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Notizie e curiosità in ambito scientifico. Un blog di Fausto Intilla (teorico, aforista, inventore e divulgatore scientifico). Official Website: www.oloscience.com
lunedì 9 dicembre 2013
giovedì 24 ottobre 2013
Intelligenza Artificiale, tra emozioni e sentimento.
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Nel 1985, nel suo libro “La
società della mente”, Marvin Minsky scrisse: “Non dobbiamo chiederci se le macchine intelligenti possano avere delle
emozioni, ma se tali macchine possano essere intelligenti senza di esse”. Fino
a non molti anni fa, lo studio sull’intelligenza artificiale ignorava l’importanza
delle emozioni nello sviluppo delle risposte artificiali in quelle che potremmo
tranquillamente chiamare: “macchine semi-pensanti”. Ma in questi ultimi anni però, le
cose sono cambiate. Rosalind Picard, direttore del gruppo di “Calcolo Affettivo”
(Affecting Computing Research) del
MIT, in un’intervista spiegò che il “calcolo affettivo” definisce “il settore che si occupa dei calcolatori
che sono in grado di riconoscere, esprimere e generare progressivamente
emozioni umane”, aggiungendo inoltre che
“esso include
l’assegnazione alle macchine di abilità di intelligenza impressionabile”; e
non escludendo infine l’ipotesi che un giorno, determinate “risposte oggettive e standardizzate,
potrebbero definire dei comportamenti superiori a quelli umani”.
Quando un essere umano, è in grado di superare delle prove di
intelligenza con eccellenti risultati, ma senza contemporaneamente provare
alcuna emozione, emerge una condizione patologica denominata: “sindrome frontale” (a volte chiamata anche "sindrome di Damasio"). Tali persone prendono delle decisioni su basi esclusivamente logiche,
senza alcuna mediazione emotiva (con risultati generalmente disastrosi). La “sindrome
frontale” è caratterizzata da alterazioni nel lobo frontale, con interessamento
di una zona chiave della corteccia che comunica con il sistema limbico. I
malati di “sindrome frontale”, ottengono normalmente eccellenti risultati nella
prove di intelligenza, ma sono persone con forti incapacità emotive nei loro approcci. Quindi prendono decisioni che non possono essere
considerate intelligenti. Se una persona normale, dopo una determinata azione
logica, non ottiene il risultato atteso, cercherà un’altra soluzione; ma questo
non avviene nel malato di “sindrome frontale”, che ripeterà continuamente ciò
che gli sembra logico, anche se i risultati sono sempre e palesemente disastrosi.
Non esiste quindi per tali persone, un “circuito di controllo” delle sensazioni, in
grado di migliorare i loro processi cognitivi (apportando maggiore informazione
o ridefinendo quella già esistente a livello intuitivo) e dunque di rendere del
tutto logica ogni successiva azione intrapresa. Come ben
spiega Sara Sesti in un eccellente articolo su tale argomento: “Tanto Edith Stein, quanto Max Scheler, anche
se in modi differenti, avevano individuato nell’empatia (per Scheler “immedesimazione
affettiva”) il modo di conoscere umano; ossia la capacità di cogliere
affettivamente il vissuto altrui. Prima di qualsiasi altro scambio, l'empatia costituisce il primo momento
e la base di ogni comunicazione e rappresenta la capacità di comprendere
l'altro senza bisogno di simboli o parole, ma attraverso gli atti intenzionali.
La forma di percezione nella quale consiste la comprensione empatica non è la
semplice percezione passiva e ricettiva, ma contiene in sé il momento attivo
della rielaborazione del percepito”.
Secondo la ricercatrice Javier Movellan: “L'aspetto
affettivo della comunicazione arricchisce la pura comunicazione verbale di
messaggi che altrimenti rimarrebbero inespressi.
Anzi, la comunicazione affettiva è a volte sufficiente affinché avvenga la
comprensione tra due esseri viventi". Nel suo articolo sulle “emozioni artificiali”, la Sesti prosegue
affermando che: “Il computer, attraverso l'acquisizione e l'elaborazione delle
centinaia di migliaia di informazioni relative al volto umano e ai suoi movimenti,
impara a riconoscere nei volti reali delle persone sentimenti come la gioia, la
rabbia, la tristezza o la curiosità. Marian Bartlett, che svolge il suo
dottorato di ricerca presso il Machine
Perception Laboratory e
si occupa direttamente del progetto di riconoscimento facciale, afferma che
oggi i loro computer sono in
grado di riconoscere le dodici principali espressioni facciali con la stessa
accuratezza di un esperto (umano) del settore. Il trucco utilizzato dai ricercatori
è quello di mimare il funzionamento della retina umana suddividendo l'immagine
in piccole celle, che vengono poi esaminate per individuarne i cambiamenti. I
problemi da risolvere riguardano ancora, però, la capacità del computer di seguire i movimenti di un
volto in una situazione comune e quindi in presenza di elementi di disturbo. Il
trucco adottato in questo caso consiste nel far seguire al computer i colori della pelle che
rappresentano una piccola banda dello spettro luminoso. Naturalmente, come per
ogni scoperta tecnologica, sono già stati previsti gli usi e le applicazioni
dell'Informatica Affettiva. La capacità dei computer di riconoscere gli stati d'animo degli uomini potrebbe
essere fruttuosamente applicata alla diagnosi di alcune patologie psichiche,
quali la depressione e certe forme di schizofrenia, che potrebbero essere
individuate nelle loro manifestazioni dalla macchina prima che dal terapeuta. Oltre alle applicazioni nel campo della
medicina si prevedono ottimi risultati nell'utilizzo dell'Informatica Affettiva
nell'ambito dell'insegnamento a distanza. L'insegnante elettronico potrebbe
adattare il metodo d'insegnamento per ogni allievo a seconda delle sue risposte
emotive. Altrimenti, nel caso dell'insegnamento a distanza nel quale comunque
sia mantenuta la presenza di un insegnante umano, l'applicazione della nuova
tecnologia permetterebbe a quest'ultimo di essere cosciente delle reazioni
dell'allievo e del suo interesse. Altro
ambito nel quale si intravede la reale possibilità di utilizzo è quello
dell'interazione con oggetti d'uso quotidiano: dal giocattolo che si accorge
della tristezza del bambino e lo invita a giocare, all'automobile che
suggerisce al guidatore stanco di accostare e riposarsi”.
Fatta questa premessa, su come sia possibile, per una “macchina”,
riconoscere ed interpretare
correttamente determinate emozioni umane e rispondere di conseguenza (mimando tali
stati emotivi), rimane però ancora una questione fondamentale da risolvere;
ovvero: Ma tali macchine, un giorno, saranno in grado di replicare
perfettamente i processi cognitivi umani? E se la risposta è sì, in tal caso,
le loro emozioni, saranno “reali”? Qual è il confine tra “reale” ed “irreale/artificiale”,
quando parliamo di “stati mentali”? Perché di questo si tratta, ossia di stati
di elaborazione dell’informazione così complessi, da poter essere considerati
dei veri e propri “stati mentali”! Ebbene io qualche idea a tal proposito ce l’avrei.
Sul fatto che un giorno l’uomo riuscirà a costruire
delle “macchine” in grado di replicare perfettamente i processi cognitivi umani
(attraverso forme d’ intelligenza addirittura superiori a quelle tipiche degli
esseri umani dotati di straordinarie capacità intellettive), in grado di
muoversi autonomamente ed autoalimentarsi
(immaginiamo degli androidi estremamente evoluti, a titolo
d’esempio), non ho alcun dubbio. Ciò mi
porta ad ipotizzare che il “sistema pulsante”, l’ “elaboratore centrale” di
informazione relativa a tutti i processi cognitivi di tale “macchina pensante”, potrà essere
costruito ed operare su diverse tipologie di substrato ; per cui potrebbe
essere di natura chimico-biologica, del tutto composto da elementi di natura
inorganica, oppure ibrido (dove l’elettronica si fonderebbe con elementi di
natura chimico-biologica). Da tale
ipotesi, non posso far altro che andare oltre e pormi le seguenti domande: Ma tali “macchine pensanti”, raggiunto un
certo livello di complessità (in materia di processi cognitivi), potranno
manifestare anche un comportamento emotivo o addirittura “provare” del
sentimento verso persone, animali o
altre “macchine pensanti” simili a loro? Emozioni e sentimento,
necessitano forzatamente di una “mente
biologica”, oppure no? Se ad un essere
umano viene trapiantato un cuore artificiale (di materiale
plastico-inorganico), i suoi sentimenti nei confronti dei suoi cari restano
immutati. Non diventa improvvisamente insensibile o privo di quei meccanismi
che regolano i suoi processi empatici. Lo stesso discorso si potrebbe fare per
quelle persone alle quali vengono impiantati altri organi artificiali di natura
inorganica oppure delle protesi in sostituzione degli arti inferiori o
superiori; tali persone non diventano delle macchine, senza emozioni,
sentimento, empatia e principi morali! Dunque tutto lascia credere che sia solo
il cervello, a dare origine ad emozione
e sentimento; ossia che tutto dipenda dal nostro “elaboratore centrale”
di informazione relativa a tutti i nostri processi cognitivi! Nonostante queste considerazioni però, la
domanda di partenza rimane sempre la stessa:
Emozione e sentimento, necessitano
forzatamente di una “mente biologica”? Ovvero, tutti i processi
cognitivi, per manifestare determinate forme
di espressività comportamentale legate ad emozione e sentimento, debbono
necessariamente prendere forma e svilupparsi attraverso un substrato biologico?
Ma cosa sono in realtà le emozioni, che cos’è in realtà il sentimento? Sono degli stati mentali, che portano a delle
manifestazioni corporee, ma non sempre!
In alcuni individui infatti, tali stati mentali vengono
“interiorizzati”, e dunque possiamo accorgerci della loro esistenza soltanto
attraverso una comunicazione verbale con il soggetto interessato. Ma uno stato
mentale possiamo però definirlo attraverso la tipologia delle onde cerebrali
emesse in un dato istante e delle aree del cervello interessate durante tale
processo cognitivo. Si tratta dunque di rilevare determinate onde
elettromagnetiche e di determinare alcune aree del nostro cervello chiamate in
causa durante uno specifico evento preso in esame (un gesto d’affetto, un grido
di gioia,…). Ma se le onde elettromagnetiche emesse da un apparato tecnologico
di natura inorganica , fossero della stessa natura (stessa frequenza e
lunghezza d’onda) di quelle emesse da un cervello umano (quindi da un substrato
biologico); se tali onde (dell’apparato tecnologico) emergessero inoltre, solo
ed esclusivamente da determinate parti (o aree) del dispositivo artificiale
(dunque secondo degli schemi
analogicamente equiparabili a quelli presenti nel cervello), a
dipendenza della natura dell’onda stessa e della sua “affinità” con determinate
aree dell’elaboratore artificiale; e se infine l’intero processo di
elaborazione dell’informazione, fosse identico a quello prodotto da una mente
umana, in che modo potremmo accorgerci della differenza? Possiamo immaginare dunque l’esistenza di
stati mentali di natura artificiale (non biologica); ma ci è difficile
immaginare che onde elettromagnetiche della stessa natura (uguali in entrambi i
sistemi di riferimento: cervello e apparato artificiale), e altrettanti
processi di elaborazione dell’informazione anch’essi identici nei due sistemi
di riferimento (cervello e apparato artificiale), possano dare origine a degli
stati mentali umani e non umani! E se un giorno scoprissimo che amore e
sentimento sono dei principi universali legati a qualsiasi “entità pensante”
dell’Universo (sia essa di natura biologica o meno)? Ebbene sarà solo
l’evoluzione della scienza e della tecnologia nell’ambito dell’intelligenza
artificiale, che in futuro potrebbe portarci verso una risposta definitiva ed
esauriente a tale domanda; per ora possiamo solo limitarci a cercare il modo di
accrescere e diffondere tali principi tra i nostri simili, i quali, anche se
non fossero universali, sono comunque in grado di rendere l’animo umano più
nobile ed aperto ad ogni eventuale comunione (in futuro), con altre “entità
pensanti” di natura diversa dalla nostra (fossero esse terrestri, dunque
costruite dall’uomo, o provenienti da altri mondi).
Nel
libro “Il Principio Antropico”, gli autori John D.Barrow & Frank J.Tipler,
sostengono che: “"L'opportunità di
creare esseri intelligenti superiori agli esseri umani viene messa spesso in
discussione, in quanto si dice che tali esseri non sarebbero dei servitori ma
dei padroni. Noi riteniamo, al contrario, che sarebbe saggio dal punto di vista
economico che i membri di specie evolutesi per via naturale costruissero dei
robot intellettualmente molto superiori a se stessi. Ricordiamo che ogni
ricchezza è in ultima istanza Informazione. Robot dall'intelligenza superiore
aumenterebbero la quantità di Informazione a disposizione di una civiltà ben al
di là di quanto potrebbero fare i soli sforzi dei creatori. La cooperazione tra
robot super-intelligenti e membri della specie che li ha creati, porterebbe ad
un aumento della ricchezza disponibile per entrambi i gruppi, e la specie
creatrice sarebbe più ricca con i robot che senza. Che la cooperazione tra due
entità economiche A e B, con A superiore a B sotto tutti i punti di vista,
comporti un miglioramento economico per entrambe, è una ben nota conseguenza
della teoria del vantaggio relativo in economia. Noi esseri umani non dovremmo
avere paura dei nostri discendenti robot più di quanto ne abbiamo di quelli
fatti di carne e sangue, che un giorno l'evoluzione renderà diversi dall'Homo
sapiens. Decisamente non sarebbe saggio attaccare o tentare di ridurre in
schiavitù i robot intelligenti nostri discendenti. Non dimentichiamo che nel
racconto originale Frankestein era inizialmente un essere gentile e generoso, diventato
malvagio solo per lo spietato trattamento ricevuto dagli uomini". Io
aggiungo semplicemente questo: Tutto vero …purché le cose vadano sempre nel
“verso giusto”.
Le
ricerche più recenti (nonché le rispettive applicazioni) nel campo
dell'intelligenza artificiale, atte alla realizzazione di robot umanoidi,
implicano anche un miglioramento tecnologico in grado di fornire a queste
"macchine" (un domani), una sorta di intelligenza emotiva sulla cui
base possa svilupparsi ciò che comunemente chiamiamo: autocoscienza. Paradossalmente
comunque, in base ai parametri più "deterministici" della teoria
dell' "Oggettività Forte", il fenomeno dell'autoconsapevolezza non
esiste (in quanto il nostro Ego viene considerato come una sorta di entità
fittizia); tutto è quindi definibile in termini di "complessità
auto-organizzantesi". Tuttavia, non è possibile intraprendere alcun tipo
di studio o ricerca sull'intelligenza umana o artificiale, sulla base del
modello deterministico della realtà.
A mio
avviso, è possibile definire il concetto di "sentimento" come una
sorta di input alla cooperazione, il cui fine ultimo è quello di migliorare la
qualità dell'Informazione onde poter raggiungere livelli sempre più alti sulla
nostra scala evolutiva. Nel caso specifico della specie umana quindi, tale
fenomeno ("sentimento") porta a dei rapporti di coppia (uomo-donna)
stabili i cui frutti (prole) saranno in grado di garantire una certa continuità
della specie e quindi in ultima analisi, un miglioramento della qualità
dell'Informazione (che come abbiamo precedentemente visto, rappresenta la
nostra reale "ricchezza"). Amore ed Amicizia quindi, giocano un ruolo
importantissimo nel processo evolutivo di una specie. Se un giorno quindi i
nostri cari androidi diverranno sufficientemente evoluti da poter addirittura
auto-riprodursi, possiamo facilmente intuire che non esiteranno un solo istante
...a mettere in pratica tale opportunità.
martedì 22 ottobre 2013
L'evoluzione delle idee, attraverso i sentieri delle probabilità.
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Due amici, in un
parcheggio per automobili…
“Ma guarda un po’
quell’auto, ha alcune impronte bianche di zampa di gatto sul cofano; e
sembrerebbe persino vernice! …non vorrei essere nei panni del proprietario di
quell’auto; riverniciare il cofano gli costerà probabilmente oltre mille euro!”
“Guarda che le cose
non stanno come pensi. Conosco il proprietario di quell’auto; quelle impronte
sul cofano le ha dipinte lui di proposito, pensando di rendere più simpatica la
sua vettura”.
"Però …non l’avrei mai
detto. E quell’auto accanto, tutta a pallini rossi su vernice bianca, l’hai
vista?...il proprietario dev’essere sicuramente una persona molto estroversa…”
“Conosco anche il
proprietario di quell’auto. Sono stati due ragazzini dispettosi, due sere fa,
durante la notte, a ridurgliela così”.
“Ma è incredibile
questa coincidenza! In uno stesso parcheggio, vi sono le auto di due persone
che conosci personalmente …e che ovviamente hai subito riconosciuto dalle loro
strane caratteristiche!”
“Trovi? …io invece ritengo
più incredibile il fatto che un proprietario dipinga sulla sua automobile, solo
tre impronte di zampa di gatto …invece di ricoprirla interamente di tali
impronte; come ritengo altresì incredibile che due ragazzini, durante la notte,
siano stati in grado di compiere in breve tempo un lavoro così accurato e
preciso, come tu stesso puoi osservare con i tuoi occhi”.
“E quindi, cosa
vorresti dirmi, che mi hai mentito?”
“E su che cosa, ti
avrei mentito? Sul fatto che conosco i proprietari delle automobili, o sulle
strane caratteristiche estetiche delle
loro vetture? Che io ti abbia mentito oppure no, sul fatto che conosco i
proprietari, inciderebbe in qualche modo sulle probabilità che io ti abbia
mentito anche su tutto il resto?”
“Bè, se tu mi avessi
mentito sul fatto che conosci i proprietari, molto probabilmente anche tutto il
resto sarebbe solo frutto della tua fantasia!”
“Già …questo è ciò che
la nostra mente ci induce a credere e che col tempo abbiamo imparato persino a
quantificare, in termini di probabilità, attraverso le regole dell’inferenza
bayesiana. Per gli esseri umani risulta sempre molto difficile credere che
possano esistere delle “verità isolate”, che non siano a loro volta figlie di
una verità “centrale” più grande ed omnicomprensiva; tutto dev’essere sempre
giustificato da un rapporto di causa-effetto o perlomeno da supposte (dunque
soggettive) analogie tra i vari oggetti, pensieri, osservazioni ed eventi che
compongo il puzzle di un determinato contesto preso in considerazione (che per
quanto vasto possa essere, dovrà pur sempre avere dei limiti). Nel presente
quindi, debbono sempre figurare degli elementi che ci ricollegano
inevitabilmente al passato; affinché il tutto abbia un’aria di credibilità e
sia quindi accettabile ed utilizzabile come terreno per ulteriori indagini (a
titolo d’esempio, basti pensare al fatto che nel campo dell’astronomia, ci
vollero circa 1300 anni per passare dalle idee di Tolomeo a quelle di
Copernico!). Ciò ovviamente non può far altro che rallentare ogni eventuale
progresso lungo il nostro percorso evolutivo, in ogni ambito dell’attività
umana. Ma è un bene che le cose stiano così, altrimenti sulla Terra regnerebbe
il caos; sia nel mondo delle idee (in ambito scientifico, filosofico, politico,
economico, etc.) che in quello pratico relativo alla vita quotidiana di ogni
essere umano che si rapporti con i suoi simili, all’interno di una collettività.
Un mondo pieno di gattini ciechi non gioverebbe proprio a nessuno, ma starebbe
solo a simboleggiare, forse come monito per l’intera civiltà umana, che la
strada verso un’estinzione prematura, se non stiamo bene attenti, potremmo iniziare
a costruircela da soli …e probabilmente senza neppure accorgercene”.
domenica 20 ottobre 2013
Il mondo dei "vincenti".
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Dopo la riunificazione delle due repubbliche tedesche,
federale e democratica (il 3 ottobre del 1990), le persone residenti nella
Germania Est iniziarono a fare a gara nel trasferirsi il più presto possibile
nella confinante Germania Ovest; la “terra promessa” in cui chi aveva la
fortuna di approdare, poteva godere di tutte le meraviglie del capitalismo. I
più audaci quindi, spinti dall’illusione della “libertà” e dal desiderio di
sperimentare sulla loro pelle, quell’eccitante sensazione data da una libera competizione
verso ricchezze e potere, sostenuti solo dalla loro vanità e avidità, si
riversarono in massa nella terra che
avevano sempre sognato. Chi riuscì a realizzare i propri sogni, grazie alle
proprie doti intellettive ed intuito negli affari (ma grazie anche ad una buona
dose di fortuna e in molti casi anche di astuzia e disonestà), si convinse
quindi della validità e degli innumerevoli pregi del sistema capitalistico;
portandone alta la bandiera . Ed oggi sono proprio i nuovi ricchi del est (ormai
non più giovani), coloro che durante la loro infanzia vissero sotto regime
comunista, ad ostentare maggiormente le loro ricchezze. Per tali persone, il
successo (denaro e potere a volontà), è figlio indiscusso della selezione
naturale; visto che per raggiungerlo, occorre passare per la competizione (ad
ogni costo, con ogni mezzo, calpestando chiunque intralci il loro cammino). I
più forti vincono, i più deboli soccombono, così vuole la dura legge della
natura; questa è la loro filosofia di vita. Ma è fin troppo facile adottare
questa filosofia di vita quando si è dei “vincenti” e rinnegarla invece
quando si è dei “perdenti” (elogiando in
tal caso il buon vecchio regime comunista). Un “vincente” quindi dovrebbe
mostrarsi sempre coerente con le proprie idee e nel caso in cui il destino
dovesse tradirlo (o metterlo alla prova?) facendogli perdere ogni ricchezza
materiale, avere almeno il coraggio di suicidarsi. Invece il più delle volte
capita che tali signori, invece di fare ciò che per coerenza con le loro idee
dovrebbero fare (togliersi di mezzo), improvvisamente, trovandosi sull’orlo di
un precipizio (o essendoci già finiti dentro), al culmine della loro ipocrisia,
diventino dei “buonisti”; dei docili, simpatici ed amichevoli “fratelli” in
cerca dell’ “Unità”. Ma forse è un bene che sia così; tutti hanno il diritto (o
il dovere?) di capire, quando il fato ci mette duramente alla prova, che in
realtà non esistono né perdenti e né vincitori, a questo mondo, ma solo persone
che meritano di vivere dignitosamente. La selezione naturale (almeno
quella legata alla competizione per le risorse, poiché quella legata agli
adattamenti ambientali ed epidemiologica, non dipende dal livello evolutivo di
alcuna specie animale) possiamo
tranquillamente lasciarla alle specie animali meno evolute della nostra; poiché
tali specie non sanno ciò che fanno e i loro comportamenti, sono quindi
giustificabili; ma gli esseri umani sanno esattamente ciò che fanno, ne sono
pienamente consapevoli, ed è per questo motivo che sono tutti biasimabili. Ma
forse sono ancora io a sbagliarmi; infatti, finché negli esseri umani
prevarranno determinati “impulsi
neurogenetici di antico stampo”, le cose non potranno mai cambiare in
meglio; e la realtà che osserviamo oggigiorno a livello sociale, è solo il
risultato di un livello evolutivo ancora piuttosto basso, della nostra specie
animale.
sabato 19 ottobre 2013
Tecnologia e salute ...l'alto prezzo dell'evoluzione.
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Circa trent’anni fa (nel 1986), il biologo ed
antropologo sudafricano Lyall Watson, nel suo libro “Beyond Supernature” (tradotto per la prima volta in italiano solo
nel 1992), così scriveva a proposito dell’inquinamento ambientale
elettromagnetico e delle sue interazioni (tutt’altro che positive) con tutti
gli esseri viventi che popolano la Terra (con particolare riferimento al genere
umano): “Siamo, senza volerlo ma con
nostra tacita approvazione, i soggetti di un gigantesco esperimento elettrico;
di cui non possiamo scorgerne la fine. La densità delle onde radio attorno a
noi è ora cento milioni di volte superiore al naturale livello che proviene dal
Sole [e non era neppure iniziata l’era dei telefoni cellulari! I quali
cominciarono a diffondersi su scala globale, solo a partire dalla metà degli
anni novanta, avendo
un vero e proprio boom di vendite nel 2000; nel 2007 il 50%
della popolazione mondiale aveva un cellulare, all'inizio del 2009 la
percentuale è salita al 61%! N.d.A]. Quando
verranno introdotti [in massa, poiché già utilizzati sin dalla fine degli
anni ‘60, N.d.A] i cavi di
superconduzione[1],
la forza del campo attorno alle linee elettriche aumenterà di venti volte. Le
macchine elettriche e i veicoli mossi grazie alla levitazione magnetica
aggiungeranno fonti completamente nuove di inquinamento elettrico al caos in
cui siamo già immersi. Nel frattempo, i primi risultati della sperimentazione
cominciano a trasparire, e sembra che non esista alcun luogo dove nascondersi.
Fin dal 1982, è stata riportata un’alta frequenza di casi di leucemia, in tre
indagini separate condotte su persone in California, Inghilterra e Galles,
esposte ad alte frequenze elettromagnetiche: gli operatori radiofonici, i
tecnici elettronici, i lavoratori delle linee elettriche, i fonditori di
alluminio, gli ingegneri elettronici. Un’aumentata predisposizione al cancro è
stata registrata in bambini le cui abitazioni sono vicine a linee elettriche ad
alto voltaggio. (…) Sembra che le donne americane in stato interessante (ma
anche inglesi e canadesi), che lavorano come operatrici di terminali video
siano soggette ad aborti, a nascite di bambini morti o deformi, con una
percentuale più alta di quella di tutta la popolazione nel suo complesso.
Ovunque, un gran numero di persone operanti in ambienti altamente elettrici
lamenta emicranie, perdita d’appetito e frequente affaticamento”. Proseguendo
poi nella pagina successiva: “Ci
svegliamo e ci addormentiamo, sudiamo e tremiamo, oriniamo e respiriamo in
sintonia con tracce cosmiche che sono spesso così deboli da non poter essere
prese seriamente in considerazione dalla scienza medica. Durante l’ultima
decade questa tendenza a sottovalutare l’influsso dei campi elettromagnetici
ambientali, è stata invertita da una marea di studi sull’insonnia, sulle
irregolarità mestruali e sullo stress nei pazienti con disturbi ciclici. È ora
largamente accettata la teoria che l’integrità funzionale, i processi
fondamentali della crescita e del controllo e l’efficiente funzionamento del
sistema nervoso centrale, siano tutti in gran parte regolati dal nostro
ambiente elettromagnetico”.
Oggigiorno (a causa degli interessi miliardari che
ruotano attorno alle lobbies legate
soprattutto al mondo delle telecomunicazioni), a distanza di circa trent’anni
da quanto era già più o meno noto in ambito scientifico (ma in parte anche
popolare), sui potenziali rischi ed effetti negativi dell’elettrosmog, "gli
studi che sostengono di aver trovato correlazioni statistiche
significative tra l'esposizione a radiazione elettromagnetica a bassa frequenza e
l'insorgenza di effetti a lungo termine (quali leucemia e vari
tipi di tumore),
vengono spesso contestati sulla base della presunta non significatività
statistica dei risultati (dovuta principalmente alla
ristrettezza del campione scelto o a tempi di studio non sufficientemente
lunghi)". (Fonte: Wikipedia)
Ora, col passare degli anni, dei lustri e dei
decenni, è ovvio che la situazione andrà via via peggiorando sempre di più (a
meno che non assisteremo ad una lenta e graduale involuzione nel campo della
tecnologia e dei suoi vari campi d’impiego, con un progressivo ritorno a mezzi
elettronici e tecnologici meno evoluti usati nel passato; una cosa estremamente
improbabile, per non dire impossibile). È assai probabile quindi (per non dire
scontato), che attorno al 2050 avremo ormai raggiunto dei livelli esponenziali di
elettrosmog, su scala mondiale! E il problema è che non vi è alcun modo per
porvi rimedio, né ora come neppure in futuro; la corsa è inarrestabile. Anzi,
in futuro il genere umano disporrà di una rete di telecomunicazioni così fitta,
ramificata e presente in ogni angolo del globo terrestre, che probabilmente
sarà addirittura in grado di auto-alimentarsi! Ovvero di assorbire
autonomamente l’energia necessaria attraverso “scambi d’eccedenze” tra i vari sistemi
di trasmissione e ricezione dei segnali elettromagnetici usati appunto per le
telecomunicazioni. E non si tratta di fantascienza; molti studi in tale
direzione sono già stati eseguiti, e i primi risultati li potremo appurare
molto probabilmente già entro il 2018, quando sul mercato inizieranno a
comparire i primi telefoni cellulari senza batteria! L'università di Washington
sta infatti lavorando ad una tecnologia rivoluzionaria denominata: Ambient
Backscatter (radiazione di ritorno ambientale), che permetterà in un
prossimo futuro di far funzionare i
dispositivi elettronici, telefoni compresi, senza l'ausilio della batteria. Per
farlo i dispositivi sfrutteranno le onde elettromagnetiche già presenti
nell'ambiente, come quelli dei ripetitori televisivi, i network Wi-Fi e
le reti cellulari.
La salute degli esseri umani (ma non solo la nostra,
anche quella di molte altre specie animali), non potrà che essere compromessa
sempre di più, in un prossimo futuro (e la medicina ovviamente, anche tra vent’anni,
non sarà ancora in grado di fare miracoli). Quindi, a fare la differenza, a
decidere quale parte dell’umanità sopravviverà, di generazione in generazione,
nel corso dei secoli a venire, e quale invece soccomberà (a causa di leucemie,
tumori maligni ed altre patologie assai gravi legate principalmente all’inquinamento
ambientale elettromagnetico; ma anche a quello classico dovuto alle polveri
fini, in costante aumento in ogni angolo del nostro pianeta), sarà semplicemente
la cara e vecchia …selezione naturale (che solo nel corso delle decine di
migliaia di anni, potrà evidenziare un percorso evolutivo della specie umana,
verso una maggiore intelligenza; mentre nel corso dei secoli a venire,
preserverà soltanto gli individui meglio predisposti da un punto di vista
biologico e genetico, ai cambiamenti ambientali (di natura elettromagnetica,
climatica o epidemiologica).
[1] Un cavo superconduttore permette di trasmettere una quantità di energia
elettrica tra tre a cinque volte maggiore di quella di un cavo in rame di pari
dimensioni, con una significativa riduzione delle perdite.
mercoledì 9 ottobre 2013
Dimensioni parallele ...e strani sogni.
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L’alieno lo prese per
mano e gli disse: “Vieni, non avere paura, ti accompagnerò in un’altra
dimensione”. L’essere umano accettò
l’invito e salì con l’alieno sull’astronave. Pochi istanti dopo si ritrovarono
entrambi in un posto incantevole, ma palesemente non terrestre. Scesero insieme
dalla nave spaziale e l’essere umano cominciò a guardarsi attorno, tentando di
toccare con le mani gli oggetti ad egli circostanti. Subito notò con grande stupore,
che le sue mani, così come il resto del suo corpo, passavano attraverso gli
oggetti come se questi fossero degli ologrammi, delle entità evanescenti; e
dunque non vi era modo di toccare o afferrare proprio nulla. L’umano a quel
punto si rivolse all’alieno: “Ma dove mi hai portato? Non capisco, com’è
possibile che io riesca a camminare, in un posto simile…” e iniziò a premere le
sue dita sulle sue braccia, per essere sicuro di avere ancora una “consistenza
solida”; dopo essersene accertato, esclamò: “Ma sono sempre lo stesso, la mia
consistenza non è cambiata! Ho ancora un corpo solido!...e allora come mai non
sprofondo?...la mia densità è molto più alta rispetto a tutto ciò che mi
circonda, è molto strano tutto ciò”. A quel punto
intervenne l’alieno: “Sprofondare? E in cosa o dove, dovresti sprofondare? Qui
non esiste la forza di gravità, ma solo la forza di volontà. Prova a pensare di
conficcare il tuo piede destro nel suolo su cui stai camminando”. L’essere umano provò a
fare ciò che gli era stato chiesto e ancora una volta con suo grande stupore,
scoprì che era possibile, solo con la propria forza del pensiero, continuare a
camminare su di un suolo evanescente, oppure immergervisi dentro! Ma ad un tratto l’alieno interruppe quel suo
stato mentale che oscillava costantemente tra la gioia, lo sconcerto e l’euforia,
rivolgendosi ad egli con le seguenti parole: “E se ora io ti dicessi che tu in
realtà sei morto e tutto ciò non è reale, mi crederesti?”. L’umano, quasi
stizzito e con tono deciso rispose: “Ma no ovviamente! Mi ci hai portato tu
qui; come faccio ad essere morto?”. Al che l’alieno
rispose: “E se invece ti avessi portato qui a tua insaputa, magari prelevandoti
nel cuore della notte, durante il sonno, e poi qui qualcuno ti avesse detto che
in realtà sei morto?”. L’umano si prese un attimo per riflettere e poi disse: “Bè,
non ci avrei creduto ugualmente e avrei
sicuramente pensato che stessi sognando. Però la cosa francamente mi spaventa, perché
quel sogno avrebbe potuto continuare per moltissimo tempo, e io non avrei mai potuto
accorgermi di nulla”. L’alieno abbozzò un sorriso e disse: “Già, non avresti
potuto mai accorgerti di nulla, a meno che io ad un certo punto, non ti avessi
riportato sulla Terra. Ma se ti fossi risvegliato lentamente nel letto in cui
dormi abitualmente, a cosa avresti creduto, ad un sogno, o ad un evento reale?”.
L’umano a tal punto si strinse nelle spalle e mestamente rispose: “Senza
alcun indizio su cui poter riflettere, probabilmente avrei pensato di essermi
finalmente risvegliato da un brutto sogno”.
lunedì 30 settembre 2013
Batterie al sale (cloruro di sodio), per accumulare energia solare.
La batteria SoNick (Fiamm) |
Fonte: Corriere Scienze
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Arriva dall'umile sale da cucina, l'NaCl (cloruro di sodio) opportunamente
miscelato con nichel, una soluzione ai problemi energetici dei prossimi anni.
L'idea è tanto semplice, quanto ingegnosa: «generare energia grazie alla luce
del sole e poi accumularla con batterie al sale». Ed è quanto sta mettendo in
atto Fiamm. La società di origine vicentina, fondata nel 1942 che oggi occupa
3300 dipendenti in 60 Paesi del mondo, famosa per la produzione di batterie e
sistemi elettronici per auto.
BATTERIE AL SALE - «Stiamo lavorando a questi nuovi dispositivi di accumulazione dal 2005», precisa Nicola Cosciani Ceo di Fiamm Energy Storage Solutions, «le batterie al sale offrono nuove opportunità per lo stoccaggio di energia». Risolvendo così il problema presente nelle fonti rinnovabili, come gli impianti fotovoltaici ed eolici: «Quello della produzione discontinua, legata a variazioni climatiche e all'alternanza giorno, notte». Grazie a questa innovativa tecnologia si creano isole energetiche autonome, efficienti dal punto di vista energetico perché consentono di gestire in modo autonomo e «verde» quanto prodotto.
ZERO EMISSIONI - Gli accumulatori SoNick, in gergo tecnico si chiamano «sodio cloruro di nichel», presentano le dimensioni di una batteria tradizionale, ma con notevole capacità di immagazzinamento e soprattutto con un basso impatto ambientale. «Zero emissioni, assenza di prodotti pericolosi e tossici e materiali cento per cento riciclabili come acciaio inox, nickel, ferro, sale e ceramica», continua Cosciani, «fanno di questi accumulatori la soluzione ideale per progetti abbinati alle rinnovabili».
ISOLA ENERGETICA - La prima isola energetica europea Fiamm Energy Oasis con batterie al sale, è installata da giugno 2011 nello stabilimento Fiamm di Almisano (Vicenza). Produce energia da celle fotovoltaiche per circa 200 mila kWh sufficiente al fabbisogno annuo di 40-50 famiglie. L'impianto, realizzato in collaborazione con Galileia, spin-off dell'università di Padova, Terni Energia Spa ed Elettronica Santerno (gruppo Carraro) prevede che il sistema di accumulo modulare con batterie al sale immagazzini il 40% dell'energia prodotta e la renda disponibile quando richiesto. L'isola di Almisano consente una riduzione delle emissioni di CO2 pari a 106 tonnellate annue.
IN GUYANA - Non solo. Fiamm si è da poco aggiudicata un importante commessa con Ansaldo Sistemi Industriali nella Guyana francese. Si chiama Toucan Project, già in fase di realizzazione sarà consegnato chiavi in mano entro luglio 2014. Fiamm fornirà cinque unità container per un totale di 288 accumulatori, in grado di offrire una capacita di immagazzinamento di 4.500 kWh. Il sistema energetico sarà collegato ai pannelli fotovoltaici dell'impianto di Montsinery, nell'entroterra. «L'obiettivo è immagazzinare l'energia diurna, per rilasciarla poi nelle ore notturne coprendo il fabbisogno di migliaia di famiglie». La tecnologia delle batterie al sale viene impiegata con successo anche nel settore della trazione elettrica. Nel nostro Paese, l'azienda vicentina che fattura 540 milioni di euro, equipaggia già i veicoli Iveco.
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Un articolo di:
Umberto Torelli @utorelli
sabato 28 settembre 2013
Carlo M. Cipolla e le leggi fondamentali della stupidità umana.
Carlo Cipolla (Pavia, 15 agosto 1922 – Pavia, 5 settembre 2000) |
Fonte: Wikipedia
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Carlo Cipolla è stato uno storico italiano, specializzato in storia economica. Ha insegnato in Italia e negli Stati Uniti. Cipolla si divertì ad "approfondire" il tema della stupidità umana formulando la famosa teoria della stupidità, enunciata nel suo arguto libello intitolato The Basic Laws of Human Stupidity (stampato per la prima volta nel 1976 come regalo di Natale per gli amici) poi pubblicato in italiano nel 1988 come Allegro ma non troppo (Il Mulino, 1988, ISBN 8815019804) e tradotto in almeno 13 lingue. Questo volume riunisce, insieme al saggio sulla teoria della stupidità, un altro libriccino stampato dalla stessa casa editrice nel 1973, sempre in inglese e sempre come regalo natalizio. La prima vera edizione inglese arriva soltanto nel 2011.
Essa vede gli stupidi come un gruppo di gran lunga più potente delle maggiori organizzazioni come le mafie o le lobby industriali, non organizzato e senza ordinamento, vertici o statuto, ma che tuttavia riesce ad operare con incredibile coordinazione ed efficacia.
Nello stesso libro si trovano le cinque leggi fondamentali della stupidità:
- Prima Legge Fondamentale: Sempre e inevitabilmente ognuno di noi sottovaluta il numero di individui stupidi in circolazione.
- Seconda Legge Fondamentale: La probabilità che una certa persona sia stupida è indipendente da qualsiasi altra caratteristica della persona stessa.
- Terza (ed aurea) Legge Fondamentale: Una persona stupida è una persona che causa un danno ad un'altra persona o gruppo di persone senza nel contempo realizzare alcun vantaggio per sé od addirittura subendo una perdita.
- Quarta Legge Fondamentale: Le persone non stupide sottovalutano sempre il potenziale nocivo delle persone stupide. In particolare i non stupidi dimenticano costantemente che in qualsiasi momento e luogo, ed in qualunque circostanza, trattare e/o associarsi con individui stupidi si dimostra infallibilmente un costosissimo errore.
- Quinta Legge Fondamentale: La persona stupida è il tipo di persona più pericoloso che esista.
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- Corollario: Lo stupido è più pericoloso del bandito.
- Danni o vantaggi che l'individuo procura a se stesso
- Danni o vantaggi che l'individuo procura agli altri
- Intelligenti (in alto a destra): fanno il proprio vantaggio e quello degli altri
- Sprovveduti (in alto a sinistra): danneggiano se stessi e avvantaggiano gli altri
- Banditi (in basso a destra): danneggiano gli altri per trarne vantaggio
- Stupidi (in basso a sinistra): danneggiano gli altri e se stessi
mercoledì 25 settembre 2013
Costruito il primo computer senza silicio, ottenuto con le nanotecnologie.
Fonte: ANSA Scienze
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Il primo computer senza silicio diventa realtà: le sue componenti sono state
realizzate utilizzando le nanotecnologie e sono interamente fatte con nanotubi
di carbonio, il materiale 'tuttofare' che apre le porte ad una
miniaturizzazione finora inimmaginabile. Il prototipo, cui la rivista Nature
dedica la copertina, funziona con transistor mille volte più piccoli di quelli
in commercio ed è stato realizzato da un gruppo di ricercatori dell'Università
di Stanford.Dalla nascita dell'elettronica, la ricerca tecnologica ha permesso una graduale ma rapida riduzione delle dimensioni dei transistor, i 'mattoni' principali dei microprocessori. Questa corsa alla miniaturizzazione, parallelamente ad un miglioramento delle prestazioni, si sta però sempre più avvicinando al 'capolinea'.
Il limite invalicabile è infatti rappresentato dalle dimensioni stesse del silicio, il materiale che costituisce i transistor utilizzati per i computer. Proprio per questo è partita da anni la corsa alla ricerca nel settore delle nanotecnologia per sviluppare valide alternative all'uso di questo materiale. Sfruttando le enormi potenzialità offerte dai nanotubi di carbonio, costituiti da un foglio di singoli atomi di carbonio piegato a formare un 'tubo', i ricercatori statunitensi sono riusciti a realizzare un intero computer.
Riuscendo a superare una serie di ostacoli tecnici, i ricercatori sono riusciti a sfruttare i nanotubi per realizzare transistor di appena 8 millesimi di millimetro (micrometri), il diametro di un globulo rosso. I nanodispositivi sono stati realizzati prendendo a modello un tipo di transistor molto semplice e oggi considerato desueto. Una volta realizzati i 'mattoni', i ricercatori hanno poi disegnato l'intero computer nel modo più semplice possibile, creando così un elaboratore in grado di lavorare con un unico bit, contro i 64 bit dei processori moderni. Seppur estremamente semplice, il ''nanocomputer'' è in grado di far 'girare' un sistema operativo e ha la capacità di eseguire più di un'operazione simultaneamente. Ovviamente le sue prestazioni non possono essere paragonate a quelle dei pc più moderni, ma le potenzialità della tecnica potrebbero essere enormi.
Il computer costruito sfruttando le nanotecnologie è il più complesso dispositivo funzionante con un'elettronica basata sul carbonio e considerando i progressi che stanno avvenendo nel settore, concludono i ricercatori, queste tecnologie potrebbero aprire la strada a nuovi dispositivi elettronici.
Gli atomi in gabbia che producono elettricità.
Fonte: Galileonet.it
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Produrre energia elettrica recuperando il calore di motori, elettrodomestici e rifiuti industriali. È la sfida che vede protagonisti i materiali termoelettrici, in grado di generare elettricità se usati come “ponte” tra un oggetto caldo e uno freddo. E che potrebbe essere arrivata a un punto di svolta grazie al lavoro degli scienziati della Vienna University of Technology, che hanno scoperto una nuova tipologia di materiali termoelettrici dal rendimento molto maggiore rispetto a quelli utilizzati oggi. Il “trucco”, spiegano i ricercatori sulle pagine di Nature Materials, sta nella struttura cristallina del materiale, all'interno della quale sono “intrappolati” degli atomi di cerio. Il loro continuo “sferragliare” contro le sbarre della gabbia magnetica in cui sono confinati sarebbe respnsabile delle proprietà eccezionalmente favorevoli del materiale.In gergo scientifico, strutture come queste sono dette clatrati. “Hanno proprietà termiche davvero notevoli”, racconta Silke Bühler-Paschen, uno degli autori del lavoro. “Il loro comportamento dipende dall'interazione tra gli atomi intrappolati e la gabbia che li cirdonda. Abbiamo pensato al cerio perché le suo proprietà magnetica prometteva un'interazione particolarmente interessante”. Il problema sta nel fatto che, almeno finora, confinare questo tipo di atomi era molto difficile. L'équipe di Bühler-Paschen ci è riuscita utilizzando una sofisticata e innovativa tecnica di crescita dei cristalli in un forno a specchi. Tutto ha funzionato alla perfezione: alla fine del procedimento, gli scienziati hanno ottenuto una cristallo in bario, oro e silicio in cui era possibile incapsulare singoli atomi di cerio.
A questo punto, i ricercatori ne hanno testato le proprietà termoelettriche. “Il moto termico degli elettroni nel materiale dipende dalla temperatura”, continua Bühler-Paschen. “Quando un materiale termoelettrico è usato per connettere un oggetto caldo a uno freddo, gli elettroni tendono a diffondere da una parte all'altra: per questa ragione si crea una differenza di potenziale e inizia a scorrere la corrente”. Gli esperimenti hanno mostrato che gli atomi di cerio aumentano del 50% il termopotere del materiale; inoltre, la conduttività termica dei clatrati è molto bassa, il che rende più semplice mantenere costante la differenza di temperatura tra i due oggetti.
L'équipe di Vienna cercherà ora di riprodurre questo effetto con altri tipi di clatrati, sostituendo l'oro con materiali più economici per rendere il materiale più appetibile dal punto di vista commerciale. E “ci sono buone speranze”, affermano gli scienziati, “che clatrati di questo tipo possano essere utilizzati in futuro per trasformare il calore dei rifiuti industriali, ma non solo, in preziosa energia elettrica”.
Riferimenti: Nature Materials doi:10.1038/nmat3756
Credits immagine: TU Vienna
Spiegato l’anello di elettroni ultra-relativistici intorno alla Terra.
Fonte: Gaianews.it
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Molto tempo è passato da quando, nel 1958, la sonda Explorer ha scoperto le Fasce di Van Allen. Da allora gli scienziati hanno tentato di spiegare la natura di queste fasce che circondano la Terra paragonandole a due grandi ciambelle di particelle molto cariche composte da elettroni ad alta energia (per l’anello esterno) e da elettroni ad alta energia e ioni positivi (per l’anello interno). A febbraio di quest’anno è stata pubblicata una ricerca sulla presenza di un terzo anello, fino a poco tempo prima sconosciuto, molto più ristretto e situato tra il primo e il secondo anello, con una vita di circa 1 mese. Dopo mesi di indagini, un gruppo di scienziati dell’Università della California, Los Angeles, ha finalmente reso pubblico un modello teorico in grado di spiegare con successo di che cosa si trattava. I risultati sono stati pubblicati in un articolo su Nature Physics il 22 settembre 2013.
Comprendere la natura di queste fasce di radiazione, la loro struttura e genesi e le cause che ne determinano i rigonfiamenti e restringimenti nel tempo (radiazioni solari escluse) è parte integrante di uno studio più ampio concernente la natura stessa del clima e dello spazio che circonda il nostro pianeta. Il clima spaziale può, tra le altre cose, causare complicazioni nei sistemi elettronici di bordo dei satelliti da cui dipendono i nostri sistemi di comunicazione e le nostre future missioni nello spazio.
Un “nuovo” modello teorico? Gli scienziati hanno dimostrato che le particelle estremamente energetiche che compongono questo terzo anello, conosciute in gergo come elettroni ultra-relativistici, sono governati da una fisica differente da quella che spiega le fasce di Van Allen. Il motivo? La terza cintura si estende tra i 1.000 e i 50.000 km sopra la superficie terrestre ed è piena di elettroni che hanno una peculiarità: si muovono a velocità prossime a quella della luce. “Nel passato, gli scienziati avevano ritenuto che tutti gli elettroni intorno alla Terra si comportassero fisicamente allo stesso modo” ha spiegato Yuri Shprits, geofisico dell’UCLA. “Solo ora stiamo scoprendo che le cinture sono fatte di popolazioni differenti, guidate da processi fisici differenti, e per questo stiamo lavorando alla la creazione di modelli globali che possono ricostruire ciò che sta accadendo a tutti i livelli”.
Gli elettroni ultra-relativistici che compongono questo terzo anello non sono del tutto assenti negli altri due, ma sono i più pericolosi perché possono facilmente penetrare anche gli scudi più resistenti di cui i nostri sistemi di comunicazione sono dotati. “La loro velocità è prossima a quella della luce, e l’energia del loro moto è svariate volte più grande dell’energia contenuta nella loro massa quando sono a riposo” ha spiegato Dmitry Subottin, coautore della ricerca. “La distinzione tra il comportamento degli elettroni ultra-relativistici e quelli ad energia più basse è stata la chiave di questo nuovo studio”.
Le fasce/cinghie hanno una diversa composizione e obbediscono a “fisiche” diverse. Confrontando le simulazioni al computer valide per le fasce di Van Allen, Yuri Shprits ed il suo team hanno scoperto che i dati non erano coerenti con il comportamento di questi elettroni ultra-relativistici. In dettaglio, ciò che diverge radicalmente dai modelli è il modo in cui queste particelle possono essere accelerate. Il meccanismo dipende da un fascio di onde o, meglio, dal plasma che si è formato tra le fasce. Le onde di plasma prodotte dagli ioni che tipicamente non influenzano gli elettroni più energetici avevano iniziato a spingere via gli elettroni dell’anello esterno fino a quasi il margine interno. Solo un piccolo anello di elettroni ultra-relativistici era sopravvissuto a questa tempesta. Questi residui hanno dato vita al terzo anello.
Dopo la tempesta, si è espansa intorno alla Terra una bolla fredda di plasma. Gli scienziati ritengono che la sua funzione sia quella di proteggere le particelle nell’anello ristretto dall’impatto delle onde ioniche, permettendo all’anello di persistere per più tempo. Il team di ricercatori ha anche mostrato che le pulsazioni elettromagnetiche a frequenze molto basse che si pensa siano tipiche nell’accelerazione e rallentamento degli elettroni nelle singole cinture, non hanno avuto alcuna influenza su questi elettroni ultra-relativistici. Le fasce di Van Allen “non possono più essere considerate come una massa singola consistente di elettroni. Si comportano secondo la loro diversa energia e reagiscono in vari modi ai disturbi presenti nello spazio.” ha spiegato Yuri Shprits.
La teoria è in accordo con osservazioni precedenti. Un recente articolo pubblicato nella rivista Geophysical Review Letters il 28 Luglio 2013 ha fornito spiegazioni simili per la persistenza nel tempo del terzo anello. Richard Thorne, primo autore di questa ricerca, ha usato i dati provenienti dalla missione THEMIS della NASA per comprendere quanto tempo la sfera di plasma sarebbe restata in vita. ”Maggiore è l’energia più lungo è il tempo di vita”, ha precisato Richard Thorne. “I nostri modelli mostrano che, se non succede nulla che perturba le fasce di radiazione, gli elettroni più energetici possono rimanere in vita per 100 giorni. Nel 2013 la tempesta di settembre ha spazzato via l’anello dopo circa un mese, le particelle nell’anello sarebbero decadute come avevamo previsto”.
A differenza dello studio di Yuri Shprits, il precedente modello di Richard Thorne non spiega la natura dell’anello esterno, né i motivi per cui si sia impoverito di particelle in così poco tempo. Restano ancora numerose domande su ciascuna delle fasce: ” gli elettroni ultra-relativistici del terzo anello hanno così tanta energia che sono guidati da processi fisici molto diversi tra loro; integrare le informazioni che spiegano non solo l’osservazione dell’inusuale longevo anello centrale, ma renderle coerenti con un modello esplicativo globale significa aprire una nuova area di ricerca per le particelle ultra – relativistiche”, conclude Yuri Shprits.
martedì 24 settembre 2013
SONDE SPAZIALI. In viaggio tra i segreti del cosmo (ebook gratuito).
(clicca QUI per il download!)
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Negli ultimi dieci anni, la mole di informazioni (sia a carattere scientifico
che di altro genere) accumulatesi online e disponibili per chiunque abbia
interesse a raccoglierle (per diletto, oppure per delle ricerche finalizzate
alla divulgazione scientifica), ha ormai raggiunto dei livelli esponenziali. Se
dunque il vero obiettivo, per un autore che si occupi solo ed esclusivamente di
divulgazione scientifica, è quello di trasmettere (attraverso delle dettagliate,
nonché opportunamente selezionate e verificate, raccolte di informazioni
tecnico-scientifiche) in modo puramente oggettivo e cronologico (dunque
ordinatamente), ciò che il web può offrire solo in modo “casuale” (e spesso
anche senza garanzie di attendibilità delle informazioni), allora diviene
necessario appoggiarsi alle fonti più affidabili ed autorevoli presenti
oggigiorno in quello spazio virtuale accessibile a milioni di persone, chiamato
Internet.
E questo è proprio ciò che io ho fatto per la“composizione” di questo libro. Il presente volume, è dunque il frutto di un lavoro di ricerca, valutazione, verifica di correttezza ,“scrematura” e disposizione cronologica, delle informazioni relative all’argomento trattato, tratte prevalentemente dal web dal sito ufficiale della NASA, dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF), dell’Agenzia Spaziale Italiana (ASI), di quella europea (ESA) e non da ultimo, dall’Enciclopedia Libera Wikipedia (la cui affidabilità ed attendibilità delle informazioni in essa contenute, da me utilizzate spesso per la stesura della presente opera, sono state sempre da parte mia attentamente e scrupolosamente verificate attraverso un confronto con i documenti e gli articoli originali, menzionati ed utilizzati dalla stessa Enciclopedia Libera per la realizzazione dei testi).
E questo è proprio ciò che io ho fatto per la“composizione” di questo libro. Il presente volume, è dunque il frutto di un lavoro di ricerca, valutazione, verifica di correttezza ,“scrematura” e disposizione cronologica, delle informazioni relative all’argomento trattato, tratte prevalentemente dal web dal sito ufficiale della NASA, dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF), dell’Agenzia Spaziale Italiana (ASI), di quella europea (ESA) e non da ultimo, dall’Enciclopedia Libera Wikipedia (la cui affidabilità ed attendibilità delle informazioni in essa contenute, da me utilizzate spesso per la stesura della presente opera, sono state sempre da parte mia attentamente e scrupolosamente verificate attraverso un confronto con i documenti e gli articoli originali, menzionati ed utilizzati dalla stessa Enciclopedia Libera per la realizzazione dei testi).
Lo scopo di questo volume, è dunque quello di fornire
un supporto cartaceo (preconfezionato e quindi …“pronto-uso”) ricco di
informazioni ordinate e ponderatamente selezionate, a tutti coloro che per
motivi di tempo o semplicemente per pura pigrizia, preferiscono evitare dei
lunghi e faticosi lavori di ricerca online, sui loro argomenti preferiti.
Considerata la natura della presente opera, essa (per questioni di copyright) in
formato digitale (eBook), è quindi disponibile gratuitamente sul sito web
dell’editore. Per quanto riguarda il contenuto del libro, come già il titolo
lascia intuire, l’argomento centrale attorno al quale ruotano altre tematiche
(altresì importanti ma molto meno approfondite nel testo), è rivolto
esclusivamente verso i programmi (o missioni) spaziali.
Ma sono solo alcune (probabilmente le più importanti, per ciò che sono state in grado di apportare, in termini di nuove conoscenze in ambito scientifico), le missioni esposte e descritte nel libro, a volte con dovizia di particolari, durante il lungo excursus sui modelli, gli obiettivi e le funzioni fondamentali delle sonde spaziali che hanno caratterizzato e rivoluzionato il campo della ricerca astronomica in questi ultimi quattro-cinque decenni di storia. Ma lo scopo di questa breve opera, a carattere estremamente introduttivo (in relazione all’argomento trattato), era proprio questo; ovvero fornire al lettore appassionato di tali tematiche, qualche spunto per visualizzare meglio la direzione in cui l’ingegneria aerospaziale si sta muovendo, in quest’epoca (tra la fine degli anni novanta ed oggi) di grande fervore scientifico e tecnologico.
Se tra le ultime pagine del presente volume, qualche lettore quindi riuscirà in tale intento (ammesso che sia anche il suo obiettivo), sappia che il merito non è affatto del sottoscritto, bensì di quelle persone che ogni giorno, dietro le quinte (…a volte riconoscibili solo da un nickname), lavorano instancabilmente affinché tutti possano accedere liberamente all’informazione (sia essa di natura scientifica, filosofica, poetica o di qualsiasi altro genere), e farne possibilmente buon uso; poiché, come giustamente intuì Seneca già duemila anni fa: “occorre essere servi del sapere, per essere veramente liberi”.
Ma sono solo alcune (probabilmente le più importanti, per ciò che sono state in grado di apportare, in termini di nuove conoscenze in ambito scientifico), le missioni esposte e descritte nel libro, a volte con dovizia di particolari, durante il lungo excursus sui modelli, gli obiettivi e le funzioni fondamentali delle sonde spaziali che hanno caratterizzato e rivoluzionato il campo della ricerca astronomica in questi ultimi quattro-cinque decenni di storia. Ma lo scopo di questa breve opera, a carattere estremamente introduttivo (in relazione all’argomento trattato), era proprio questo; ovvero fornire al lettore appassionato di tali tematiche, qualche spunto per visualizzare meglio la direzione in cui l’ingegneria aerospaziale si sta muovendo, in quest’epoca (tra la fine degli anni novanta ed oggi) di grande fervore scientifico e tecnologico.
Se tra le ultime pagine del presente volume, qualche lettore quindi riuscirà in tale intento (ammesso che sia anche il suo obiettivo), sappia che il merito non è affatto del sottoscritto, bensì di quelle persone che ogni giorno, dietro le quinte (…a volte riconoscibili solo da un nickname), lavorano instancabilmente affinché tutti possano accedere liberamente all’informazione (sia essa di natura scientifica, filosofica, poetica o di qualsiasi altro genere), e farne possibilmente buon uso; poiché, come giustamente intuì Seneca già duemila anni fa: “occorre essere servi del sapere, per essere veramente liberi”.
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Fausto Intilla
Cadenazzo, 22 settembre 2013
Cadenazzo, 22 settembre 2013
Computer "viventi", fatti di circuiti e molecole biologiche!
Fonte: ANSA Scienze
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Nel prossimo futuro si prospettano due rivoluzioni tecnologiche che sanno di
fantascienza: quella dei computer 'viventi', fatti di circuiti e molecole
biologiche, e quella dell'internet 'degli oggetti', un web che permetterà a
macchine e apparecchiature di comunicare tra loro in maniera istantanea per
semplificarci la vita, regolando il traffico delle città o sorvegliando gli
anziani a distanza. E' questa la previsione di Federico Faggin, l'inventore del
primo microprocessore. Vive e lavora da decenni negli Stati Uniti, dove è stato
uno dei 'motori' della californiana Silicon Valleym è in Italia per ricevere il
premio Galileo 2000 dedicato agli innovatori.
Transistor sempre più piccoli grazie ai nuovi materiali come il grafene, chip ancora più sottili e sovrapposti come una millefoglie: la corsa alla miniaturizzazione continuerà senza sosta, anche se rallenterà un po' il passo. Ma la vera rivoluzione inizierà fra una cinquantina di anni, quando le strade dell'informatica e della biologia si incroceranno. ''Si apriranno grandi possibilità ancora inimmaginabili quando si utilizzerà la biologia nei sistemi informatici - spiega Faggin - basti pensare alle potenzialità di un semplice organismo unicellulare come il protozoo che, pur essendo privo di sistema nervoso, ha una enorme capacità di processamento delle informazioni. Potremo avere potenti computer quantistici che usano molecole simili al Dna ma dotate di basi diverse, per evitare una contaminazione con i veri esseri viventi''.
Basterà invece attendere ancora un paio di decenni per vedere compiuta un'altra rivoluzione che sta muovendo ora i suoi primi passi, quella dell'internet degli oggetti. ''Avremo veicoli, oggetti di casa, sensori nelle fabbriche, che saranno capaci di comunicare fra loro ad alta velocità per eseguire in maniera automatica dei compiti'', afferma il fisico italiano. ''Le possibili applicazioni sono ancora impensabili, ma potranno andare dalla guida automatica dei veicoli nel traffico all'assistenza da remoto degli anziani che vivono soli''.
Transistor sempre più piccoli grazie ai nuovi materiali come il grafene, chip ancora più sottili e sovrapposti come una millefoglie: la corsa alla miniaturizzazione continuerà senza sosta, anche se rallenterà un po' il passo. Ma la vera rivoluzione inizierà fra una cinquantina di anni, quando le strade dell'informatica e della biologia si incroceranno. ''Si apriranno grandi possibilità ancora inimmaginabili quando si utilizzerà la biologia nei sistemi informatici - spiega Faggin - basti pensare alle potenzialità di un semplice organismo unicellulare come il protozoo che, pur essendo privo di sistema nervoso, ha una enorme capacità di processamento delle informazioni. Potremo avere potenti computer quantistici che usano molecole simili al Dna ma dotate di basi diverse, per evitare una contaminazione con i veri esseri viventi''.
Basterà invece attendere ancora un paio di decenni per vedere compiuta un'altra rivoluzione che sta muovendo ora i suoi primi passi, quella dell'internet degli oggetti. ''Avremo veicoli, oggetti di casa, sensori nelle fabbriche, che saranno capaci di comunicare fra loro ad alta velocità per eseguire in maniera automatica dei compiti'', afferma il fisico italiano. ''Le possibili applicazioni sono ancora impensabili, ma potranno andare dalla guida automatica dei veicoli nel traffico all'assistenza da remoto degli anziani che vivono soli''.
lunedì 23 settembre 2013
Alghe dallo spazio? Gli scienziati non ci credono.
Parte di una diatomea, probabilmente della specie Nitzschia, recuperata a 25 km di altezza (Wainwright) |
Fonte: Corriere Scienze
Articolo di Franco Foresta Martin
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Che cosa ci fa un microscopico guscio di diatomea sospeso nella stratosfera a 25 km di altezza? E soprattutto: com'è arrivato fin lassù? A questa domanda ciascuno di noi risponderebbe, guidato più dal buonsenso che dalla competenza, chiamando in causa vortici atmosferici, eruzioni vulcaniche o trasporti di velivoli d'alta quota. Ma cinque ricercatori di rispettabilissime università del Regno Unito, dopo avere scartato tutte le possibili cause terrestri, concludono, tenetevi forte, che la diatomea da loro trovata è aliena, che viene dallo spazio, dopo aver viaggiato chissà per quanto tempo nel cuore di una cometa. .
PRESUNTE SCOPERTE - L'ultimo annuncio di una lunga serie di presunte scoperte di microorganismi extraterrestri è stato appena pubblicato su Journal of Cosmology, una rivista scientifica nota fra gli esperti per la sua tendenza ad accogliere i contributi dei sostenitori della moderna panspermìa, la teoria secondo cui la vita non è comparsa spontaneamente sulla Terra ma ci è arrivata, e continuerebbe ad arrivarci dallo spazio. Fra i maggiori sostenitori di questa teoria c'è stato il famoso astronomo Fred Hoyle, morto nel 2001, che descriveva le comete come inseminatori universali di vita elementare. Non a caso l'articolo che ora annuncia la scoperta della diatomea cosmica è firmato, fra gli altri, da Chandra Wickramasinghe, già allievo prediletto e poi collaboratore di Hoyle.
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CONCLUSIONI AFFRETTATE - A leggere l'articolo si direbbe che le premesse della ricerca sono ineccepibili; piuttosto sembrano affrettate le conclusioni. I cinque hanno allestito un apparato strumentale dotato di campionatori automatici e sospeso a un pallone stratosferico. A quote prestabilite ciascun campionatore si apriva e captava un po' di aria rarefatta con il relativo pulviscolo, da esaminare poi in laboratorio. Il pallone è stato lanciato da Ellesmere Port (pochi chilometri a sud di Liverpool) il 31 luglio scorso. Tutto ha funzionato alla perfezione: dopo aver completato i prelievi, raggiunta la quota di circa 27 km, la navicella è stata sganciata ed è scesa con un paracadute a Wakefield, nello Yorkshire, un centinaio di chilometri più a est. Gli autori assicurano che pallone e navicella erano stati accuratamente puliti prima del lancio e che i meccanismi di campionamento, rigorosamente sterilizzati, erano stati concepiti per far si che i filtri inglobassero solo le particelle prelevate alle alte quote desiderate, senza rischi di intrusioni dei contaminanti presenti alle più basse quote.
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PRELIEVI - Questo tipo di prelievi ha la finalità di studiare, con l'aiuto di microscopi elettronici a scansione, la composizione del pulviscolo atmosferico ad alta quota e i vari tipi batteri eventualmente presenti, i cosiddetti estremofili, che riescono a sopravvivere a temperature di decine di gradi sottozero, sotto un intenso bombardamento di radiazioni ultraviolette. La maggior parte degli scienziati ritiene che questi batteri, piccoli appena un millesimo di millimetro e leggeri, tanto da poter restare sospesi per lunghi periodi nella rarefatta stratosfera, siano sollevati dalle basse quote fino a decine di chilometri d'altezza da forti correnti ascensionali e da altri meccanismi di trasporto atmosferico.
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INSOLITO - Subito, al primo sommario esame dei reperti, è stato trovato qualcosa di insolito: nel filtro esposto a poco meno di 25 km d'altezza era rimasto impigliato quello che inequivocabilmente è apparso un frammento di frustulo di diatomea, cioè un pezzo del guscio di uno di questi organismi unicellulari che popolano in abbondanza le acque sia salate sia dolci. Per quanto più grandi dei batteri, da dieci a cento volte, le diatomee sono dotate di un elegante involucro siliceo che le rende troppo pesanti per un facile trasporto alle altissime quote. «Mai prima d'ora era stato catturato nella stratosfera un frammento di diatomea, per proiettare il quale fino a 25 km si dovrebbe pensare a un fenomeno importante come alla colonna ascendente di una grande eruzione vulcanica. Bisogna poi considerare che il frammento, una volta arrivato lassù, sarebbe riportato a terra dalla forza di gravità nel giro di poche ore>, ha dichiarato Milton Wainwright, il primo firmatario dell'articolo.
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ERUZIONE - Poiché l'ultima grande eruzione europea capace di lanciare in stratosfera particolato relativamente pesante è stata quella del vulcano islandese Eyjafjallajökull nel 2010, e poiché i tempi di residenza in stratosfera del frammento di diatomea trovato sono stati calcolati in appena 6 ore, gli autori concludono che la diatomea non può che venire dallo spazio, a meno che non si scopra un nuovo meccanismo di trasporto atmosferico per oggetti relativamente più pesanti, attualmente impensabile. In linea con le teorie sulla panspermia di Hoyle, inoltre, i cinque ricercatori britannici ipotizzano addirittura che la loro diatomea albergasse nella cometa progenitrice dello sciame estivo delle Perseidi, dato che il volo del pallone è avvenuto proprio a ridosso di questa pioggia di meteore.
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SCETTICISMO - La comunità scientifica, dopo ripetuti falsi annunci e cocenti delusioni (fra le più clamorose, la scoperta di batteri fossili nel meteorite marziano di Allan Hills nel 1996, annunciata addirittura dal presidente Bill Clinton, e poi rivelatasi un abbaglio dovuto ad artefatti mineralogici) ha reagito piuttosto negativamente all'articolo dei colleghi britannici, criticando la loro imprudenza e facendo notare che, molto probabilmente, la diatomea è finita nel campionatore al livello del suolo, oppure perché stava da qualche parte appiccicata nel pallone ed è scivolata giù durante il volo. Chris McKay, un astrobiologo della Nasa, ha preferito commentare con una citazione del grande scienziato e divulgatore Carl Sagan: «Un grande annuncio presuppone una grande evidenza», ha detto. «Loro hanno trovato qualcosa di curioso, ma per ora niente di più».
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PRECEDENTI - Scorrendo le recenti pubblicazioni di Wikramasinghe, si trova che le diatomee potrebbero essere l'ossessione aliena di questo scienziato, attualmente docente e direttore del Centre for Astrobiology alla University of Buckingham, in Gran Bretagna. Proprio a gennaio del 2013, sempre su Journal of Cosmology, il professore ha pubblicato un articolo su un presunto meteorite caduto in Sri Lanka nel 2012 all'interno del quale egli ha trovato, indovinate che cosa? Diatomee fossili. Peccato che il meteorite in oggetto non abbia ricevuto la certificazione di essere tale da altri esperti che lo hanno classificato come una folgorite, una roccia terrestre colpita da un fulmine.
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