mercoledì 31 ottobre 2012

I progressi e i vantaggi della chirurgia robotica: il robot in costruzione all’Istituto di Biorobotica di Pontedera.


Fonte: Euronews
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Farà compiere ai medici grandi passi avanti nell’ambito delle operazioni. Per capire meglio i vantaggi della chirurgia robotica, una troupe di euronews è andata a Pontedera, nel pisano, e a Verona, dove ha incontrato alcuni esperti del settore.
“I robot per chirurgia sono già oggi un caso di successo” dice Paolo Dario, coordinatore del progetto Araknes dell’Istituto di Biorobotica di Pontedera.
“Dei robot sono già in commercio” – afferma Luca Morelli, chirurgo all’ospedale Cisanello di Pisa, – “e grazie a dei robot, interventi di chirurgia robotica possono essere già eseguiti nella pratica fisica”.
“Dal primo gennaio di quest’anno a oggi, oltre 220.000 pazienti sono già stati operati con l’ausilio di robot” afferma Paolo Dario.
“La robotica è diventata uno strumento chirurgico. Si tratta di migliorarla” precisa Paolo Fiorini, coordinatore del progetto I-SUR dell’Ospedale di Verona.
All’Istituto di Biorobotica di Pontedera, è in fase di costruzione un sistema unico di chirurgia robotica.
È stato progettato da ricercatori europei. Funziona come la mano di un chirurgo nell’addome del paziente.
“Viene inserita prima la porta d’accesso all’altezza dell’ombelico” – spiega Gianluigi Petroni, ingegnere biomedico – “dopodiché viene inserito l’introduttore, attraverso cui poi vengono fatti passare entrambi i bracci. Prima passa un braccio, poi l’altro e il robot viene configurato in modo tale che possa essere manipolato dal chirurgo da remoto”.
Il robot manda immagini in 3D. Queste aiutano il chirurgo ad eseguire un intervento preciso e non invasivo su parti complesse del corpo umano, senza lasciare cicatrici visibili.
“La chirurgia single side, cioè quella con un singolo accesso oggi ha indicazioni molto limitate, quindi penso che questo tipo di tecnologia potrebbe permetterci di estendere le indicazioni e di fare sì che un numero molto maggiore di interventi, anche più complessi, anche con fasi costruttive complesse, a livello di fegato, pancreas, quindi organi difficili da trattare, potrebbero essere realizzate” continua Luca Morelli.
I ricercatori stanno oggi studiando il modo in cui sperimentare il prodotto nelle operazioni reali.
Questo significa rimpicciolirlo.
E anche molto di più.
“Per una vera industrializzazione del robot” -racconta Arianna Menciassi, ingegnere biologico all’Istituto di Biorobotica di Pontedera – “bisognerà pensare per esempio a una sterilizzazione dei motori, oppure a un uso ‘usa e getta’ e anche a una realizzazione di alcuni meccanismi meccanici in modo il più possibile affidabile e a basso costo”.
“Ridurlo significa usare motori più piccoli, meno potenti e quindi ricorrere anche a soluzioni magari anche diverse per poter ottenere le stesse prestazioni e la sfida diventa ancora più grande” precisa Gianluigi Petroni.
“Il prodotto deve essere buono e rispondere a bisogni reali; deve essere affidabile e costare il giusto. Deve poter essere distribuito e assistito, in modo che l’utente finale ne possa usufruire con tranquillità” dice Paolo Dario.
Al momento di far entrare i robot in sala operatoria, i ricercatori europei diventano ancora più ambiziosi.
Vorrebbero che essi mettessero in atto alcune tecniche chirurgiche da soli.
In un laboratorio di Verona, gli scienziati pensano che ai robot intelligenti si possa insegnare in che modo eseguire autonomamente operazioni chirurgiche, come punture, incisioni e suture.
Il braccio robotico è stato progettato per praticare iniezioni da solo a un modello di addome umano. Obiettivo: individuare un tumore al rene.
Per arrivarci, è stato necessario tradurre i movimenti chirurgici in dati che vengono in seguito trasferiti alle diverse componenti meccaniche e informatiche del robot.
“I chirurghi” – afferma Riccardo Muradore, ingegnere del controllo – “non hanno le competenze ingegneristiche per descrivere quello che fanno in termini di forze, movimenti e velocità. Allora quello che noi abbiamo pensato per risolvere questo problema è di sviluppare simulatori per raccogliere questi dati”.
Il simulatore aiuta i ricercatori a fornire dati reali ai robot, affinché essi comprendano i diversi ambiti della chirurgia, diventando così più autonomi.
“Questo ci ha permesso di definire i requisiti di una procedura e quindi le caratteristiche anatomiche, le grandezze tipiche del tumore in una particolare procedura, le distanze topografiche tra i vari organi e quali erano le maggiori complicanze all’interno della procedura e come i chirurghi solitamente possono far fronte a queste complicanze” spiega Monica Verga, ingegnere biomedico.
Questo non significa, secondo i ricercatori, che i robot prenderanno il posto dei chirurghi in sala operatoria.
Sono però uno strumento utile per aumentare la correttezza e l’efficienza delle tecniche di oggi.
“Il chirurgo, l’essere umano” – spiega ancora Paolo Fiorini – “non è in grado di avere la stessa percezione, la stessa precisione degli strumenti chirurgici o dei sensori chirurgici; quindi potrebbe essere che il robot autonomo, in realtà, faccia una raccolta dati autonoma e presenti dati al chirurgo più completi di quelli che il chirurgo potrebbe avere semplicemente con i suoi occhi o con le sue mani”.
Alcuni medici sono inoltre curiosi di vedere fino a che punto possono spingersi i sistemi di chirurgia robotica autonoma.
“Noi adesso abbiamo visto la puntura profonda di un organo, o meglio di una patologia, a livello di un organo” dice Umberto Tedeschi, chirurgo all’Ospedale di Verona. “Noi dovremmo riuscire anche a fare qualcosa di più, a portare qualche cosa a quella patologia, riuscire a estirparla, portare farmaci o addirittura sostanze che riescano a distruggere quella patologia”.
Ricercatori e chirurghi sono d’accordo: queste possibilità non sono più fantascienza.
Ecco perché, concludono, l’evoluzione della chirurgia robotica dovrà essere attentamente controllata.

“Il futuro sarà fatto di strumenti sempre meno invasivi, sempre meno traumatici per il paziente e sempre più intelligenti” dice Paolo Fiorini.
“Sicuramente il robot non può sostituirsi all’uomo, che deve avere sempre la capacità di gestire il robot” afferma Umberto Tedeschi.
“I robot potranno accedere ai vari organi attraverso incisioni sempre più piccole o addirittura interne al corpo” spiega Paolo Dario.
“Un po’ come si leggeva nel libro di Asimov e nel film ‘Viaggio Allucinante’, quello che alcuni ricercatori stanno sviluppando è per esempio la guida magnetica, sotto risonanza o sotto bobine e magneti permanenti, di piccole navicelle magnetiche all’interno dei vasi per raggiungere le zone più remote del nostro albero vascolare e poi per rilasciare lì una qualche terapia, che non è detto sia la tipica terapia chirurgica fatta di bisturi e di pinze. Perché se la patologia è a livello di poche cellule potrà essere basata magari su impulsi elettrici, campi magnetici o cose simili” conclude Arianna Menciassi.
Un futuro ambizioso, quindi, che costituisce un enorme salto avanti per la chirurgia robotica, i cui primi, deboli passi vennero mossi 25 anni fa.

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