Fonte: Le Scienze
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Nei pazienti che assumono il farmaco che ha come bersaglio la proteasi necessaria per assemblare il capside sono state individuate sostituzioni in ben 10 siti differenti della proteina.
Un nuovo metodo chimico-statistico ha permesso ai ricercatori dell'Università della California a San Diego e della Harvard University di tracciare le mutazioni dell'HIV che determinano la resistenza ai farmaci.
I risultati ottenuti, una volta applicati all'intero insieme di farmaci disponibili per trattare l'infezione permetterebbero di adattare la terapia ai particolari ceppi di virus trovati nei singoli pazienti.
“Vogliamo crackare il codice della resistenza”, ha spiegato Wei Wang, professore associato di chimica e biochimica dell'UC San Diego che ha guidato la ricerca pubblicata sulla versione online della rivista Proceedings of the National Academy of Sciences.
Com'è noto, l'HIV si replica rapidamente, ma le copie prodotte sono imprecise: la costante mutazione ha reso l'infezione difficile da trattare, dal momento che i farmaci progettati per interrompere il ciclo infettivo spesso mancano il loro bersaglio.
Per meglio comprendere quali mutazioni siano importanti per la resistenza ai farmaci, i ricercatori hanno confrontato le sequenze di HIV ottenute sia da pazienti trattati con specifici farmaci sia da quelli non trattati.
Utilizzando un innovativo metodo statistico, sono stati identificati insiemi di mutazioni che sembrano collaborare per permettere al virus di sfuggire al trattamento.
Un farmaco in particolare, indinavir, ha come bersaglio una proteina chiamata proteasi, necessaria al virus per assemblare il capside che utilizza per invadere nuove cellule. Nei pazienti che assumono il farmaco sono state individuate sostituzioni in ben 10 siti differenti della proteasi, ma fino a questa ricerca non era mai stato chiarito quali di esse fossero in grado di impedire l'azione del farmaco.
I chimici possono determinare in che modo un farmaco influisce sull'azione di una particolare proteina utilizzando la modellizzazione al computer, ma questi calcoli richiedono un tempo considerevole e valutare tutte le possibili combinazioni delle 10 sostituzioni è impraticabile. Per restringere il campo delle possibilità sono stati perciò utilizzati metodi statistici.
Utilizzando le risorse di calcolo del Center for Theoretical Biological Physics dell'UC San Diego si è così riusciti a capire in che modo le sostituzioni avrebbero cambiato la forma della proteasi e la sua affinità con il farmaco. Inoltre, si è riusciti a determinare che le mutazioni devono avvenire in un particolar ordine affinché il virus in fase di replicazione sviluppi resistenza.
Gli stessi risultati sono stati ripetuti anche per due altri farmaci, zidovudina e nevirapina, che hanno come bersaglio un differente enzima virale, e per il prossimo futuro i ricercatori intendono estendere i risultati a tutti e nove i farmaci approvati dall'FDA degli Stati Uniti per trattare l'HIV. (fc)
I risultati ottenuti, una volta applicati all'intero insieme di farmaci disponibili per trattare l'infezione permetterebbero di adattare la terapia ai particolari ceppi di virus trovati nei singoli pazienti.
“Vogliamo crackare il codice della resistenza”, ha spiegato Wei Wang, professore associato di chimica e biochimica dell'UC San Diego che ha guidato la ricerca pubblicata sulla versione online della rivista Proceedings of the National Academy of Sciences.
Com'è noto, l'HIV si replica rapidamente, ma le copie prodotte sono imprecise: la costante mutazione ha reso l'infezione difficile da trattare, dal momento che i farmaci progettati per interrompere il ciclo infettivo spesso mancano il loro bersaglio.
Per meglio comprendere quali mutazioni siano importanti per la resistenza ai farmaci, i ricercatori hanno confrontato le sequenze di HIV ottenute sia da pazienti trattati con specifici farmaci sia da quelli non trattati.
Utilizzando un innovativo metodo statistico, sono stati identificati insiemi di mutazioni che sembrano collaborare per permettere al virus di sfuggire al trattamento.
Un farmaco in particolare, indinavir, ha come bersaglio una proteina chiamata proteasi, necessaria al virus per assemblare il capside che utilizza per invadere nuove cellule. Nei pazienti che assumono il farmaco sono state individuate sostituzioni in ben 10 siti differenti della proteasi, ma fino a questa ricerca non era mai stato chiarito quali di esse fossero in grado di impedire l'azione del farmaco.
I chimici possono determinare in che modo un farmaco influisce sull'azione di una particolare proteina utilizzando la modellizzazione al computer, ma questi calcoli richiedono un tempo considerevole e valutare tutte le possibili combinazioni delle 10 sostituzioni è impraticabile. Per restringere il campo delle possibilità sono stati perciò utilizzati metodi statistici.
Utilizzando le risorse di calcolo del Center for Theoretical Biological Physics dell'UC San Diego si è così riusciti a capire in che modo le sostituzioni avrebbero cambiato la forma della proteasi e la sua affinità con il farmaco. Inoltre, si è riusciti a determinare che le mutazioni devono avvenire in un particolar ordine affinché il virus in fase di replicazione sviluppi resistenza.
Gli stessi risultati sono stati ripetuti anche per due altri farmaci, zidovudina e nevirapina, che hanno come bersaglio un differente enzima virale, e per il prossimo futuro i ricercatori intendono estendere i risultati a tutti e nove i farmaci approvati dall'FDA degli Stati Uniti per trattare l'HIV. (fc)
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