Fonte: Corriere della Sera
esperimento di Mit Medialab
Dimmi chi frequenti e ti dirò chi sei
Dimmi chi frequenti e ti dirò chi sei
In base a un’analisi della rete telematica di amicizie si può scoprire anche orientamento sessuale di un utente.
MILANO – Con il grande boom di Facebook e compagni la protezione dei propri dati sensibili è diventata pressoché impossibile. Se è vero che il numero degli appassionati che vive in stretta simbiosi con i social network cresce incessantemente e non ha alcun timore di raccontare al mondo intero buona parte della propria giornata, c’è anche chi si dedica alla gestione delle proprie amicizie in rete solo per puro svago e potrebbe avere qualche obiezione nel vedere esposti alla mercé di sconosciuti gli aspetti più privati della propria esistenza. Soprattutto se questi vengono estorsi inconsapevolmente attraverso l’uso, sempre più frequente, dei cosiddetti software di data mining. La conferma di come sia possibile risalire alle preferenze di un utente senza neppure la necessità che questi le manifesti direttamente arriva da uno studio del Mit Medialab.
IL GAYDAR – È iniziato tutto quasi per scherzo. Due studenti, analizzando alcuni dati di Facebook, hanno fatto una scoperta alquanto sorprendente: attraverso la mappatura delle reti sociali di un utente erano in grado di prevedere se una persona fosse etero o omosessuale. Ovviamente è stato necessario il sostegno di un software che, attraverso il genere e le tendenze sessuali della rete amicale e utilizzando l’analisi statistica, faceva una previsione sull’orientamento sessuale del soggetto in analisi. In base alle proprie conoscenze reali i protagonisti dello studio, pur non potendo verificare tutti i risultati, sono giunti alla conclusione che il programma è piuttosto accurato, soprattutto sulle analisi maschili.
CONSEGUENZE – Il progetto, però, non può essere liquidato semplicemente con l’appellativo di «Gaydar», che nel gergo omosessuale indica la capacità mentale di un gay di individuare altre persone con le stesse preferenze sessuali, ma necessita di una profonda riflessione sulla privacy. Oltre al fatto che questa sorta di outing deduttivo potrebbe creare parecchi problemi relazionali a chi ne è vittima, il funzionamento del software pone una sostanziale incognita sulla possibilità di un utente di controllare le proprie informazioni. Finora, infatti, le discussioni sulla protezione dei dati personali e sensibili in rete si sono concentrate soprattutto sull’universo delle transazioni finanziare e sui comportamenti consigliati nella gestione e frequentazione di blog e community. Ma il lavoro del Mit dimostra che si possono rendere pubblici intimi particolari in maniera del tutto inconscia e involontaria. La possibilità di connettersi con altre persone che condividono alcune delle nostre passioni costituisce gran parte del fascino dei social network ma, se attraverso queste amicizie si rischia di rivelare se stessi anche a terzi sconosciuti, la rende anche una trappola pericolosa.
Simone D’Ambrosio
21 settembre 2009
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