Fonte: Le Scienze
Una sperimentazione sui topi ha mostrato che con la deprivazione cronica di sonno le placche tipiche della malattia di Alzheimer appaiono più precocemente e più spesso.
Una sperimentazione sui topi ha mostrato che con la deprivazione cronica di sonno le placche tipiche della malattia di Alzheimer appaiono più precocemente e più spesso. È quanto riportano i ricercatori della Washington University School of Medicine a St. Louis su Science Express, versione online della rivista Science.È ben noto agli specialisti del settore come la malattie neurodegenerative come l’Alzheimer e il Parkinson spesso influiscano direttamente sul sonno. Questi nuovi risultati ribaltano in un certo senso la prospettiva, poiché corroborano l’ipotesi che la perdita di sonno possa rivestire un ruolo importante nella genesi di tali patologie.Il laboratorio di Holtzman ha utilizzato una tecnica chiamata microdialisi in vivo per monitorare i livelli della proteina beta amiloide nel cervello dei topi geneticamente modificati e sviluppare un modello animale della patologia di Alzheimer. Jae-Eun Kang, ricercatore del laboratorio, ha poi notato come i livelli di proteina beta amiloide variavano in funzione delle fasi di sonno e veglia, trovando che essi aumentavano di notte, quando i topi per lo più sono svegli, e diminuivano durante il giorno quando i topi per lo più dormono.Uno studio separato di Randall Bateman del Barnes-Jewish Hospital ha invece misurato i livelli di proteina beta amiloide nel fluido cerebrospinale di esseri umani, riscontrando in effetti come essi fossero generalmente più elevati durante la veglia e più bassi durante il sonno.Per confermare il legame, Kang ha utilizzato tecniche elettroencefalografiche (EEG) sui topi dello Sleep and Circadian Neurobiology Laboratory della Stanford University. I tracciati EEG hanno permesso di confermare ulteriormente la connessione.Stando ai risultati, la deprivazione di sonno è in grado di determinare un incremento della proteina beta amiloide del 25 per cento. Inoltre, bloccando la produzione di un ormone collegato allo stress non si ottengono effetti rilevanti, il che suggerisce che la correlazione tra la deprivazione di sonno e la proteina beta amiloide non è mediata dallo stress.Gli stessi studiosi hanno anche riscontrato come l’orexina, una proteina che partecipa ai meccanismi di regolazione del ciclo sonno/veglia, appaia direttamente coinvolta nell’incremento delle placche."L’orexina o i composti con cui interagisce possono diventare nuovi bersagli per la terapia dell’Alzheimer”, ha spiegato David M. Holtzman, primo autore dell’articolo e direttore del Dipartimento di Neurologia della School of Medicine del Barnes-Jewish Hospital. "I risultati suggeriscono che occorre trattare i disturbi del sonno non solo per i loro molti effetti acuti ma anche per i potenziali effetti a lungo termine sulla salute del cervello”. (fc)
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