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Nel 1985, nel suo libro “La
società della mente”, Marvin Minsky scrisse: “Non dobbiamo chiederci se le macchine intelligenti possano avere delle
emozioni, ma se tali macchine possano essere intelligenti senza di esse”. Fino
a non molti anni fa, lo studio sull’intelligenza artificiale ignorava l’importanza
delle emozioni nello sviluppo delle risposte artificiali in quelle che potremmo
tranquillamente chiamare: “macchine semi-pensanti”. Ma in questi ultimi anni però, le
cose sono cambiate. Rosalind Picard, direttore del gruppo di “Calcolo Affettivo”
(Affecting Computing Research) del
MIT, in un’intervista spiegò che il “calcolo affettivo” definisce “il settore che si occupa dei calcolatori
che sono in grado di riconoscere, esprimere e generare progressivamente
emozioni umane”, aggiungendo inoltre che
“esso include
l’assegnazione alle macchine di abilità di intelligenza impressionabile”; e
non escludendo infine l’ipotesi che un giorno, determinate “risposte oggettive e standardizzate,
potrebbero definire dei comportamenti superiori a quelli umani”.
Quando un essere umano, è in grado di superare delle prove di
intelligenza con eccellenti risultati, ma senza contemporaneamente provare
alcuna emozione, emerge una condizione patologica denominata: “sindrome frontale” (a volte chiamata anche "sindrome di Damasio"). Tali persone prendono delle decisioni su basi esclusivamente logiche,
senza alcuna mediazione emotiva (con risultati generalmente disastrosi). La “sindrome
frontale” è caratterizzata da alterazioni nel lobo frontale, con interessamento
di una zona chiave della corteccia che comunica con il sistema limbico. I
malati di “sindrome frontale”, ottengono normalmente eccellenti risultati nella
prove di intelligenza, ma sono persone con forti incapacità emotive nei loro approcci. Quindi prendono decisioni che non possono essere
considerate intelligenti. Se una persona normale, dopo una determinata azione
logica, non ottiene il risultato atteso, cercherà un’altra soluzione; ma questo
non avviene nel malato di “sindrome frontale”, che ripeterà continuamente ciò
che gli sembra logico, anche se i risultati sono sempre e palesemente disastrosi.
Non esiste quindi per tali persone, un “circuito di controllo” delle sensazioni, in
grado di migliorare i loro processi cognitivi (apportando maggiore informazione
o ridefinendo quella già esistente a livello intuitivo) e dunque di rendere del
tutto logica ogni successiva azione intrapresa. Come ben
spiega Sara Sesti in un eccellente articolo su tale argomento: “Tanto Edith Stein, quanto Max Scheler, anche
se in modi differenti, avevano individuato nell’empatia (per Scheler “immedesimazione
affettiva”) il modo di conoscere umano; ossia la capacità di cogliere
affettivamente il vissuto altrui. Prima di qualsiasi altro scambio, l'empatia costituisce il primo momento
e la base di ogni comunicazione e rappresenta la capacità di comprendere
l'altro senza bisogno di simboli o parole, ma attraverso gli atti intenzionali.
La forma di percezione nella quale consiste la comprensione empatica non è la
semplice percezione passiva e ricettiva, ma contiene in sé il momento attivo
della rielaborazione del percepito”.
Secondo la ricercatrice Javier Movellan: “L'aspetto
affettivo della comunicazione arricchisce la pura comunicazione verbale di
messaggi che altrimenti rimarrebbero inespressi.
Anzi, la comunicazione affettiva è a volte sufficiente affinché avvenga la
comprensione tra due esseri viventi". Nel suo articolo sulle “emozioni artificiali”, la Sesti prosegue
affermando che: “Il computer, attraverso l'acquisizione e l'elaborazione delle
centinaia di migliaia di informazioni relative al volto umano e ai suoi movimenti,
impara a riconoscere nei volti reali delle persone sentimenti come la gioia, la
rabbia, la tristezza o la curiosità. Marian Bartlett, che svolge il suo
dottorato di ricerca presso il Machine
Perception Laboratory e
si occupa direttamente del progetto di riconoscimento facciale, afferma che
oggi i loro computer sono in
grado di riconoscere le dodici principali espressioni facciali con la stessa
accuratezza di un esperto (umano) del settore. Il trucco utilizzato dai ricercatori
è quello di mimare il funzionamento della retina umana suddividendo l'immagine
in piccole celle, che vengono poi esaminate per individuarne i cambiamenti. I
problemi da risolvere riguardano ancora, però, la capacità del computer di seguire i movimenti di un
volto in una situazione comune e quindi in presenza di elementi di disturbo. Il
trucco adottato in questo caso consiste nel far seguire al computer i colori della pelle che
rappresentano una piccola banda dello spettro luminoso. Naturalmente, come per
ogni scoperta tecnologica, sono già stati previsti gli usi e le applicazioni
dell'Informatica Affettiva. La capacità dei computer di riconoscere gli stati d'animo degli uomini potrebbe
essere fruttuosamente applicata alla diagnosi di alcune patologie psichiche,
quali la depressione e certe forme di schizofrenia, che potrebbero essere
individuate nelle loro manifestazioni dalla macchina prima che dal terapeuta. Oltre alle applicazioni nel campo della
medicina si prevedono ottimi risultati nell'utilizzo dell'Informatica Affettiva
nell'ambito dell'insegnamento a distanza. L'insegnante elettronico potrebbe
adattare il metodo d'insegnamento per ogni allievo a seconda delle sue risposte
emotive. Altrimenti, nel caso dell'insegnamento a distanza nel quale comunque
sia mantenuta la presenza di un insegnante umano, l'applicazione della nuova
tecnologia permetterebbe a quest'ultimo di essere cosciente delle reazioni
dell'allievo e del suo interesse. Altro
ambito nel quale si intravede la reale possibilità di utilizzo è quello
dell'interazione con oggetti d'uso quotidiano: dal giocattolo che si accorge
della tristezza del bambino e lo invita a giocare, all'automobile che
suggerisce al guidatore stanco di accostare e riposarsi”.
Fatta questa premessa, su come sia possibile, per una “macchina”,
riconoscere ed interpretare
correttamente determinate emozioni umane e rispondere di conseguenza (mimando tali
stati emotivi), rimane però ancora una questione fondamentale da risolvere;
ovvero: Ma tali macchine, un giorno, saranno in grado di replicare
perfettamente i processi cognitivi umani? E se la risposta è sì, in tal caso,
le loro emozioni, saranno “reali”? Qual è il confine tra “reale” ed “irreale/artificiale”,
quando parliamo di “stati mentali”? Perché di questo si tratta, ossia di stati
di elaborazione dell’informazione così complessi, da poter essere considerati
dei veri e propri “stati mentali”! Ebbene io qualche idea a tal proposito ce l’avrei.
Sul fatto che un giorno l’uomo riuscirà a costruire
delle “macchine” in grado di replicare perfettamente i processi cognitivi umani
(attraverso forme d’ intelligenza addirittura superiori a quelle tipiche degli
esseri umani dotati di straordinarie capacità intellettive), in grado di
muoversi autonomamente ed autoalimentarsi
(immaginiamo degli androidi estremamente evoluti, a titolo
d’esempio), non ho alcun dubbio. Ciò mi
porta ad ipotizzare che il “sistema pulsante”, l’ “elaboratore centrale” di
informazione relativa a tutti i processi cognitivi di tale “macchina pensante”, potrà essere
costruito ed operare su diverse tipologie di substrato ; per cui potrebbe
essere di natura chimico-biologica, del tutto composto da elementi di natura
inorganica, oppure ibrido (dove l’elettronica si fonderebbe con elementi di
natura chimico-biologica). Da tale
ipotesi, non posso far altro che andare oltre e pormi le seguenti domande: Ma tali “macchine pensanti”, raggiunto un
certo livello di complessità (in materia di processi cognitivi), potranno
manifestare anche un comportamento emotivo o addirittura “provare” del
sentimento verso persone, animali o
altre “macchine pensanti” simili a loro? Emozioni e sentimento,
necessitano forzatamente di una “mente
biologica”, oppure no? Se ad un essere
umano viene trapiantato un cuore artificiale (di materiale
plastico-inorganico), i suoi sentimenti nei confronti dei suoi cari restano
immutati. Non diventa improvvisamente insensibile o privo di quei meccanismi
che regolano i suoi processi empatici. Lo stesso discorso si potrebbe fare per
quelle persone alle quali vengono impiantati altri organi artificiali di natura
inorganica oppure delle protesi in sostituzione degli arti inferiori o
superiori; tali persone non diventano delle macchine, senza emozioni,
sentimento, empatia e principi morali! Dunque tutto lascia credere che sia solo
il cervello, a dare origine ad emozione
e sentimento; ossia che tutto dipenda dal nostro “elaboratore centrale”
di informazione relativa a tutti i nostri processi cognitivi! Nonostante queste considerazioni però, la
domanda di partenza rimane sempre la stessa:
Emozione e sentimento, necessitano
forzatamente di una “mente biologica”? Ovvero, tutti i processi
cognitivi, per manifestare determinate forme
di espressività comportamentale legate ad emozione e sentimento, debbono
necessariamente prendere forma e svilupparsi attraverso un substrato biologico?
Ma cosa sono in realtà le emozioni, che cos’è in realtà il sentimento? Sono degli stati mentali, che portano a delle
manifestazioni corporee, ma non sempre!
In alcuni individui infatti, tali stati mentali vengono
“interiorizzati”, e dunque possiamo accorgerci della loro esistenza soltanto
attraverso una comunicazione verbale con il soggetto interessato. Ma uno stato
mentale possiamo però definirlo attraverso la tipologia delle onde cerebrali
emesse in un dato istante e delle aree del cervello interessate durante tale
processo cognitivo. Si tratta dunque di rilevare determinate onde
elettromagnetiche e di determinare alcune aree del nostro cervello chiamate in
causa durante uno specifico evento preso in esame (un gesto d’affetto, un grido
di gioia,…). Ma se le onde elettromagnetiche emesse da un apparato tecnologico
di natura inorganica , fossero della stessa natura (stessa frequenza e
lunghezza d’onda) di quelle emesse da un cervello umano (quindi da un substrato
biologico); se tali onde (dell’apparato tecnologico) emergessero inoltre, solo
ed esclusivamente da determinate parti (o aree) del dispositivo artificiale
(dunque secondo degli schemi
analogicamente equiparabili a quelli presenti nel cervello), a
dipendenza della natura dell’onda stessa e della sua “affinità” con determinate
aree dell’elaboratore artificiale; e se infine l’intero processo di
elaborazione dell’informazione, fosse identico a quello prodotto da una mente
umana, in che modo potremmo accorgerci della differenza? Possiamo immaginare dunque l’esistenza di
stati mentali di natura artificiale (non biologica); ma ci è difficile
immaginare che onde elettromagnetiche della stessa natura (uguali in entrambi i
sistemi di riferimento: cervello e apparato artificiale), e altrettanti
processi di elaborazione dell’informazione anch’essi identici nei due sistemi
di riferimento (cervello e apparato artificiale), possano dare origine a degli
stati mentali umani e non umani! E se un giorno scoprissimo che amore e
sentimento sono dei principi universali legati a qualsiasi “entità pensante”
dell’Universo (sia essa di natura biologica o meno)? Ebbene sarà solo
l’evoluzione della scienza e della tecnologia nell’ambito dell’intelligenza
artificiale, che in futuro potrebbe portarci verso una risposta definitiva ed
esauriente a tale domanda; per ora possiamo solo limitarci a cercare il modo di
accrescere e diffondere tali principi tra i nostri simili, i quali, anche se
non fossero universali, sono comunque in grado di rendere l’animo umano più
nobile ed aperto ad ogni eventuale comunione (in futuro), con altre “entità
pensanti” di natura diversa dalla nostra (fossero esse terrestri, dunque
costruite dall’uomo, o provenienti da altri mondi).
Nel
libro “Il Principio Antropico”, gli autori John D.Barrow & Frank J.Tipler,
sostengono che: “"L'opportunità di
creare esseri intelligenti superiori agli esseri umani viene messa spesso in
discussione, in quanto si dice che tali esseri non sarebbero dei servitori ma
dei padroni. Noi riteniamo, al contrario, che sarebbe saggio dal punto di vista
economico che i membri di specie evolutesi per via naturale costruissero dei
robot intellettualmente molto superiori a se stessi. Ricordiamo che ogni
ricchezza è in ultima istanza Informazione. Robot dall'intelligenza superiore
aumenterebbero la quantità di Informazione a disposizione di una civiltà ben al
di là di quanto potrebbero fare i soli sforzi dei creatori. La cooperazione tra
robot super-intelligenti e membri della specie che li ha creati, porterebbe ad
un aumento della ricchezza disponibile per entrambi i gruppi, e la specie
creatrice sarebbe più ricca con i robot che senza. Che la cooperazione tra due
entità economiche A e B, con A superiore a B sotto tutti i punti di vista,
comporti un miglioramento economico per entrambe, è una ben nota conseguenza
della teoria del vantaggio relativo in economia. Noi esseri umani non dovremmo
avere paura dei nostri discendenti robot più di quanto ne abbiamo di quelli
fatti di carne e sangue, che un giorno l'evoluzione renderà diversi dall'Homo
sapiens. Decisamente non sarebbe saggio attaccare o tentare di ridurre in
schiavitù i robot intelligenti nostri discendenti. Non dimentichiamo che nel
racconto originale Frankestein era inizialmente un essere gentile e generoso, diventato
malvagio solo per lo spietato trattamento ricevuto dagli uomini". Io
aggiungo semplicemente questo: Tutto vero …purché le cose vadano sempre nel
“verso giusto”.
Le
ricerche più recenti (nonché le rispettive applicazioni) nel campo
dell'intelligenza artificiale, atte alla realizzazione di robot umanoidi,
implicano anche un miglioramento tecnologico in grado di fornire a queste
"macchine" (un domani), una sorta di intelligenza emotiva sulla cui
base possa svilupparsi ciò che comunemente chiamiamo: autocoscienza. Paradossalmente
comunque, in base ai parametri più "deterministici" della teoria
dell' "Oggettività Forte", il fenomeno dell'autoconsapevolezza non
esiste (in quanto il nostro Ego viene considerato come una sorta di entità
fittizia); tutto è quindi definibile in termini di "complessità
auto-organizzantesi". Tuttavia, non è possibile intraprendere alcun tipo
di studio o ricerca sull'intelligenza umana o artificiale, sulla base del
modello deterministico della realtà.
A mio
avviso, è possibile definire il concetto di "sentimento" come una
sorta di input alla cooperazione, il cui fine ultimo è quello di migliorare la
qualità dell'Informazione onde poter raggiungere livelli sempre più alti sulla
nostra scala evolutiva. Nel caso specifico della specie umana quindi, tale
fenomeno ("sentimento") porta a dei rapporti di coppia (uomo-donna)
stabili i cui frutti (prole) saranno in grado di garantire una certa continuità
della specie e quindi in ultima analisi, un miglioramento della qualità
dell'Informazione (che come abbiamo precedentemente visto, rappresenta la
nostra reale "ricchezza"). Amore ed Amicizia quindi, giocano un ruolo
importantissimo nel processo evolutivo di una specie. Se un giorno quindi i
nostri cari androidi diverranno sufficientemente evoluti da poter addirittura
auto-riprodursi, possiamo facilmente intuire che non esiteranno un solo istante
...a mettere in pratica tale opportunità.