giovedì 25 ottobre 2012

Perché (e per chi) funziona l'effetto placebo.

Fonte: Le Scienze
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Identificate per la prima volta differenze genetiche tra i soggetti in cui l'effetto funziona e quelli in cui non ha alcuna efficacia terapeutica. Il fattore cruciale è legato una particolare mutazione di un gene che determina i livelli di dopamina, un neurotrasmettitore coinvolto nei meccanismi di ricompensa e di dolore.
L'effetto placebo – l'efficacia terapeutica di sostanze o azioni innocui o privi di qualunque plausibile meccanismo di azione sull'organismo – è un rompicapo che dura da decenni, e per spiegarlo sono stati considerati diversi fattori, primo fra tutti la suggestione.

Per la prima volta, uno studio condotto presso il Beth Israel Deaconess Medical Center (BIDMC) e l'Harvard Medical School (HMS) e illustrato
sulle pagine della rivista online PLoS ONE, ha identificato differenze genetiche tra soggetti il cui l'effetto placebo funziona da quelli in cui non funziona. Il fattore cruciale è costituito dai livelli di dopamina, che determina il livello di sensibilità di un paziente. Il risultato potrebbe avere importanti implicazioni non solo per la cura dei pazienti ma anche per la validazione delle sperimentazioni cliniche “contro placebo”, in cui l'efficacia di un farmaco viene appunto confrontata con la somministrazione di sostanze biologicamente innocue.

“Sono sempre più numerose le prove sperimentali che il neurotrasmettitore dopamina viene attivato quando le persone rispondono al placebo”, ha spiegato Kathryn Hall, ricercatrice del BIDMC e coautore dello studio. "Con questa nuova ricerca, siamo ora in grado di utilizzare il profilo genetico di una persona per prevedere se risponderà o meno alla somministrazione di placebo”.
La dopamina è un neurotrasmettitore coinvolto nei meccanismi di ricompensa e di dolore. In quest'ultima ricerca, l'attenzione si è concentrata sul gene per la catecolamin-metil-transferasi (COMT), una cui mutazione determina la quantità di dopamina presente nella corteccia prefrontale.

Per la precisione, la mutazione nota come val158met a carico del gene COMT determina tre diverse possibili coppie di alleli:

due copie per la metionina (met), due per la valina (val) o una copia per ogni proteina. Secondo alcuni risultati, nella corteccia prefrontale dei soggetti con due copie di met vi è una quantità di dopamina da tre a quattro volte superiore rispetto alle persone con due copie di val, con evidenti differenze nel comportamento sociale e nelle capacità cognitive ed espressive.

I ricercatori sono partiti dall'ipotesi che diversi genotipi rispetto a questa mutazione potessero influenzare la risposta al placebo. Hanno quindi rianalizzato i dati di un trial clinico del 2008, destinato a verificare l'influenza del placebo sulla sindrome del colon irritabile, ricostruendo la risposta al trattamento dei singoli soggetti e a confrontandola con il loro genotipo.

“La regressione statistica ha permesso di scoprire che le risposte al placebo aumentavano linearmente con le copie met, presumibilmente per la maggiore disponibilità di dopamina”, ha spiegato Hall. “I risultati consentono d'ipotizzare che la presenza di due alleli met possa rappresentare un marker genetico per la risposta al placebo, mentre i due alleli val/val sarebbero un marker per la non risposta”.

Di grande rilievo sono anche i risultati della valutazione dell'influenza dell'ambiente ospedaliero sui risultati clinici. Nel caso dei pazienti met/met, responsivi al placebo, è stato registrato un miglioramento clinico in risposta a un rapporto positivo con il medico. Nel caso dei pazienti val/val, invece, il rapporto empatico con il personale medico non sembra aver avuto alcun effetto apprezzabile.

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