Fonte: Le Scienze
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Le sequenze di DNA di origine retrovirale che costellano il genoma umano sono tenute sotto controllo da proteine inibitorie orchestrate da una proteina master, la KAP1.
E' noto che il nostro genoma è composto per una sua frazione significativa da sequenze di DNA derivanti dal patrimonio genetico di “invasori”, per lo più retrovirus, che infettarono milioni di anni fa i nostri antenati e in particolare le loro cellule geminali.
Perché, e come, queste sequenze restino peraltro costantemente silenti e non provochino danni finora non era ancora stato chiarito. Ora un gruppo di ricercatori del Politecnico di Losanna diretti da Didier Trono è riuscito a individuare il meccanismo e lo descrive in un articolo pubblicato su “Nature”.
Studiando cellule staminali embrionali di topo, Trono e collaboratori hanno scoperto che il DNA di topo codifica un cospicuo numero di proteine destinate a riconoscere le numerose sequenze di basi di origine virale presenti nel genoma. I ricercatori hanno anche dimostrato che una proteina, chiamata KAP1, ha la funzione di orchestrare l'attività inibitoria di tutte queste altre proteine di geni virali. Se KAP1 viene rimossa, il DNA virale si “risveglia”, determina numerose mutazioni e l'embrione nella generalità dei casi muore.
Dato che i retrovirus tendono a mutare il DNA dell'ospite, hanno una enorme potenzialità e capacità di alterare i geni. Nel corsi delle antiche pandemie alcuni individui sono stati in grado, grazie a opportune mutazioni, di sviluppare meccanismi di silenziamento dei geni di questi virus, trasmettendo questa capacità alla propria progenie.
"Nel nostro genoma ritroviamo le tracce delle ultime due principali ondate. La prima ha avuto luogo 100 milioni di anni fa, quando i mammiferi iniziarono a svilupparsi, la seconda circa cinquanta milioni di anni fa, proprio prima dei primi primati antropoidi”.
La scoperta del meccanismo KAP1 potrebbe in prospettiva avere implicazioni nella ricerca di nuove strategie terapeutiche per combattere l'AIDS, il cui virus può restare silente nelle cellule ematiche che infetta, così da proteggersi dai possibili trattamenti. Il suo risveglio controllato potrebbe quindi permettere di aggredirlo. (gg)
Perché, e come, queste sequenze restino peraltro costantemente silenti e non provochino danni finora non era ancora stato chiarito. Ora un gruppo di ricercatori del Politecnico di Losanna diretti da Didier Trono è riuscito a individuare il meccanismo e lo descrive in un articolo pubblicato su “Nature”.
Studiando cellule staminali embrionali di topo, Trono e collaboratori hanno scoperto che il DNA di topo codifica un cospicuo numero di proteine destinate a riconoscere le numerose sequenze di basi di origine virale presenti nel genoma. I ricercatori hanno anche dimostrato che una proteina, chiamata KAP1, ha la funzione di orchestrare l'attività inibitoria di tutte queste altre proteine di geni virali. Se KAP1 viene rimossa, il DNA virale si “risveglia”, determina numerose mutazioni e l'embrione nella generalità dei casi muore.
Dato che i retrovirus tendono a mutare il DNA dell'ospite, hanno una enorme potenzialità e capacità di alterare i geni. Nel corsi delle antiche pandemie alcuni individui sono stati in grado, grazie a opportune mutazioni, di sviluppare meccanismi di silenziamento dei geni di questi virus, trasmettendo questa capacità alla propria progenie.
"Nel nostro genoma ritroviamo le tracce delle ultime due principali ondate. La prima ha avuto luogo 100 milioni di anni fa, quando i mammiferi iniziarono a svilupparsi, la seconda circa cinquanta milioni di anni fa, proprio prima dei primi primati antropoidi”.
La scoperta del meccanismo KAP1 potrebbe in prospettiva avere implicazioni nella ricerca di nuove strategie terapeutiche per combattere l'AIDS, il cui virus può restare silente nelle cellule ematiche che infetta, così da proteggersi dai possibili trattamenti. Il suo risveglio controllato potrebbe quindi permettere di aggredirlo. (gg)
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