Notizie e curiosità in ambito scientifico. Un blog di Fausto Intilla (teorico, aforista, inventore e divulgatore scientifico). Official Website: www.oloscience.com
sabato 28 febbraio 2009
Un nuovo gioco,chiamato Foldit, trasforma l'avvolgimento delle proteine in uno sport competitivo.
venerdì 27 febbraio 2009
Viviamo realmente in un Universo a più dimensioni? Con il Large Hadron Collider forse lo scopriremo.
Una caratteristica interessante della teoria delle stringhe è che essa predice il numero di dimensioni che l'Universo dovrebbe avere. Né la teoria dell'elettromagnetismo di Maxwell né la teoria della Einstein dicono nulla sull'argomento: entrambe le teorie richiedono che i fisici inseriscano "a mano" il numero delle dimensioni.
Invece, la teoria delle stringhe consente di calcolare il numero di dimensioni dello spazio-tempo dai suoi principi base. Tecnicamente, questo accade perché il principio di invarianza di Lorentz può essere soddisfatto solo in un certo numero di dimensioni. Più o meno questo equivale a dire che se misuriamo la distanza fra due punti e poi ruotiamo il nostro osservatore di un certo angolo e misuriamo di nuovo, la distanza osservata rimane la stessa solo se l'universo ha un ben preciso numero di dimensioni. Il solo problema è che quando si esegue questo calcolo, il numero di dimensioni dell'universo non è quattro, come ci si potrebbe attendere (tre assi spaziali e uno temporale), bensì ventisei. Più precisamente, le teorie bosoniche implicano 26 dimensioni, mentre le superstringhe e le teorie-M risultano richiedere 10 o 11 dimensioni.
Comunque, questi modelli sembrano in contraddizione con i fenomeni osservati. I fisici di solito risolvono questo problema in uno dei due diversi modi. Il primo consiste nel compattare le dimensioni extra; cioè, si suppone che le 6 o 7 dimensioni extra producano effetti fisici su un raggio così piccolo da non poter essere rilevate nelle nostre osservazioni sperimentali. Senza aggiungere i flussi, riusciamo ad ottenere la risoluzione del modello a 6 dimensioni con gli spazi di Calabi-Yau. In 7 dimensioni, essi sono chiamati varietà G2 e in 8 varietà Spin. In sostanza, queste dimensioni extra vengono matematicamente compattate con successo facendole ripiegare su sé stesse.
Un'altra possibilità è che noi siamo bloccati in un sottospazio a "3+1" dimensioni dell'intero universo, ove il 3+1 ci ricorda che il tempo è una dimensione di tipo diverso dallo spazio. Siccome questa idea implica oggetti matematici chiamati D-brane, essa è nota come Teoria Braneworld.
In entrambi i casi la gravità, agendo nelle dimensioni nascoste, produce altre forze non gravitazionali, come l'elettromagnetismo. In linea di principio, quindi, è possibile dedurre la natura di queste dimensioni extra imponendo la congruenza con il modello standard, ma questa non è ancora una possibilità pratica.
A tutt'oggi, la teoria delle stringhe non è verificabile, anche se ci sono aspettative che nuove e più precise misurazioni delle anisotropie della radiazione cosmica di fondo, possano dare le prime conferme indirette. Indubbiamente non è l'unica teoria in sviluppo a soffrire di questa difficoltà; qualunque nuovo sviluppo può passare attraverso una fase di non verificabilità prima di essere definitivamente accettato o respinto.
La teoria delle stringhe è ancora in uno "stato larvale": essa possiede molte caratteristiche di interesse matematico, e può davvero diventare estremamente importante per la nostra comprensione dell'Universo, ma richiede ulteriori sviluppi prima di poter diventare verificabile. Questi sviluppi possono essere nella teoria stessa, come nuovi metodi per eseguire i calcoli e derivare le predizioni, o possono consistere in progressi nelle scienze sperimentali, che possono rendere misurabili quantità che al momento non lo sono.
Si potrebbe tuttavia verificare la veridicità della teoria indirettamente analizzando i gravitoni. Gli attuali acceleratori di particelle non sono in grado di tracciare il momento in cui un gravitone sfugge per passare a una brana vicina. Forse LHC, il nuovo acceleratore di Ginevra, potrà darci nuove risposte.
giovedì 26 febbraio 2009
Qb1, primo computer senza tastiera né mouse
GINEVRA Un nuovo tipo di computer - il Qb1 - è stato presentato in prima mondiale alla conferenza specializzata Lift, incominciata ieri a Ginevra. Composto di un braccio articolato che termina con uno schermo, il computer senza tastiera nè mouse è capace di identificare l’utente e di capire i suoi desideri. «Oggigiorno è l’utente che deve avvicinarsi al computer e esprimere le sue volontà servendosi della tastiera o di un telecomando. Con Qb1 abbiamo scambiato i ruoli: è il computer che si adegua e che cerca l’informazione», spiega il direttore del laboratorio Pfl+Ecal Lab, Nicolas Henchoz. L’utente dialoga a gesti con il computer. Qb1 - una versione più perfezionata del prototipo Wizkid presentato l’anno scorso a New York - è capace di comprendere simultaneamente i gesti di due mani. Il computer risponde a distanza alle volontà del suo interlocutore: «La macchina vi reperisce nella stanza in cui vi trovate e vi propone dei contenuti. Con un semplice gesto si può accettare o rifiutare. Basta pure un gesto per aumentare o diminuire il volume», prosegue Henchoz. Alla conferenza specializzata, che durerà fino al 27 febbraio, è stata presentata una prima applicazione per jukebox. Sempre durante Lift, i «padri» di Qb1, l’ingegnere Frèdèric Kaplan e il designer Martino d’Esposito, selezioneranno delle persone disposte a testare il prototipo. L’obiettivo è di verificare che i codici gestuali siano chiari per il computer e naturali per gli umani che dialogano con lui. I due creatori «hanno voluto creare un nuovo essere informatico, che non assomiglia nè ad un essere umano, nè ad un animale», osserva Henchoz. Per aprire perspettive commerciali a Qb1, Kaplan e il suo complice hanno creato Ozwe, una spin-off del Politecnico federale di Losanna (Pfl).
Il primo libro elettronico che resiste agli urti e alle cadute
FONTE
Gli e-books, o electronic books, sono dispositivi digitali che permettono di raccogliere il testo di migliaia di libri in un volume tascabile. Tutti i libri elettronici oggi disponibili sul mercato hanno un unico problema: possiedono schermi in vetro che si rompono o si graffiano facilmente. La necessità di utilizzare display in vetro nasce dalla particolare tecnologia su cui si basa un e-book, la cosiddetta tecnologia a inchiostro elettronico. Come funziona? Lo schermo di un libro elettronico contiene delle microsfere allineate in un unico strato su un sottile foglio di plastica. Ogni microsfera racchiude numerose microcapsule riempite con pigmenti ionizzati. I pigmenti neri hanno carica negativa, quelli bianchi carica positiva. Intorno a ogni microsfera viene creato un campo elettrico in grado di orientare le cariche dei pigmenti, ovvero le microcapsule. Quindi, la distribuzione del colore sullo schermo dipende dalla natura del campo elettrico generato intorno alle microsfere. Attualmente, gli elettrodi utilizzati per creare il campo elettrico sono posizionati su un supporto di vetro. Questo perché la pressione esercitata dal vetro “costringe” le microsfere ad allinearsi sul foglio di plastica lungo un singolo strato. Per aggirare questa limitazione, i ricercatori della Plastic Logic hanno avuto un’idea: ricoprire le prime microsfere posizionate sul foglio di plastica con sostanze tensioattive, che agevolano la miscibilità delle molecole. In questo modo, man mano che sul foglio vengono inserite nuove microsfere, queste scivolano le une sopra le altre sino ad allinearsi lungo un unico piano. Grazie a questa tecnica innovativa, si potrà fare a meno di utilizzare rigidi e fragili supporti in vetro per montare gli elettrodi. Il risultato? Una biblioteca digitale flessibile e resistente, tutta nel palmo di una mano. (m.s.)
Fuochi d'artificio dallo spazio profondo
Da oltre un mese il satellite Swift della Nasa e il Fermi Gamma-ray Space Telescope stanno registrando frequenti e potentissime esplosioni provenienti da un punto dell'Universo distante 30 mila anni luce dalla Terra. Secondo i ricercatori potrebbero segnalare un raro tipo di stella di neutroni il cui campo campo magnetico estremamente intenso. Credit: NASA/Swift/Jules Halpern (Columbia Univ.)
Sviluppato un nuovo test per rilevare l'abuso di steroidi nei bovini.
Una proteina fluorescente per visualizzare l'attività neuronale in laboratorio
mercoledì 25 febbraio 2009
Chiariti alcuni dei meccanismi immunologici associati alla protezione nei confronti di HIV.
Un elevato tasso di CCL28 plasmatico, una chemochina, permette il reclutamento di plasmacellule in grado di produrre anticorpi IgA anti-HIV.
Uno studio condotto da ricercatori dell'Università degli Studi di Milano, in collaborazione con l'Ospedale SS. Annunziata Antella di Firenze, l'Institut de recherche pour le développement (IRD) di Montpellier, l'University of Southern California a Los Angeles, la Columbia University e l'Università dello Zambia a Lusaka, ha chiarito alcuni dei meccanismi immunologici associati alla protezione nei confronti di HIV. Tali meccanismi potrebbero essere usati nelle realizzazione di un vaccino mucosale efficace non solo contro l'HIV ma potenzialmente utile anche nei confronti di altre patologie a trasmissione sessuale (come. herpes virus, virus dell'epatite, ecc).Nello studio, coordinato dall'équipe di Mario Clerici e, pubblicato sulla rivista on line PLoS ONE, è stato valutato l'effetto di una proteina che attira nelle sedi mucosali le plasmacellule che producono anticorpi protettivi chiamati IgA, la chemochina MEC-CCL28, sull'induzione di una risposta immune a livello delle mucose.
Era gia noto che nelle donne HIV-sieronegative, partner sessuali di soggetti HIV-sieropositivi, lo stato di protezione dall'infezione da HIV che le distingueva fosse dovuto a molteplici fattori, tra cui anche la produzione di IgA HIV-specifiche a livello delle mucose genitali, ma i risultati ottenuti dal nuovo studio hanno dimostrato che la concentrazione di CCL28 è aumentata nel plasma e nella saliva di soggetti esposti ad HIV ma non infetti.Inoltre la concentrazione di CCL28 nel latte materno di donne africane HIV infette è aumentata e si associa alla più lunga sopravvivenza dei loro bambini allattati al seno e si è potuto dimostrare che, nel topo vaccinato con HIV e CCL28, le plasmacellule che producono anticorpi IgA risultano essere aumentate proprio a livello genitale e rettale. In conseguenza di questi studi la possibilità di indurre il reclutamento di plasmacellule secernenti IgA a livello mucosale, tramite l'utilizzo della chemochina CCL28, rappresenta un passo avanti verso la messa a punto di procedure vaccinali preventive della trasmissione di HIV, così come di altre malattie sessualmente trasmissibili nelle quali la principale via di contagio è rappresentata dalle mucose genitali.
Il Robot che si sposta guardando il mondo esterno con gli stessi meccanismi neuronali degli esseri umani.
Si muove in mezzo ad una stanza piena di ostacoli proprio come farebbe un umano. Fin qui non avrebbe nulla di nuovo e stupefacente il robot progettato dalla Scuola Superiore Sant'Anna di Pisa... Invece, la vera innovazione è che si districa e si sposta guardando il mondo esterno con gli stessi meccanismi neuronali degli essere umani, simula cioè le aree visive del sistema nervoso centrale.Ha un solo difetto... non ha ancora un nome. O meglio ne ha uno ufficioso: si chiama Gennaro, acronimo complicato di inglesismi, ma facile da ricordare e italiano 100%. Come il suo progettatore Antonio Frisoli del laboratorio PERCRO della Scuola Superiore Sant'Anna.La capacità dell'automa è quella di evitare gli ostacoli, come farebbe un umano, utilizzando gli stessi stimoli cerebrali.
Ascolta l'intervista ad Antonio Frisoli:
Scarica il file audio in mp3
Il progetto è frutto di una collaborazione internazionale: il software inserito nel robot è stato progettato da Heiko Neumann e Cornelia Beck, Ulm University, ed è ispirato al cervello umano e al suo modo di interpretare le informazioni visive per evitare gli ostacoli. Mentre i ricercatori della Scuola Superiore di Pisa si sono occupati della parte legata alla robotica.Una delle applicazioni possibili è la creazioni di sistemi di guida per le persone ipovedenti. Ma il professor Frisoli sostiene che si sia sulla buona strada anche per la visione artificiale. Una strada comunque lunga e impervia... (Fonte)