Fonte: Le Scienze
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Secondo lo studio, sarebbe da attribuire alla sostanziale immobilizzazione delle proteine presenti nel loro nucleo e alla eccezionale impermeabilità delle membrane protettive.
Per sopravvivere a condizioni ambientali avverse o a periodi di "carestia" alcuni batteri hanno sviluppato la capacità di produrre spore nelle quali, circondati da una serie di barriere protettive, trovano posto il DNA e alcuni enzimi essenziali. In questa forma il batterio può sopravvivere allo stato latente per migliaia, forse milioni, di anni resistendo a siccità, temperature estreme, radiazioni e tossine che distruggerebbero rapidamente il batterio originario, per poi tornare nella forma attiva quando le condizioni lo permettano. Ora un gruppo di microbiologi e ingegneri dell'Università di Lund, in Svezia, ha svelato parte del mistero. Finora si sapeva che questa eccezionale resistenza è connessa al basso contenuto di acqua nel nucleo delle spore, là dove sono conservati il DNA e diversi enzimi. Tuttavia non era affatto chiaro come potesse essere raggiunta questa capacità. Una parte dei biologi riteneva per esempio che in quelle condizioni l'acqua assumesse uno stato quasi solido, in grado di sigillare il corpuscolo e di proteggere gli apparati cellulari presenti, un po' come avviene nei semi delle piante. Una delle ragioni per cui il mondo scientifico si è così lungamente diviso su questa questione è legata alla mancanza di tecniche che permettessero l'osservazione dell'acqua e del suo comportamento all'interno spore. Gli ingegneri di Lund sono riusciti però a mettere a punto una tecnica grazie alla quale è possibile osservare, con una risoluzione della risposta compresa fra un millesimo e un miliardesimo di secondo, il movimento delle molecole d'acqua in seguito a variazioni nel campo magnetico. Già utilizzata per lo studio dei batteri, questa tecnica è stata ora applicata alle spore. "Ciò che abbiamo scoperto è che l'acqua contenuta nelle spore resta allo stato fluido pressoché nello stesso modo in cui è presente nei batteri normali, mentre gli enzimi sono sostanzialmente immobili. Riteniamo quindi che la resistenza al calore delle spore e la capacità di arrestare il proprio macchinario cellulare possa essere ascritto al fatto che certi enzimi critici non funzionano con la scarsa acqua presente nel nucleo della spora. Serve però ancora molto lavoro per capire i dettagli del meccanismo", ha osservato Bertil Halle, che ha diretto la ricerca e firma i collaboratori in un articolo sui
"Proceedings of the National Academy of Sciences" (PNAS). La resistenza delle spore sarebbe di fatto da attribuire in buona parte allo stretto impacchettamento a cui sono sottoposte le proteine. "Quando la temperatura sale, le molecole delle proteine si dispiegano in lunghe catene. Dato che le molecole nel nucleo della spora sono immobilizzate, non si aggrovigliano e non interagiscono le une con le altre come nella cellula ordinaria. Così, quando la temperatura cala si ripiegano normalmente senza aver subito danni" spiega Erik Sunde.Nel corso della ricerca i biologi hanno anche appurato che la permeabilità della barriera di protezione interna del nucleo della spora è di due ordini di grandezza inferiore a quella della membrana batterica, formando così una barriera resistente alla penetrazione di sostanze tossiche che potrebbero danneggiare il DNA. (gg)
"Proceedings of the National Academy of Sciences" (PNAS). La resistenza delle spore sarebbe di fatto da attribuire in buona parte allo stretto impacchettamento a cui sono sottoposte le proteine. "Quando la temperatura sale, le molecole delle proteine si dispiegano in lunghe catene. Dato che le molecole nel nucleo della spora sono immobilizzate, non si aggrovigliano e non interagiscono le une con le altre come nella cellula ordinaria. Così, quando la temperatura cala si ripiegano normalmente senza aver subito danni" spiega Erik Sunde.Nel corso della ricerca i biologi hanno anche appurato che la permeabilità della barriera di protezione interna del nucleo della spora è di due ordini di grandezza inferiore a quella della membrana batterica, formando così una barriera resistente alla penetrazione di sostanze tossiche che potrebbero danneggiare il DNA. (gg)
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