Fonte: Loschermo.it
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La mina, quel bastoncino nero che si trova all’interno delle matite, è fatta di grafite. La grafite è un materiale a base di carbonio, piuttosto comune. Si estrae in giacimenti, tra i più noti quelli del Madagascar. Vi stupireste sapere che le nuove generazioni di computer potrebbero avere microchip alla grafite? Che la grafite potrebbe presto sostituire il silicio? Come è possibile? Il motivo è semplice. Basta guardare come funziona una matita. Si appoggia su un foglio di carta e si fa scorrere. Il risultato è una pista nerastra. Grafite sottilissima lasciata sul foglio. Sembra sorprendente ma da questa semplice osservazione nasce una delle più grandi rivoluzioni della nanoelettronica.
La grafite è un minerale lamellare. E’ costituito da una serie di tantissimi fogli di carbonio uno sopra l’altro come i fogli di un libro e distanziati di meno di un nanometro (un miliardesimo di metro). Ogni foglio sottile quanto un atomo è composto da atomi di carbonio disposti in una geometria a nido d’ape. Il foglio singolo si chiama grafene. E’ questo il cuore del futuro computer a base di grafite!
L’interesse verso il grafene è dovuto al fatto che la peculiare geometria a nido d’ape è all’origine di proprietà elettroniche uniche. Gli elettroni appartenenti agli atomi di carbonio sono costretti a muoversi nel piano definito dal foglio di grafene secondo percorsi a simmetria esagonale, fatto che li rende simili a particelle senza massa (come i fotoni) che viaggiano nel materiale con una velocità vicina a quella della luce. Se i singoli fogli di grafene potessero essere messi a contatto tra loro con elettrodi metallici diventerebbero un vero e proprio circuito integrato dalle eccezionali proprietà. Queste caratteristiche potrebbero rendere possibili una serie di applicazioni nel campo della nanolettronica e aprire la strada a studi fondamentali di meccanica quantistica in sistemi elettronici confinati in due dimensioni in cui gli elettroni risultano sensibili contemporaneamente a effetti quantistici e a quelli relativistici.
Bello (a parole). Ma il singolo foglio di grafene si trova impacchettato insieme a miliardi di altri fogli identici nella grafite. Come è possibile isolarlo e poi manipolarlo dato che il suo spessore è quello di un atomo? Per decine di anni il grafene è rimasto un sogno nel cassetto fino al 2004 quando un gruppo di ricercatori inglesi, coordinati dai fisici Andre Geim e Kostya Novoselov, trovò la soluzione aprendo nuove clamorose prospettive sia per la ricerca di base che per le possibili applicazioni. Grazie ad apparecchiature inimmaginabili e costose, si penserà, ed invece no. La soluzione venne trovata sul bancone di un supermercato!
Funziona più o meno così:
Al costo di due euro si compra del semplice nastro adesivo trasparente. Poi si prende un frammento di normalissima grafite e ci si attacca sopra un pezzo del nastro adesivo. Poi si tira via con decisione. Sul nastro rimangono dei residui di grafite. A questo punto si preme il nastro adesivo su un substrato (si usa di solito il biossido di silicio). Si rimuove il nastro che poi si butta via e si mette il substrato sotto un microscopio. Ecco fatto. Sul substrato si individuano delle regioni di dimensione di alcune decine di micron (un micron è un milionesimo di metro) che al microscopio ottico appaiono di un colore particolare. Sono i fogli purissimi e sottilissimi di grafene! A questo punto si possono depositare gli elettrodi metallici (seguendo procedimenti ben noti) su questi fogli così individuati e creare il circuito al grafene. Dal 2004 la ricerca su questo materiale è letteralmente esplosa. Sono migliaia gli articoli scientifici pubblicati ogni anno sulle proprietà del grafene e sulle possibili applicazioni. E nel mentre la ricerca di base avanza, le grandi industrie come l’IBM interessate alla applicazioni pratiche (per esempio transistor ad alta frequenza) iniziano ad investire su questo materiale.
Il grafene rappresenta quindi una delle prospettive più entusiasmanti nella ricerca di nuovi materiali e approcci per la nanoelettronica, ma anche per applicazioni in campi quali quello della sensoristica ambientale o della energia pulita. Per esempio è stato proposto in alcuni recenti lavori teorici che il grafene potrebbe essere impiegato come materiale capace di immagazzinare l’idrogeno grazie alla capacità degli atomi di carbonio disposti nel piano di legarsi con l’atomo di idrogeno nella direzione perpendicolare al piano. Questo fatto potrebbe essere sfruttato per realizzare dei contenitori di idrogeno sicuri e compatti per alimentare batterie dei cellulari o addirittura automobili.
Tuttavia la tecnica di fabbricazione del grafene basata sul nastro adesivo (chiamata tecnica della esfoliazione meccanica della grafite) non può considerarsi soddisfacente per un suo utilizzo nella realizzazione di dispositivi miniaturizzati per la nanoelettronica. Infatti, ad ogni tentativo di produzione e deposizione su un substrato del singolo strato di grafene si ottengono per lo più multistrati di grafene e solo in alcuni casi un singolo strato. In aggiunta non si controllano le estensioni laterali, né il punto preciso dove il grafene si deposita e altre caratteristiche quali la concentrazione degli elettroni. Tutto questo, ovviamente, rappresenta un limite allo sfruttamento delle proprietà del grafene su scala industriale. Un limite che crediamo verrà superato ben presto.
La grafite è un minerale lamellare. E’ costituito da una serie di tantissimi fogli di carbonio uno sopra l’altro come i fogli di un libro e distanziati di meno di un nanometro (un miliardesimo di metro). Ogni foglio sottile quanto un atomo è composto da atomi di carbonio disposti in una geometria a nido d’ape. Il foglio singolo si chiama grafene. E’ questo il cuore del futuro computer a base di grafite!
L’interesse verso il grafene è dovuto al fatto che la peculiare geometria a nido d’ape è all’origine di proprietà elettroniche uniche. Gli elettroni appartenenti agli atomi di carbonio sono costretti a muoversi nel piano definito dal foglio di grafene secondo percorsi a simmetria esagonale, fatto che li rende simili a particelle senza massa (come i fotoni) che viaggiano nel materiale con una velocità vicina a quella della luce. Se i singoli fogli di grafene potessero essere messi a contatto tra loro con elettrodi metallici diventerebbero un vero e proprio circuito integrato dalle eccezionali proprietà. Queste caratteristiche potrebbero rendere possibili una serie di applicazioni nel campo della nanolettronica e aprire la strada a studi fondamentali di meccanica quantistica in sistemi elettronici confinati in due dimensioni in cui gli elettroni risultano sensibili contemporaneamente a effetti quantistici e a quelli relativistici.
Bello (a parole). Ma il singolo foglio di grafene si trova impacchettato insieme a miliardi di altri fogli identici nella grafite. Come è possibile isolarlo e poi manipolarlo dato che il suo spessore è quello di un atomo? Per decine di anni il grafene è rimasto un sogno nel cassetto fino al 2004 quando un gruppo di ricercatori inglesi, coordinati dai fisici Andre Geim e Kostya Novoselov, trovò la soluzione aprendo nuove clamorose prospettive sia per la ricerca di base che per le possibili applicazioni. Grazie ad apparecchiature inimmaginabili e costose, si penserà, ed invece no. La soluzione venne trovata sul bancone di un supermercato!
Funziona più o meno così:
Al costo di due euro si compra del semplice nastro adesivo trasparente. Poi si prende un frammento di normalissima grafite e ci si attacca sopra un pezzo del nastro adesivo. Poi si tira via con decisione. Sul nastro rimangono dei residui di grafite. A questo punto si preme il nastro adesivo su un substrato (si usa di solito il biossido di silicio). Si rimuove il nastro che poi si butta via e si mette il substrato sotto un microscopio. Ecco fatto. Sul substrato si individuano delle regioni di dimensione di alcune decine di micron (un micron è un milionesimo di metro) che al microscopio ottico appaiono di un colore particolare. Sono i fogli purissimi e sottilissimi di grafene! A questo punto si possono depositare gli elettrodi metallici (seguendo procedimenti ben noti) su questi fogli così individuati e creare il circuito al grafene. Dal 2004 la ricerca su questo materiale è letteralmente esplosa. Sono migliaia gli articoli scientifici pubblicati ogni anno sulle proprietà del grafene e sulle possibili applicazioni. E nel mentre la ricerca di base avanza, le grandi industrie come l’IBM interessate alla applicazioni pratiche (per esempio transistor ad alta frequenza) iniziano ad investire su questo materiale.
Il grafene rappresenta quindi una delle prospettive più entusiasmanti nella ricerca di nuovi materiali e approcci per la nanoelettronica, ma anche per applicazioni in campi quali quello della sensoristica ambientale o della energia pulita. Per esempio è stato proposto in alcuni recenti lavori teorici che il grafene potrebbe essere impiegato come materiale capace di immagazzinare l’idrogeno grazie alla capacità degli atomi di carbonio disposti nel piano di legarsi con l’atomo di idrogeno nella direzione perpendicolare al piano. Questo fatto potrebbe essere sfruttato per realizzare dei contenitori di idrogeno sicuri e compatti per alimentare batterie dei cellulari o addirittura automobili.
Tuttavia la tecnica di fabbricazione del grafene basata sul nastro adesivo (chiamata tecnica della esfoliazione meccanica della grafite) non può considerarsi soddisfacente per un suo utilizzo nella realizzazione di dispositivi miniaturizzati per la nanoelettronica. Infatti, ad ogni tentativo di produzione e deposizione su un substrato del singolo strato di grafene si ottengono per lo più multistrati di grafene e solo in alcuni casi un singolo strato. In aggiunta non si controllano le estensioni laterali, né il punto preciso dove il grafene si deposita e altre caratteristiche quali la concentrazione degli elettroni. Tutto questo, ovviamente, rappresenta un limite allo sfruttamento delle proprietà del grafene su scala industriale. Un limite che crediamo verrà superato ben presto.
Un articolo di Vittorio Pellegrini
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