte di una diatomea, probabilmente della specie Nitzschia, recuperata a 25 km di altezza (Wainwright)
Fonte: Corriere Scienze
Articolo di Franco Foresta Martin
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Che cosa ci fa un microscopico guscio di diatomea sospeso nella stratosfera a 25 km di altezza? E soprattutto: com'è arrivato fin lassù? A questa domanda ciascuno di noi risponderebbe, guidato più dal buonsenso che dalla competenza, chiamando in causa vortici atmosferici, eruzioni vulcaniche o trasporti di velivoli d'alta quota. Ma cinque ricercatori di rispettabilissime università del Regno Unito, dopo avere scartato tutte le possibili cause terrestri, concludono, tenetevi forte, che la diatomea da loro trovata è aliena, che viene dallo spazio, dopo aver viaggiato chissà per quanto tempo nel cuore di una cometa.
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PRESUNTE SCOPERTE - L'ultimo annuncio di una lunga serie di presunte scoperte di microorganismi extraterrestri è stato appena pubblicato su Journal of Cosmology, una rivista scientifica nota fra gli esperti per la sua tendenza ad accogliere i contributi dei sostenitori della moderna panspermìa, la teoria secondo cui la vita non è comparsa spontaneamente sulla Terra ma ci è arrivata, e continuerebbe ad arrivarci dallo spazio. Fra i maggiori sostenitori di questa teoria c'è stato il famoso astronomo Fred Hoyle, morto nel 2001, che descriveva le comete come inseminatori universali di vita elementare. Non a caso l'articolo che ora annuncia la scoperta della diatomea cosmica è firmato, fra gli altri, da Chandra Wickramasinghe, già allievo prediletto e poi collaboratore di Hoyle.
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CONCLUSIONI AFFRETTATE - A leggere l'articolo si direbbe che le premesse della ricerca sono ineccepibili; piuttosto sembrano affrettate le conclusioni. I cinque hanno allestito un apparato strumentale dotato di campionatori automatici e sospeso a un pallone stratosferico. A quote prestabilite ciascun campionatore si apriva e captava un po' di aria rarefatta con il relativo pulviscolo, da esaminare poi in laboratorio. Il pallone è stato lanciato da Ellesmere Port (pochi chilometri a sud di Liverpool) il 31 luglio scorso. Tutto ha funzionato alla perfezione: dopo aver completato i prelievi, raggiunta la quota di circa 27 km, la navicella è stata sganciata ed è scesa con un paracadute a Wakefield, nello Yorkshire, un centinaio di chilometri più a est. Gli autori assicurano che pallone e navicella erano stati accuratamente puliti prima del lancio e che i meccanismi di campionamento, rigorosamente sterilizzati, erano stati concepiti per far si che i filtri inglobassero solo le particelle prelevate alle alte quote desiderate, senza rischi di intrusioni dei contaminanti presenti alle più basse quote.
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PRELIEVI - Questo tipo di prelievi ha la finalità di studiare, con l'aiuto di microscopi elettronici a scansione, la composizione del pulviscolo atmosferico ad alta quota e i vari tipi batteri eventualmente presenti, i cosiddetti estremofili, che riescono a sopravvivere a temperature di decine di gradi sottozero, sotto un intenso bombardamento di radiazioni ultraviolette. La maggior parte degli scienziati ritiene che questi batteri, piccoli appena un millesimo di millimetro e leggeri, tanto da poter restare sospesi per lunghi periodi nella rarefatta stratosfera, siano sollevati dalle basse quote fino a decine di chilometri d'altezza da forti correnti ascensionali e da altri meccanismi di trasporto atmosferico.
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INSOLITO - Subito, al primo sommario esame dei reperti, è stato trovato qualcosa di insolito: nel filtro esposto a poco meno di 25 km d'altezza era rimasto impigliato quello che inequivocabilmente è apparso un frammento di frustulo di diatomea, cioè un pezzo del guscio di uno di questi organismi unicellulari che popolano in abbondanza le acque sia salate sia dolci. Per quanto più grandi dei batteri, da dieci a cento volte, le diatomee sono dotate di un elegante involucro siliceo che le rende troppo pesanti per un facile trasporto alle altissime quote. «Mai prima d'ora era stato catturato nella stratosfera un frammento di diatomea, per proiettare il quale fino a 25 km si dovrebbe pensare a un fenomeno importante come alla colonna ascendente di una grande eruzione vulcanica. Bisogna poi considerare che il frammento, una volta arrivato lassù, sarebbe riportato a terra dalla forza di gravità nel giro di poche ore>, ha dichiarato Milton Wainwright, il primo firmatario dell'articolo.
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ERUZIONE - Poiché l'ultima grande eruzione europea capace di lanciare in stratosfera particolato relativamente pesante è stata quella del vulcano islandese Eyjafjallajökull nel 2010, e poiché i tempi di residenza in stratosfera del frammento di diatomea trovato sono stati calcolati in appena 6 ore, gli autori concludono che la diatomea non può che venire dallo spazio, a meno che non si scopra un nuovo meccanismo di trasporto atmosferico per oggetti relativamente più pesanti, attualmente impensabile. In linea con le teorie sulla panspermia di Hoyle, inoltre, i cinque ricercatori britannici ipotizzano addirittura che la loro diatomea albergasse nella cometa progenitrice dello sciame estivo delle Perseidi, dato che il volo del pallone è avvenuto proprio a ridosso di questa pioggia di meteore.
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SCETTICISMO - La comunità scientifica, dopo ripetuti falsi annunci e cocenti delusioni (fra le più clamorose, la scoperta di batteri fossili nel meteorite marziano di Allan Hills nel 1996, annunciata addirittura dal presidente Bill Clinton, e poi rivelatasi un abbaglio dovuto ad artefatti mineralogici) ha reagito piuttosto negativamente all'articolo dei colleghi britannici, criticando la loro imprudenza e facendo notare che, molto probabilmente, la diatomea è finita nel campionatore al livello del suolo, oppure perché stava da qualche parte appiccicata nel pallone ed è scivolata giù durante il volo. Chris McKay, un astrobiologo della Nasa, ha preferito commentare con una citazione del grande scienziato e divulgatore Carl Sagan: «Un grande annuncio presuppone una grande evidenza», ha detto. «Loro hanno trovato qualcosa di curioso, ma per ora niente di più».
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PRECEDENTI - Scorrendo le recenti pubblicazioni di Wikramasinghe, si trova che le diatomee potrebbero essere l'ossessione aliena di questo scienziato, attualmente docente e direttore del Centre for Astrobiology alla University of Buckingham, in Gran Bretagna. Proprio a gennaio del 2013, sempre su Journal of Cosmology, il professore ha pubblicato un articolo su un presunto meteorite caduto in Sri Lanka nel 2012 all'interno del quale egli ha trovato, indovinate che cosa? Diatomee fossili. Peccato che il meteorite in oggetto non abbia ricevuto la certificazione di essere tale da altri esperti che lo hanno classificato come una folgorite, una roccia terrestre colpita da un fulmine.

mercoledì 11 settembre 2013

Realizzati i fili elettrici di ragnatela, rivestita da nanotubi di carbonio.

Una fase del processo di rivestimento del filo di seta (fonte: National High Magnetic Field Laboratory)

Fonte: ANSA Scienze
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Arrivano i fili elettrici fatti di ragnatela: robusti e flessibili, sono ottimi conduttori di elettricità grazie ad un particolare rivestimento fatto di nanotubi di carbonio. Li hanno messi a punto i ricercatori dell'università della Florida, che sulla rivista Nature Communications descrivono la loro prima applicazione all'interno di alcuni dispositivi come un rilevatore di frequenza cardiaca.

La seta prodotta dai ragni è dotata di molte proprietà utili nel campo dell'elettronica, come la resistenza e la flessibilità. Il suo impiego, però, era finora limitato dalla scarsa resistenza all'acqua e dalla difficoltà di rendere la seta compatibile con materiali che le conferissero la capacità di condurre l'elettricità in maniera efficiente.

I ricercatori dell'università della Florida che lavorano presso il National High Magnetic Field Laboratory di Tallahassee sono riusciti a superare questo ostacolo sviluppando un metodo che consente di rivestire i fili di seta con nanotubi di carbonio. In questo modo hanno ottenuto dei fili che, oltre ad essere più resistenti, sono anche ottimi conduttori di elettricità (la loro capacità conduttiva varia a seconda dell'umidità e della tensione fisica a cui sono sottoposti). I ricercatori li hanno testati inserendoli all'interno di due dispositivi elettronici, un misuratore di frequenza cardiaca e un attuatore. Il successo ottenuto con queste due prime applicazioni apre la strada ad un più vasto impiego nel campo dell'elettronica.

martedì 10 settembre 2013

Realizzati all'Imip-Cnr, dei diamanti artificiali per produrre energia elettrica dal Sole.

Il modulo di conversione sviluppato dall'Istituto di Metodologie Inorganiche e dei Plasmi del Consiglio Nazionale delle Ricerche (Fonte: Daniele Maria Trucchi /Imip-Cnr)
Fonte: ANSA Scienze
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Diamanti artificiali per produrre energia dal Sole: realizzati appositamente nei laboratori dell'Istituto di Metodologie Inorganiche e dei Plasmi del Consiglio Nazionale delle Ricerche (Imip-Cnr) sono alla base di una nuova tecnologia che trasforma l'energia solare in energia elettrica.
La tecnologia, nata nell'ambito del progetto europeo Ephestus, è stata presentata da Daniele Maria Trucchi dell'Imip-Cnr al congresso di Fisica della Materia (FisMat2013) in corso a Milano.

Il diamante ha una grande capacità di emettere elettroni quando lavora ad alte temperature, ragione per cui ''abbiamo scelto questo materiale per realizzare un modulo di conversione nel quale arriva l'energia solare concentrata da un concentratore (costituito da uno specchio)'', ha spiegato Trucchi coordinatore del progetto Ephestus per il Cnr e coordinatore del progetto europeo Prometheus che punta a utilizzare il diamante per un modulo di conversione ancora più innovativo. L'energia solare riscalda il modulo, che può arrivare anche a temperature di 1.000 gradi, ed emette elettroni che vengono raccolti da un collettore metallico e posso essere messi a disposizione di un carico per erogare corrente elettrica.

Naturalmente usare i diamanti naturali sarebbe molto costoso, inoltre andrebbero selezionati solo quelli dalla struttura adeguata. Al contrario, sottolinea Trucchi, ''in laboratorio possiamo realizzare diamanti con la struttura adatta alle nostre esigenze e a costi contenuti, (un euro per centimetro quadrato che si abbasserebbero se il prodotto fosse fabbricato a livello industriale)''.

Il metodo usato per produrre i diamanti si chiama Cvd (Chemical Vapor Deposition) deposizione chimica da fase vapore: ''introduciamo idrogeno e metano in un apparato - spiega Trucchi - lo attiviamo con plasma a microonde che rompe i legami fra le molecole e il carbonio contenuto nel metano fa da seme per la formazione dei diamanti, l'idrogeno invece evita che si formi la grafite anche se un po' di questo materiale si deposita lo stesso intorno alla gemma artificiale''.

Le ‘gemme’ ottenute, sotto forma di una pellicola sottile di colore semitrasparente che ha l’aspetto dei diamanti grezzi, vengono depositate su una superficie piana di materiali ceramici, che hanno la funzione di assorbire con grande efficienza l'energia solare e di passarla al diamante. Siamo arrivati a dimostrare una efficienza di conversione dei dispositivi del 6% ma credo che in tre anni di sviluppo potremmo ottenere un prodotto competitivo per il mercato che raggiunga una efficienza di conversione di almeno il 15%''.