martedì 19 febbraio 2013

Nuovi studi dimostrano in che modo si possono individuare nel genoma umano le mutazioni che danno un vantaggio evolutivo in epoche recenti.

Preparazione di campioni di DNA per le analisi genetiche: gli studi sull'interno genoma hanno aperto nuove possibilità di indivuduazione delle mutazioni che hanno conferito un vantaggio evolutivo in tempi relativamente recenti (© George Steinmetz/Corbis)
Fonte: Le Scienze
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Due nuovi studi dimostrano in che modo si possono individuare nel genoma umano le mutazioni che danno un vantaggio evolutivo in epoche relativamente recenti e come verificarne gli effetti grazie a topi geneticamente modificati. L’utilità del modello animale è stata verificata su una variante del gene EDAR, presente in molte popolazioni del Sudest asiatico, che determina peli più spessi e un numero più grande di ghiandole sudoripare rispetto alla versione non mutata.
Secondo la teoria dell’origine africana di Homo sapiens, gli esseri umani sono evoluti in Africa per poi colonizzare il resto del pianeta in seguito a una migrazione avvenuta tra 125.000 e 70.000 anni fa. A partire da questo evento, il genoma umano ha subito numerose mutazioni che hanno permesso ai nostri antenati di sopravvivere in un’ampia gamma di ambienti e climi, cambiare dieta e resistere a diverse malattie.

Due studi pubblicati sulla rivista “Cell” da altrettanti gruppi di ricerca coordinati da Pardis Sabeti, professore associato del Department of Organismic and Evolutionary Biology della Harvard University, illustrano ora come individuare alcune centinaia di variazioni geniche che possono aver fornito un vantaggio evolutivo in tempi relativamente recenti della storia umana e come è possibile usare un modello animale per verificare l’effetto di queste mutazioni.

In passato erano stati ipotizzati diversi tipi di pressione selettiva, ma era stato possibile caratterizzare solo una manciata di tratti adattativi nel genoma umano, tra i quali la resistenza alla malaria, la tolleranza al lattosio, la pigmentazione della pelle e l'adattamento all'alta quota. L'avvento della genomica ha aperto grandi prospettive nello studio dell'evoluzione della nostra specie, permettendo di passare dagli studi di singoli geni alle scansioni sull'intero genoma che rendono possibile la formulazione di nuove ipotesi.

Nel primo studio, Sharon R. Grossman del Broad Institute del MIT e colleghi hanno analizzato i dati del progetto 1000 Genomes, una delle più ampie banche dati di variazioni genetiche. In questo modo i ricercatori hanno rilevato 340 mutazioni genetiche adattative oltre a numerose mutazioni che hanno effetto sui meccanismi di regolazione dell’espressione genica grazie a un metodo denominato CMS (composite of multiple signals), sviluppato in precedenza dallo stesso gruppo.
Per dimostrare le potenzialità di questo approccio, i ricercatori hanno caratterizzato una variante del gene TLR5 (Toll-like receptor 5) molto studiato per il suo ruolo cruciale nella risposta immunologica alle infezioni da batteri. Quando la proteina TLR5 si lega alla flagellina, una proteina fondamentale per i batteri flagellati, si attivano le cellule del sistema immunitario dell’ospite. Nel corso della sperimentazione, si è dimostrato che la versione mutata del gene TLR5, denominata L616F, produce una risposta alla flagellina significativamente ridotta.

Nel secondo studio di Yana Kamberov del Dipartimento di genetica della Harvard Medical School e colleghi hanno studiato un tipico caso di pleiotropia, vale a dire il fenomeno in base al quale un'unica mutazione genetica produce diversi nuovi tratti fenotipici. Nel caso specifico, si tratta di una mutazione a carico del gene EDAR, che codifica per il recettore dell’ectodisplasina, coinvolto nei meccanismi di sviluppo dei capelli, delle ghiandole sudoripare e di altre caratteristiche della pelle.

Grazie agli studi di popolazione si è evidenziato che quelle africane ed europee hanno una versione di EDAR molto più antica di quella della maggior parte delle popolazioni del Sudest asiatico, denominata EDARV370A. Gli individui con la versione mutata hanno capelli più spessi, ghiandole sudoripare più dense e una forma dei denti parzialmente diversa. EDAR è anche un gene che si è fortemente conservato nel corso dell’evoluzione dei vertebrati e si trova inalterato anche nel DNA di due modelli animali molto utilizzati negli studi di biologia, come il pesce zebra (Danio rerio) e il topo. Il gruppo di Sabeti ha così pensato di inserire nel genoma di topi il gene mutato EDARV370A al posto di EDAR per poi osservare gli effetti fenotipici della mutazione. In questo modo hanno verificato che gli animali con il gene mutato avevano peli più spessi del normale e un maggior numero di ghiandole sudoripare rispetto a topi di controllo, a cui cioè non era stato inserito il gene mutato. Una simulazione al computer ha poi permesso di stimare che negli esseri umani il gene è comparso circa 30.000 anni fa nella parte centrale dell’attuale Cina.

Rimane ancora da stabilire quale vantaggio evolutivo abbia portato l’evoluzione di questi nuovi tratti, un compito reso più difficoltoso proprio dalla varietà di nuovi tratti indotti da quest'unica mutazione. Tuttavia, per quanto riguarda EDAR, è possibile ipotizzare che la variante EDARV370A abbia favorito l'adattamento degli esseri umani al clima umido della Cina centrale di decine di migliaia di anni fa.

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